martedì 26 febbraio 2013

Il mio Quarto stato, ingombrante eppure lieve

Per la prima volta in più di quarant'anni non mi era pesato rinunciare al mio simbolo, quella falce e martello che - pur mantenendo strumenti antichi e desueti - significava la lotta per i diritti dei lavoratori e, per caduta, per tutti i diritti e per i diritti di tutti. Quel simbolo comunque c'era: c'era in quel Quarto stato la cui riproduzione mi segue dai tempi del liceo in ogni casa e che condiziona ogni volta la scelta della mia nuova casa e della disposizione degli arredi, perché è enorme e perfino ingombrante ma prima di tutto, prima di capire come mettere i mobili, bisogna trovargli una parete adatta. Poi bisogna fare una gran fatica per tirarlo su e appenderlo senza rimanerne schiacciati, metafora forse di quanto sia diventato difficile in questo Paese sostenere il peso delle cose giuste. Ma è, è sempre stato, lieve: decidere di fare la fila come tutti, di non frequentare quelli che contano perché potrebbero tornarti utili, di non andare avanti per raccomandazioni anche a costo di fare la fame, di essere guardata con disprezzo e scherno perché sei una persona onesta. Ridano pure quanto vogliono i porci che hanno il copyright della disonestà e quegli altri che hanno sbianchettato i simboli e svenduto le idee alle banche, agli appalti, ai padroni e creduto di vincere cercando di intimidirci o di scioglierci nell'acido dei loro tg. Non hanno vinto, non avranno mai il mio voto e hanno perduto la dignità. Io non ho vinto, ma la dignità non l'ho perduta. E mi riprendo i miei simboli, tutti: la falce e martello e il Quarto stato. Difficili, dolorosi, struggenti, pesanti, ingombranti e a un tempo lievi e inebrianti come un grande amore che niente e nessuno potrà mai cancellare dal tuo cuore.

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