Io lo so cosa si prova quando qualcuno fa male al tuo cane. Ho visto con i miei occhi – restando paralizzata e impotente - un uomo col bastone spezzare la zampetta di un cucciolo che gli ronzava intorno perché voleva giocare. Ho sentito quella bastonata fratturare anche le mie ossa, una per una; ho sentito il suo guaito e il mio. Sento ancora quel dolore, ogni volta che ci ripenso, ogni volta che un uomo mette in atto una vendetta trasversale nei confronti di una donna che odia costringendo un bambino ad assistere alla violenza o facendo del male all’unico punto fermo di quel bambino – cane, gatto o pappagallo che sia -, l’unico rifugio e l’unica fonte di affetto in quell’inferno che si ostinano a chiamare famiglia.
Lo so talmente che vorrei avere davanti la faccia di merda che ieri a Roma, durante una lite furiosa con la moglie, ha strappato dalle braccia del figlio adolescente il suo cagnolino e lo ha lanciato dal settimo piano. Lo vorrei avere davanti non per sputargli in faccia o restituirgli la violenza – come pure istintivamente si sarebbe portati a fare -; del resto, lo hanno già arrestato e spero che chi lo deve giudicare terrà conto anche del fatto che dal 2005 è sancito, in tema di “violenza assistita“, che gli animali domestici sono figure di riferimento dei bambini e ragazzini. E che il dolore di un ragazzino e lo sconcerto di chi ha assistito alla scena non è «una pagliacciata», come ha detto l’assassino. Io quello lì lo vorrei guardare in faccia per fargli un quadro rapido dei sentimenti che proveranno verso di lui coloro ai quali ha fatto del male e di come sarà la sua vita.
A prescindere dal carcere, perché dal carcere – che è già una cosa terribile - prima o poi uscirà. Ed entrerà in un altro carcere: quello dei vicini (che infatti ieri lo volevano linciare) che lo disprezzeranno, dei familiari che tremeranno al pensiero di vederlo spuntare, di una madre che forse si vergognerà di lui, di una moglie che non vorrà più saperne perché avrebbe preferito essere ammazzata lei pur di non vedere soffrire il figlio, di un figlio che non vorrà incontrarlo mai più, nemmeno quando sarà vecchio e malato e avrà bisogno di assistenza e invece morirà solo, e glielo auguro di tutto cuore: solo come un cane.
Con la differenza che un cane, quel cane che lui vigliaccamente ha ucciso facendolo precipitare per 21 metri, dà affetto e quindi riceve affetto. Un cane non muore solo, un uomo malvagio invece sì.
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