Ieri ne sono morti altri due. Per trovare
notizie che li riguardassero ho dovuto scorrere fino in fondo la pagina del
sito di un grande quotidiano nazionale. Prima c’erano le elezioni in Germania,
lo scandalo dei baroni universitari, gli arresti per ‘ndrangheta in Lombardia;
poi i vaccini, lo ius soli; in mezzo una serie di menate: principi che
camminano mano nella mano, Noemi Letizia che si separa dal marito dopo tre mesi
di matrimonio, i baci Perugina con i bigliettini in dialetto, una miss che cade
in piscina. Alla fine, molto alla fine, li ho trovati: cronaca locale, poche
righe. Chi se ne frega.
Tiziano aveva 41 anni: è precipitato a Foggia dentro
un silos di grano dopo essere stato colpito dalle esalazioni ed è morto
soffocato. Di lui le cronache non ci dicono nient’altro.
Mario di anni ne aveva 38 e aveva pure una
moglie e due figli piccoli. È morto poco distante, a Stornara, schiacciato da
una fresatrice mentre lavorava nei campi.
Curioso: il frumento e la terra, cioè i simboli
della vita, che ti danno la morte. Ma il frumento e la terra non c’entrano
niente con queste che chiamano «morti bianche» e invece sono nere come
l’omicidio: omicidio sul lavoro in un Paese dove il lavoro non c’è e quando
arriva te lo prendi comunque sia, senza andare troppo per il sottile, senza
rivendicare tutele e misure di sicurezza. E quando muori, avanti il prossimo.
Così possono dirci che c’è un occupato in più.
Tiziano e Mario sono solo gli ultimi di una
lunga serie. Soltanto a settembre da nord a sud ne ho contati almeno una dozzina.
Molti forse non ce li raccontano. E non ci raccontano nemmeno gli infortuni sul
lavoro perché spesso non vengono nemmeno denunciati per non rischiare il
licenziamento. Se vai a cercare i dati, scopri che nei primi sette mesi 2017 le
morti sul lavoro sono aumentate dell’1,3% e gli incidenti del 5,2%. Settembre
ancora non c’era in questi numeri. Fra qualche tempo scopriremo che il mese
della ripresa del lavoro ha fatto riprendere anche morti e infortuni.
Ci saranno gli articoloni nel momento dei dati
ufficiali e delle dichiarazioni ministeriali, ma gli altri giorni soltanto
qualche “breve”, poche righe, un operaio qua, un bracciante là, un nero forse
non avrà nemmeno quello; vengono a rubarci il lavoro, non vorranno rubarci
anche la morte?
Ma poi bisogna fare spazio alle notizie che ci
fanno fare tanti clic e fanno guadagnare gli editori: le stesse che un secolo
fa venivano affidate agli strilloni, le stesse che secondo alcuni “maestri” di
giornalismo meritano un posto in prima fila. Già, quelli che si credevano
padroni, organici al sistema, e invece erano le colf dei padroni, ci spiegavano
che nella gerarchia delle notizie bisognava tenere presente la regola delle tre
S: sesso, sangue e soldi. E qui oggettivamente di sesso, dopo una giornata che
ti ammazzi di lavoro, non vuoi sentirne parlare, nemmeno di quello “canonico”,
che non fa notizia; soldi non se ne vedono, solo paghe che somigliano a
elemosine, la grande finanza nemmeno se ne accorge, i ministri economici se ne
sbattono; e, quanto al sangue, sì, c’è: ma non è quello che interessa agli
sciacalli, ai cultori della curiosità malata, a quelli che cercano tutti i
particolari in cronaca e più sono raccapriccianti e più godono.
Un morto sul lavoro non ha appeal, non serve ai governi per raccontarci palle
sull’occupazione, non attira gli inserzionisti pubblicitari. Un morto sul
lavoro non esiste. Ma forse, al contrario, sarebbe ora che qualche direttore di
giornale e qualche giornalista decidessero un atto di insubordinazione,
stravolgendo le gerarchie classiche, capovolgendo l’ordine delle notizie.
Perché il prodotto cambia se invece che il mostro in prima pagina ci sbatti il
morto (sul lavoro).
Così forse si capisce quali sono le priorità, senza
dover arrivare in fondo. Senza toccare il fondo.
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