Sarà che sto diventando
vecchia anch'io ma, per quanti sforzi di memoria faccia, un giornale italiano
che dedica quattro pagine (le prime quattro, copertina compresa) ai vecchi non
ricordo di averlo mai visto.
Lo ha fatto oggi Libération,
che non ha aperto – come tutti i quotidiani – con l’appuntamento mondano di
quelli che decidono tutto, ma appunto con quelli che non decidono più niente e
non dispongono della loro vita e della loro vecchiaia. Né, a dire il vero, in
quest’Italia giovanilista a tutti i costi, ricordo nessun appello come quello
lanciato in Francia da scienziati, intellettuali, professori universitari,
premi Nobel ed ex ministri per una vecchiaia libera e consapevole: perché Oltralpe
(come da noi) non esiste una politica per la vecchiaia. Che poi è lo spunto da
cui parte “Libé”.
In Francia sono circa
settecentomila i vecchi che vivono in case di riposo: soltanto pochi per
scelta, mentre la gran parte non ne ha alcuna voglia e i firmatari del
manifesto – la prima generazione i cui genitori finiscono i loro giorni all’ospizio
e non vorrebbero andarci per niente al mondo -, pongono una serie di questioni,
senza avere la pretesa di essere in possesso della soluzione. Che, del resto,
dovrebbe appartenere alla politica. A quanto pare disinteressata e incapace, se
l’unica cosa che riesce a pensare è di costruire altri posti dove garantire a
queste persone nient’altro che qualche pasto e qualche visita medica.
I firmatari dell’appello
– qualcuno dei quali è consapevole che si tratti di un’iniziativa naive – si chiedono come aiutare quanti
non vogliono andare all’ospizio a prepararsi a quest’eventualità, se sia
possibile spezzare questa fatalità, come dare la parola ai vecchi fino alla
fine e poi, una volta in casa di riposo, come continuare a mantenere un “a casa”
quando non si è più a casa.
Domande che restano
senza risposte, ma che forse dovrà cominciare a porsi, in Francia come in
Italia, questa nuova generazione di politici quarantenni: perché capiterà anche
a loro (o, almeno, ai più fortunati) di diventare vecchi. E se non faranno
qualcosa anche la loro di vecchiaia resterà – come si legge nel manifesto - «in
disparte, silenziosa, opaca, condannata all’invisibilità».
Mi è capitato, qualche
anno fa, di visitare alcune case di riposo e nemmeno le peggiori: i vecchi
erano come pezzi di carne buttati alla rinfusa su un bancone in attesa di
essere mangiati dai vermi. Morti prima ancora di morire. Lo dice chiaramente il
sociologo François de Singly, intervistato da Libération: quando sei là dentro,
non puoi parlare al futuro; quando sei a casa, invece, puoi pensare di
ricominciare. Legittime le preoccupazioni dei figli a lasciare soli genitori
che cadono in continuazione o dimenticano dove hanno messo le chiavi (o si ostinano a voler guidare la macchina) mentre «ricordano
benissimo – si legge nell’appello – il colore della loro bicicletta a rotelle».
E proprio per questo, per capire come conciliare inquietudini degli uni e
desideri degli altri, bisognerebbe cominciare a parlarne e sarebbe bello che
anche in Italia si aprisse il dibattito. Invece di fingere, come si fa anche
per la malattia mentale, che la vecchiaia non esista.
«Que l’on vive à Paris
On vit tous en province
Quand on vit trop longtemps» (Da Les vieux di Jacques
Brel)