sabato 6 agosto 2016

Braccialetti rotti


Qualche giorno fa mi sono ritrovata a stazionare a più riprese in una di quelle gioiellerie che, più che vendere, comprano oro e argento. Ho visto entrare e uscire diverse persone, chi con qualche pezzo di argenteria, chi con un bracciale d’oro a cui si era rotta la chiusura. Rottura provvidenziale, di solito, perché sono mesi, anni, che lo guardi pensando che tanto non lo userai più e sarebbe meglio disfarsene e farlo fruttare, ma non ti decidi finché non si rompe e i soldi per farlo riparare non li hai. Entrano, si guardano intorno per accertarsi che nessun conoscente li abbia visti, si vergognano come ladri, restano seduti in pizzo sulla sedia come podisti in attesa del colpo di pistola, parlano a bassa voce come a svelare qualche segreto inconfessabile.
Si discute di canone Rai, di Enel, di una società parallela che avrebbe dovuto farti risparmiare e invece era una truffa. Il gioielliere dai cassetti strabordanti di banconote intanto pesa. Un po’ pesa e un po’ conversa, fa una foto al bracciale, emette il verdetto, paga, mette in relazione i presenti: “clienti” lui li chiama, forse solo per sottolineare l’assiduità del rapporto, ma in realtà tecnicamente sarebbero dei fornitori, perché sono loro che vendono e lui che compra. Si mettessero in società, sarebbero già una multinazionale.
La signora del braccialetto rotto prende un paio di banconote, le arrotola, le infila in una tasca: “Con queste – dice, e lo dice al femminile perché ragiona ancora in lire – ci paghiamo una bolletta”. Poteva essere il ricordo di una persona che non c’è più o quello che restava di un amore finito, o ancora il regalo per la nascita di un figlio: adesso vale quanto una bolletta dell’Enel. Magari di quella con il canone Rai che Renzi ci fa pagare così possiamo guardarlo in questi giorni che si fa le vacanze con tutta la famiglia a Rio, con la scusa delle Olimpiadi, pagato con i nostri soldi. Noi poveri di qua, a guardarlo rotolare nei lustrini e nei fuochi d’artificio televisivi; specularmente loro là, i bambini delle favelas, a guardare da vicino eppure mai così lontano un mondo artificiale che fa lo sciacallo sulle nostre nostra ossa ormai senza pelle. In mezzo lui, che ha fatto della tv di Stato la sua tv personale, senza nemmeno il rischio d’impresa che Berlusconi mette nelle sue, ma con gli stessi editti bulgari e gli stessi giornalisti e direttori più o meno generali che si è scelto personalmente perché facciano sì con la testa come i cagnolini di pezza delle auto e quel sì lo iniettino nei cervelli degli italiani fino al referendum
Quanti braccialetti rotti ci vogliono per pagare le vacanze a Renzi, alla sua famiglia e alle persone del suo staff? Quanti braccialetti rotti dovrà vendere la signora che ragiona in lire per pagare il canone di una tv privata? Quanti colpi di pistola ci vorranno – non per dare il via ad una gara, ma per scrivere la parola fine sulla vita di persone disperate – prima che gli italiani si sveglino da questo sonno di morte, la smettano di vergognarsi come ladri di colpe non loro che li hanno portati all’indigenza e lo caccino via con un fragoroso cacerolazo?

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