È impressionante l'elenco dei
luoghi - boschi, alberghi, case, complessi residenziali, fabbriche, autostrade,
tratti ferroviari, asili nido - devastati dai roghi di ieri in Sicilia. Sembra
la lunga lista di nomi dopo una strage. Non sono "solo" alberi e
macchia mediterranea (e comunque sarebbe già troppo): sono settori produttivi,
sono lavoratori, sono camerieri, portieri, operai, casellanti, sono maestre,
sono bambini che almeno per il momento non potranno più crescere confrontandosi
con altri bambini, sono mamme e papà che dovranno assentarsi dal lavoro perché
magari non hanno nessuno a cui affidare i loro bimbi adesso che si è scoperto
che anche un asilo nido può non essere risparmiato dal fuoco. E chissà quanti
sono quelli che verranno licenziati o messi in cassa integrazione perché il
posto di lavoro è andato letteralmente in fumo.
È così che fanno i terroristi, è
così che fanno i mafiosi o i killer di professione: loro devono uccidere,
seminare il terrore, mandare messaggi inequivocabili, fare terra bruciata, sparare
nel mucchio senza stare troppo a preoccuparsi di controllare prima l'elenco
delle potenziali vittime, se hanno tre anni o tre foglie, se avevano appena
conquistato il primo lavoro part-time e malpagato il giorno prima che l'hotel
fosse costretto a chiudere per fiamme o se avevano caparbiamente deciso di non
emigrare, se era la prima volta dopo anni che quel ristorantino là sul mare
cominciava ad avere clienti e finalmente poteva finire di pagare le rate del
prestito o se in quel momento insieme alle fiamme lungo la ferrovia correva un
treno pieno di turisti.
Dovevano ammazzare la Sicilia e
lo hanno fatto da terroristi di professione, facendole prendere fuoco in più
punti contemporaneamente, secondo quello che sembra un piano ben studiato,
lasciando una ferita nella carne di ciascuno di noi e negli occhi una foto
tanto simbolica quanto spaventosa: quella delle fiamme che sembrano arrivare
dal mare e lo avvolgono, creandogli tutto intorno un innaturale e invalicabile orizzonte
di fuoco.
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