Il soffitto della mia camera da
letto è pieno di crepe. Nelle altre stanze non lo so. Nelle altre stanze,
quando le dita galoppano sulla tastiera del computer e i pensieri rincorrono le
parole, quando leggi un libro appallottolata dentro una poltrona che ti
contiene tutta, quando mangi, prepari l'insalata o guardi la tv, non ti capita
mai di sollevare lo sguardo. La camera da letto è l'unica dove stai con il naso
all'insù. Stai leggendo, un pensiero aggancia una parola, un filo di fumo lo
guida verso l'alto e ti ritrovi a scrutare dentro una di quelle carte
geografiche dove sono segnati solo i fiumi, corti, lunghi, sottili, larghi, tortuosi,
sempre più lunghi, sempre più larghi: ogni volta scopri che ce n'è una in più e
che quelle che già c'erano te le ricordavi più piccole, che si stanno espandendo
in maniera inquietante. Prima o poi - pensi - crollerà tutto all'improvviso.
Spegni la luce per non vedere; domani te ne sarai già dimenticata; intanto però
il cervello continua a seguire il filo, non più di fumo ma di ragionamento. Ed
è quello che ti frega: il ragionamento. Il ragionamento che va a briglia
sciolta e non vuol sentire ragioni e te lo dice chiaro, sparato come uno
schiaffo, che le crepe sul soffitto sono le ferite del cuore: ogni lutto, ogni
amore perduto, ogni distacco, ogni delusione politica. Adesso dormi, domani non
ci penserai più; domani continuerai a picchiare sulla tastiera del computer
come se fosse quella della Lettera32, per sentire forte il rumore dei tasti, a
leggere per stordirti di parole, a guardare la tv per coprire i pensieri con il
frastuono del vuoto di idee e dell'opportunismo. Sarà per un'altra sera, quando
un filo di fumo ti indicherà nuove crepe aperte; quando penserai che forse è
arrivato il momento di chiamare qualcuno. Il problema è che non sai se devi
chiamare un medico dei cuori o un medico delle case.
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