Ma che bestie siete? Che male vi
ha fatto vostra figlia? E, soprattutto: noi saremmo la nazione civile rispetto
alla Turchia che legalizza lo stupro attraverso il matrimonio riparatore?
Vi avverto subito: non ho nessuna
intenzione né voglia di essere politicamente corretta - che poi in questo Paese
di baciapile significa ipocrita -, perché questa vicenda chiama in
causa tutti: dalle politiche per l’istruzione alle famiglie, passando per la
stampa.
È una storia tutta sbagliata
quella che arriva da Bari.
La storia è quella di una vita interrotta: la vita di una bambina di 12 anni che fa sesso con un compagnetto di
scuola di poco più grande – come lei “colpevole” solo di ignoranza indotta -,
resta incinta e partorisce. Ovviamente con il consenso dei genitori.
Prima trauma: restare incinta.
Secondo trauma: dirlo ai
genitori.
Terzo trauma: pianti,
disperazione dei genitori, discussioni più grandi di te se tutto va bene; urla,
botte, scambi di accuse nell’ipotesi più realistica.
Quarto trauma: tu quello non lo
vedi più.
Quinto trauma: essere risucchiati
in un vortice di incontri fra genitori, visite al parroco (scommettiamo?),
allestimento del corredino e rotture di coglioni varie che una eviterebbe
volentieri anche a trent’anni - e quando il figlio ha scelto di farlo -, ma non
si può perché i nonni ci resterebbero male. Perché comunque questo bimbo
nascerà e andrà vestito. E se è una femmina si chiamerà Pleistocene.
Sesto trauma: pancia che cresce,
gente per strada che ti guarda come fossi un animale strano (a meno che non
abbiano deciso di segregarti per nove mesi), qualcuno ti addita, qualcun altro
ridacchia. Per non parlare di chi a mezza bocca ti dà della zoccola.
Settimo trauma: un parto cesareo,
un’operazione in piena regola, pesante, quando a quell’età il massimo che ti
dovrebbe succedere è che ti tolgano le tonsille.
Ottavo trauma: nasce il bambino,
se sono gentili te lo fanno vedere, ma un istante dopo te lo tolgono. Quel
bambino non sarà mai tuo.
Ripeto le domande: che bestie
siete? che male vi ha fatto vostra figlia? Scommetto che voi siete di quelli
contrari all’educazione di genere nelle scuole. Scommetto che voi siete di
quelli che “oddio, il gender che vuole fare diventare tutti froci”. Scommetto
che voi siete di quelli che “fornicare” è peccato, ma abortire è ancora più
peccato. Scommetto che voi siete di quelli che “sia fatta la volontà” del
vostro dio del cazzo.
Sapete una cosa? È colpa vostra e di questa società bacchettona se quella povera bambina non ha capito niente di quello che le stava succedendo
prima, durante e dopo. Ed è colpa vostra e di questa società bacchettona se d’ora in avanti la sua vita sarà
quella di una bambina adulta, o di un’adulta bambina, di una persona comunque
che non sa quanti anni ha e non sa quale sia il suo ruolo nel mondo, perché non
è più piccola ma non è ancora grande, perché non è più solo figlia ma non è
nemmeno anche mamma. L’unica cosa sensata (non dico indolore, ma sensata) che
avreste potuto e dovuto fare per restituire a vostra figlia un barlume di
normalità sarebbe stato di farla abortire, a tutela della sua salute fisica e
mentale, ma probabilmente avete preferito ascoltare il parroco piuttosto che il
buon senso. E non vi rende meno colpevoli il fatto che questo bambino lo
alleverete voi. Io spero che viviate con il senso di colpa.
Però vorrei anche sapere come si
sono comportati medici e magistrati. Le cronache non chiariscono. Ci raccontano
invece (e qui arrivo al discorso che chiama in causa i giornalisti), come
fossero comari in visita alla puerpera, che il bambino alla nascita pesava tre
chili; ci riferiscono che il parto è avvenuto in una clinica privata di Bari;
qualcuno parla di gravidanza «inusuale» (ohibò!) e addirittura – c’è da non
crederci! – della «cicogna» che «ha fatto capolino»; infine precisano che la
storia non è avvenuta in un contesto degradato ma che entrambi i «baby-genitori
fanno parte di famiglie normali». Senza nemmeno uno straccio di virgolette ad
enfatizzare un’assurda presunta normalità.
La stessa, a ben pensarci, che
attribuite alle famiglie “per bene” dove un uomo “stimato professionista“, "accecato dalla gelosia" e colto “da raptus” ammazza la moglie che voleva
separarsi e decidere della propria vita.
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