martedì 6 marzo 2012

Sicula fenice


A volte ci sono notizie che ti fanno venir meno non tanto la fiducia nella magistratura o nelle forze dell'ordine, quanto nel fatto che da sole e a mani nude potranno mai riuscire a combattere contro un drago che riesce sempre a rinascere da se stesso, a riprodursi come per talea: ne basta un pezzetto.
La notizia, che riguarda una banca dove i boss facevano il loro comodo, è di questa mattina. Ma il fatto è che quella stessa banca, la Sofige di Gela, era già stata sette anni fa al centro di indagini della magistratura: era finita che la Banca d'Italia l'aveva commissariata stabilendo per di più delle sanzioni pecuniarie per il direttore, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale accusati di non aver vigilato - rispettivamente - su gestione del credito, erogazione e controlli. L'avevano chiamata "Dirty money", denaro sporco, quell'operazione seguita a un'inchiesta della procura di Caltanissetta che nell'estate del 2005 portò all'arresto di sette persone perché all'interno di quell'istituto di credito, si metteva in essere - come scrisse qualcuno - un "generale supporto" all'organizzazione criminale della Stidda.
Appena due giorni dopo l'operazione, Bankitalia aveva provveduto a nominare un commissario straordinario e tre componenti di un "Comitato di sorveglianza", ma probabilmente non dev'essere bastato in quella città in cui tutto si ripete sempre uguale a se stesso, dove qualunque vicenda - che si tratti di una lite fra fidanzati o un'intimidazione mafiosa - passa per una tanica di benzina, dove le metastasi sono talmente diffuse che anche se levi tutto c'è il rischio che qualcosa resti e cominci a riprodursi.
E infatti così è stato. Questa mattina la Dia di Caltanissetta ha eseguito una nuova operazione antiriciclaggio, figlia di quell'altra, che ha messo in luce un giro internazionale di denaro sporco in cui sarebbero coinvolte decine di istituti bancari e società: più di trenta casi accertati di ripulitura dei soldi dei mafiosi e beni (fra i quali tre società dell'imprenditore catanese Giovanni Puma) per oltre venti milioni di euro sotto sequestro, riconducibili al boss Piddu Madonia.
Dev'essere per questo che questa nuova operazione l'hanno chiamata "Fenix", perché che ci sia ciascun lo dice e questo è già un passo avanti rispetto a quando ci raccontavano che la mafia non esiste, ma il dato di fatto è che - proprio come l'Araba Fenice - risorge sempre dalle proprie ceneri grazie a una rete impressionante di connivenze. E non aspetta cinquecento anni.

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