Una decina di giorni fa, in provincia di Lucca, un uomo ha ucciso i suoi due datori di lavoro che lo avevano licenziato e poi si è suicidato: l’indomani a Roma un giovane che aveva perso il lavoro sei mesi prima ha ucciso a colpi di mazza da baseball il suo ex datore di lavoro; un altro l’estate scorsa in Emilia ha ammazzato la moglie e i suoi due figli e ha tentato il suicidio: era disoccupato; stessa scena e stesso periodo a Varese; nell’aprile scorso un altro si è impiccato: in cassa integrazione da un anno lui, in cassa integrazione da un anno la moglie, con due figlie da mantenere; in gennaio nelle Marche un operaio senza lavoro si è lanciato dalla finestra di casa poco prima che arrivasse l’ufficiale giudiziario a notificargli lo sfratto...e questo elenco potrebbe continuare all’infinito: una lunga scia di morti sul lavoro che non c’è. E anche quando la causa del delitto è un’altra – la moglie uccisa per un sospetto di tradimento, un genitore assassinato per una malattia grave -, poi si scopre che la mano di chi l’ha commesso era quella di un disoccupato. Perché vai fuori di testa e ogni cosa ti sembra una montagna da scalare in totale solitudine e senza nemmeno un telefonino per chiedere aiuto.
Ma cosa sta succedendo? Non lo so, non sono un sociologo né uno psichiatra. So però che l’informazione di regime, spesso così solerte a creare collegamenti fra fatti di sangue, non sembra accorgersi di alcun legame: come se quei grappoli di “casi isolati” fossero solo un caso. E so che spesso, di fronte a questo continuo susseguirsi di licenziamenti senza motivo – o, meglio, solo a ragione del maggior profitto che induce a “delocalizzare” dove gli schiavi sono più schiavi –, mi chiedo perché nessuno si incazzi, perché restiamo tutti così indifferenti. A volte qualcuno si incazza, ma da solo. E se ti incazzi da solo, t’incazzi nel modo sbagliato: uccidendoti o uccidendo i tuoi figli.
Quello che manca, appunto, è una sana incazzatura collettiva e qualcuno che la guidi. E forse è proprio questo il punto: sindacati (a parte alcune frange sempre più sparute) che non fanno il loro mestiere, una sinistra comunista che non c’è più, una “sinistra” (?) moderata a cui piace condividere la bella vita dei padroni e persino candidarli nelle sue liste. Ma c’è anche altro: c’è che cammini per strada e hai la sensazione di essere trasparente; c’è che ti dicono “rivolgiti al tale” e diventi pazzo per lo schifo che ti provoca questa ulteriore forma di schiavitù che si chiama clientelismo e alla quale tutti sembrano assuefatti; c’è che accendi la tv e i telegiornali – invece di darti le notizie – ti fanno vedere un mondo che non c’è: pieno di suv, di puttanoni ingioiellati e vestiti di animali morti, di coatte verdoniane trasformate in dive da un cerebroleso convinto di meritare il Pulitzer.
E allora t’incazzi, perché tu lo sai che il mondo vero non è quello, ma ti senti impotente perché gli altri sono convinti che lo sia. E t’incazzi da solo.
sabato 31 luglio 2010
giovedì 29 luglio 2010
Più etilometri per tutti
Lo sapevate che in Italia l’infanticidio è punito con una pena minore rispetto all’omicidio? Da quattro a dodici anni in tutto se ammazzi un neonato, non meno di ventuno per gli altri casi. Segno che per il fascismo la vita di un bambino appena nato valeva ben poco. Sì, per il fascismo, perché il codice penale vigente nel nostro Paese è ancora quello: il famigerato codice Rocco del 1930. Modificato, certo, in qualche parte nel corso di quasi un secolo, ma evidentemente a nessuno è mai venuto in mente di cancellarlo e rifarlo nuovo. Cosa che invece avviene spesso per il codice della strada, che ciclicamente genera nei governi il bisogno compulsivo di stravolgerlo. In nome della sicurezza, ça va sans dire. E, in nome della sicurezza, dunque, ci si inventa lo specchietto laterale sinistro, poi lo specchietto laterale destro, poi le cinture, i freni con l’abs, gli air-bag, ora pure gli etilometri da installare in ogni locale pubblico. Perché ciclicamente qualcuno avverte il bisogno compulsivo di produrre specchietti, cinture, freni e dunque nuove auto in cui infilarci tutte queste cose di serie – salvo poi dare un calcio in culo ai lavoratori e “delocalizzare” dove ci sono schiavi più schiavi degli italiani – e garantirsi la propria sicurezza economica.
Ora, ricordate per esempio la Rocksoil? E’ l’azienda vincitrice della gara d’appalto per l’alta velocità che dovrà ridurre in briciole la Val di Susa. Ebbene, la Rocksoil è di proprietà dell’ex Ministro delle Infrastrutture Lunardi, quello che auspicava la convivenza con la mafia, e il sospetto che tutto questo sia stato fatto per favorirlo è forte. Sospetto che si insinua anche a sentir parlare di quella che oggi molti giornalisti definiscono “la rivoluzione” (mio dio, come siamo caduti in basso!) del codice della strada voluto dal governo Berlusconi, che fra l’altro prevede appunto l’installazione degli etilometri in ogni locale pubblico. Beh, a parte che alcuni studi ne sostengono l’inaffidabilità (detto in italiano, sarebbe una truffa), bisognerebbe guardare gli assetti societari delle aziende produttrici: sicuramente salterà fuori come azionista qualche ministro o parente di ministro che ringrazierà per il boom delle vendite. D’altra parte, bisogna capirli: per loro la famiglia è tutto.
Ora, ricordate per esempio la Rocksoil? E’ l’azienda vincitrice della gara d’appalto per l’alta velocità che dovrà ridurre in briciole la Val di Susa. Ebbene, la Rocksoil è di proprietà dell’ex Ministro delle Infrastrutture Lunardi, quello che auspicava la convivenza con la mafia, e il sospetto che tutto questo sia stato fatto per favorirlo è forte. Sospetto che si insinua anche a sentir parlare di quella che oggi molti giornalisti definiscono “la rivoluzione” (mio dio, come siamo caduti in basso!) del codice della strada voluto dal governo Berlusconi, che fra l’altro prevede appunto l’installazione degli etilometri in ogni locale pubblico. Beh, a parte che alcuni studi ne sostengono l’inaffidabilità (detto in italiano, sarebbe una truffa), bisognerebbe guardare gli assetti societari delle aziende produttrici: sicuramente salterà fuori come azionista qualche ministro o parente di ministro che ringrazierà per il boom delle vendite. D’altra parte, bisogna capirli: per loro la famiglia è tutto.
mercoledì 28 luglio 2010
Ladri di dignità
Questa lettera l'ho inviata al quotidiano La Sicilia, che l'ha subito pubblicata, lo scorso 5 giugno. Pensavo che qualcuno un po' di vergogna l'avrebbe provata. Povera illusa! Quanti ne abbiamo oggi? E' il 28 luglio: sono passati quasi due mesi. Pensate che qualcuno sia mai passato in tutto questo tempo a fare un po' di pulizia? Assolutamente no! Avrei voluto fare un po' di foto, ma forse è inutile: perché in foto puoi vedere tutto, le cicche, le cartacce, le panchine sfondate, le bottiglie rotte, persino il vomito, ma la puzza di piscio non si può immortalare.
Nelle nostre tuttora antiche famiglie siciliane, fin da bambini e a prescindere dallo status sociale, ci hanno insegnato che la casa va pulita tutti i giorni; oggi che abbiamo tutti meno tempo, per un giorno puoi non passare la lucidatrice, ma bagno e cucina, per esempio, devono far parte delle pulizie quotidiane. E poi, quando aspetti ospiti, ci si dà alle pulizie straordinarie, perché l’ospite nelle nostre case è sempre “di riguardo” e tutto deve risplendere per accoglierlo.
Ora a Catania gli ospiti, i turisti, sono arrivati ma non sembra siano graditi a giudicare da come gli facciamo trovare la nostra città. Faccio solo l’esempio della scalinata del largo Paisiello, non perché sia la sola ma perché è metafora di un’intera città: ci passo decine di volte al giorno e decine sono i turisti che vedo contorcersi il volto come se volessero risucchiare all’interno le narici e percorrere quelle scale a passo svelto in apnea per emergere più in fretta possibile da quella cloaca in cui la pipì ha ormai impregnato i pavimenti solcandoli di orribili strisce nere. Li guardo e mi vergogno io come una ladra al posto dei ladri veri. Non parlo di vicende giudiziarie, ché su di quelle avrebbe competenza la magistratura (se soltanto avesse voglia di non girarsi dall’altra parte come fanno tutti), ma di furto della dignità di questa città perpetrato quotidianamente dalla nostra amministrazione.
La destra non fa altro che riempirsi la bocca della parola “turismo”, quello che li tiene tutti a libro paga si è perfino inventato un ministero per trovare una collocazione a una venditrice di calze postribolari, pure il ministro della cosiddetta Istruzione si è messo a ragionare in termini turistici pur di giustificare i tagli alla scuola, ma quando c’è da fare il minimo indispensabile per accogliere gli ospiti – e cioè rendere le città pulite e vivibili – all’improvviso non se ne ricordano più.
Preferisco pensare che il sindaco Stancanelli e i suoi assessori non siano mai passati dal largo Paisiello (e forse in nessuna strada di Catania) e per questo non si rendono conto: altrimenti dovrei dedurne che quello è il loro ambiente naturale e perciò non avvertono alcun fastidio. E alcuna vergogna.
Nelle nostre tuttora antiche famiglie siciliane, fin da bambini e a prescindere dallo status sociale, ci hanno insegnato che la casa va pulita tutti i giorni; oggi che abbiamo tutti meno tempo, per un giorno puoi non passare la lucidatrice, ma bagno e cucina, per esempio, devono far parte delle pulizie quotidiane. E poi, quando aspetti ospiti, ci si dà alle pulizie straordinarie, perché l’ospite nelle nostre case è sempre “di riguardo” e tutto deve risplendere per accoglierlo.
Ora a Catania gli ospiti, i turisti, sono arrivati ma non sembra siano graditi a giudicare da come gli facciamo trovare la nostra città. Faccio solo l’esempio della scalinata del largo Paisiello, non perché sia la sola ma perché è metafora di un’intera città: ci passo decine di volte al giorno e decine sono i turisti che vedo contorcersi il volto come se volessero risucchiare all’interno le narici e percorrere quelle scale a passo svelto in apnea per emergere più in fretta possibile da quella cloaca in cui la pipì ha ormai impregnato i pavimenti solcandoli di orribili strisce nere. Li guardo e mi vergogno io come una ladra al posto dei ladri veri. Non parlo di vicende giudiziarie, ché su di quelle avrebbe competenza la magistratura (se soltanto avesse voglia di non girarsi dall’altra parte come fanno tutti), ma di furto della dignità di questa città perpetrato quotidianamente dalla nostra amministrazione.
La destra non fa altro che riempirsi la bocca della parola “turismo”, quello che li tiene tutti a libro paga si è perfino inventato un ministero per trovare una collocazione a una venditrice di calze postribolari, pure il ministro della cosiddetta Istruzione si è messo a ragionare in termini turistici pur di giustificare i tagli alla scuola, ma quando c’è da fare il minimo indispensabile per accogliere gli ospiti – e cioè rendere le città pulite e vivibili – all’improvviso non se ne ricordano più.
Preferisco pensare che il sindaco Stancanelli e i suoi assessori non siano mai passati dal largo Paisiello (e forse in nessuna strada di Catania) e per questo non si rendono conto: altrimenti dovrei dedurne che quello è il loro ambiente naturale e perciò non avvertono alcun fastidio. E alcuna vergogna.
martedì 27 luglio 2010
L'alluce
Dicono che trovare lavoro sia un lavoro. Se così è (e così è), io lavoro febbrilmente e senza sosta da cinque anni: niente otto ore, niente ferie, niente pause settimanali...roba che se trovassi un lavoro dovrei rifiutarlo per troppo lavoro! Comunque sia, in questi cinque anni un paio di mesi li ho dedicati esclusivamente alla lettura delle offerte di lavoro su Internet. Ne è venuta fuori questa analisi (anche logica e grammaticale) semiseria - se non fosse tragica! -, spaccato della società in cui viviamo tutta intrisa di berlusconismo e arroganza maschile.
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Quest’analisi semiseria delle offerte di lavoro nel mondo dell’immagine, del culto della gioventù coltivato attraverso elisir di lunga vita e trapianti di capelli, dei lavoratori senza tutele, del futuro senza futuro, è il frutto di due mesi trascorsi al computer a cercare un posto qualunque via Internet.
Gli annunci sono stati volutamente lasciati così com’erano, con tutti gli errori di grammatica e di ortografia possibili, per far vedere in che mani siamo.
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Il testo integrale su ebookKindle
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Quest’analisi semiseria delle offerte di lavoro nel mondo dell’immagine, del culto della gioventù coltivato attraverso elisir di lunga vita e trapianti di capelli, dei lavoratori senza tutele, del futuro senza futuro, è il frutto di due mesi trascorsi al computer a cercare un posto qualunque via Internet.
Gli annunci sono stati volutamente lasciati così com’erano, con tutti gli errori di grammatica e di ortografia possibili, per far vedere in che mani siamo.
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Grande partito liberale?
Gianfranco Fini è intervenuto ancora una volta a gamba tesa nelle polemiche interne al Pdl per difendere Fabio Granata - attaccato dai forzisti del suo partito per avere detto che nella maggioranza c'è qualcuno che si oppone alla lotta alla mafia - affermando a chiare lettere che nel Pdl la questione morale c'è eccome. E aggiungendo che «Quando si pone la questione morale, non si può essere considerati dei provocatori, né si può reagire con anatemi, o minacciando espulsioni che non appartengono alla storia di un grande partito liberale di massa come lo abbiamo immaginato». Tutto giusto, tutto perfetto, se non fosse per qualche dettaglio. Primo: onorevole Fini, quando ha deciso di chiudere An e confluire nel Pdl, lei non aveva mai sentito parlare, per esempio, di Marcello Dell'Utri? E non le era mai capitato di leggere su un giornale che un tal Vittorio Mangano, mafioso, pluriomicida, nonché culo e camicia con il suddetto Dell'Utri, viveva ad Arcore nella villa di Silvio Berlusconi, ufficialmente con il ruolo di stalliere? Suvvia, presidente, va bene che il "fini" giustifica i mezzi, ma non mi faccia quello che casca dal pero! Secondo: nel definire il Pdl, su tre parole ne ha sbagliate due. Ma come si fa a parlare di storia? Come si fa a fare la storia a partire da un predellino? Lasci stare la storia parlando del suo nuovo partito: al più, date le abitudini del suo leader, potrebbe essere un'avventura. E come si fa a parlare di partito liberale? Onorevole, lei che ha cominciato a fare politica da giovane, quando la politica si faceva seriamente e per farla seriamente si studiava, lei che ai miei occhi resta sempre il pupillo di Almirante e dunque un fascista e dunque il peggio che possa esserci, ma certamente non c'entra niente con questa politica Cepu instaurata dal suo padrone,dovrebbe sapere che il liberalismo è altra cosa. E allora, per piacere, almeno usi altre parole. Per non offendere la nostra e la sua intelligenza.
Comunisti: identità a macchia di leopardo
Riporto un mio articolo, pubblicato sul numero di giugno di Botteghe oscure (periodico politico realizzato nel trapanese), che voleva essere un piccolissimo contributo al dibattito interno alla Federazione della Sinistra.
In una qualunque città di un qualsiasi punto d’Italia ci sono dei piccoli dirigenti di Rifondazione comunista che a parole dicono sì alla Federazione della Sinistra, ma in realtà solo a sentirne parlare gli viene l’orticaria. E in una qualunque città di un qualsiasi punto d’Italia ci sono dei piccoli dirigenti dei Comunisti italiani che si riempiono di bolle su tutto il corpo ogni volta che sentono parlare di FdS. Per fortuna a bilanciarli ci sono circoli e sezioni che si trovano “naturalmente” a condividere le attività o giovani che si giurano amore (politico) eterno.
Ma il risultato non cambia. O, meglio, non cambia il refrain che da anni accompagna l’esistenza della sinistra e dei comunisti: ci radichiamo sul territorio a macchia di leopardo, vinciamo (vincevamo) a macchia di leopardo, e ora persino ci unifichiamo (o litighiamo) a macchia di leopardo.
A sentire qualche dirigente che non rinuncia a infondere ottimismo nella base negando persino l’evidenza, la situazione va a gonfie vele o poco ci manca, tanto che entro l’anno si dovrebbe andare a congresso. E anche qui, a ben guardare, c’è qualcosa che non quadra: perché in realtà prima si era parlato di ottobre come termine ultimo e questo non è che l’ennesimo slittamento e sintomo di difficoltà di un processo che sembra andare al passo del gambero. E dal quale comunque – sottolinea qualcuno – ormai è impensabile tornare indietro anche perché dove la Federazione è una realtà, e lo è spesso per la determinazione dei militanti di base che si sono messi a fare le cose insieme, i risultati si vedono. Ma, appunto, a macchia di leopardo. Perché poi c’è sempre qualche scadenza elettorale che avvelena i rapporti e costringe a fare i conti con le urgenze o, peggio, può dare la sensazione di trovarsi di fronte a un cartello elettorale che si scioglierà come neve al sole.
La verità, oltre che la ragione dello smarrimento che sembra avvolgere i militanti dei due partiti, forse sta nel vedere i dirigenti chiusi nelle stanze a stilare organigrammi per non ammettere la difficoltà di trovare argomenti dei quali parlare con quei ceti deboli di cui la sinistra dovrebbe essere naturale rappresentante. Riunioni estenuanti, nelle quali ogni parola viene passata al setaccio a riprova di antichi rancori e diffidenze non ancora superati, tanto da indurre qualche dirigente nazionale a dichiarare in confidenza di averne fin sopra i capelli.
E certo la situazione economica non aiuta: dalla Val d’Aosta alla Sicilia, dove c’è la volontà e un minimo di disponibilità pecuniaria, la Federazione è già realtà con sedi comuni, portavoce comuni, iniziative comuni. Piccoli sprazzi di luce in una realtà che rispecchia quella dei partiti nazionali, costretti persino a licenziare o a mettere in cassa integrazione i dipendenti e a chiudere o ridimensionare i giornali: difficoltà ulteriore quella di farsi sentire, aggiunta al silenzio totale dei media che ignorano sistematicamente e scientificamente la presenza di quella che potrebbe essere l’unica voce di vera opposizione in un quadro in cui il Pd balbetta sulla presenza dei nostri militari in Afghanistan e l’IdV – partito/Dracula che si alimenta delle sconfitte elettorali della sinistra – dà il via libera al federalismo demaniale facendo un favore ai mafiosi. Per non parlare della realtà siciliana dove la FdS – fatte salve le aree tradizionalmente “rosse”, come le province di Enna e Siracusa e qualche enclave a vocazione bracciantile e pur con la buona volontà delle segreterie regionali dei partiti – sembra non riuscire a trovare una strada, avendo perduto da un pezzo i voti dell’elettorato popolare e adesso persino quel po’ di elettorato di opinione oggi più comodamente e opportunisticamente rivolto verso un Partito democratico con il quale è impossibile interloquire, votato com’è all’inciucismo ad ogni costo. Persino a costo di appoggiare il governo Lombardo e non avere un minuto di esitazione nemmeno dopo che il presidente della Regione è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sarebbe buon senso, in una realtà nazionale che sta riducendo sempre di più gli spazi di democrazia e in una realtà locale in cui imperano clientelismo e malaffare, mettere da parte i personalismi, i protagonismi e le patetiche ambizioni di potere, e ricordarsi che i comunisti esistono non per assicurarsi qualche poltrona o qualche strapuntino, ma per difendere i lavoratori. Eppure così non è e non resta che quel senso di assenza di identità, “smarrimento, confusione, perdita di senso della politica” di cui si parla in una lettera scritta da un gruppo di militanti di Rifondazione comunista (da assumere in toto, se non fosse che sembra di cogliervi una tentazione di riavvolgere il nastro e tornare allo status quo ante) in cui si sottolinea la “continua emorragia di voti e di consensi che ad ogni elezione misuriamo, quasi fossimo ragionieri a cui non tornano i conti” e si respinge la pratica – errore reiterato - di nascondere e minimizzare le sconfitte: “E’ necessario chiamare le cose con il proprio nome”, vi si legge e viene in mente La Fontaine e i suoi animali malati di peste: “un male che diffonde il terrore...la peste, giacché bisogna chiamarla con il suo nome”. Forse il punto è proprio lì: cominciare a chiamare il male con il suo nome per trovare un rimedio.
In una qualunque città di un qualsiasi punto d’Italia ci sono dei piccoli dirigenti di Rifondazione comunista che a parole dicono sì alla Federazione della Sinistra, ma in realtà solo a sentirne parlare gli viene l’orticaria. E in una qualunque città di un qualsiasi punto d’Italia ci sono dei piccoli dirigenti dei Comunisti italiani che si riempiono di bolle su tutto il corpo ogni volta che sentono parlare di FdS. Per fortuna a bilanciarli ci sono circoli e sezioni che si trovano “naturalmente” a condividere le attività o giovani che si giurano amore (politico) eterno.
Ma il risultato non cambia. O, meglio, non cambia il refrain che da anni accompagna l’esistenza della sinistra e dei comunisti: ci radichiamo sul territorio a macchia di leopardo, vinciamo (vincevamo) a macchia di leopardo, e ora persino ci unifichiamo (o litighiamo) a macchia di leopardo.
A sentire qualche dirigente che non rinuncia a infondere ottimismo nella base negando persino l’evidenza, la situazione va a gonfie vele o poco ci manca, tanto che entro l’anno si dovrebbe andare a congresso. E anche qui, a ben guardare, c’è qualcosa che non quadra: perché in realtà prima si era parlato di ottobre come termine ultimo e questo non è che l’ennesimo slittamento e sintomo di difficoltà di un processo che sembra andare al passo del gambero. E dal quale comunque – sottolinea qualcuno – ormai è impensabile tornare indietro anche perché dove la Federazione è una realtà, e lo è spesso per la determinazione dei militanti di base che si sono messi a fare le cose insieme, i risultati si vedono. Ma, appunto, a macchia di leopardo. Perché poi c’è sempre qualche scadenza elettorale che avvelena i rapporti e costringe a fare i conti con le urgenze o, peggio, può dare la sensazione di trovarsi di fronte a un cartello elettorale che si scioglierà come neve al sole.
La verità, oltre che la ragione dello smarrimento che sembra avvolgere i militanti dei due partiti, forse sta nel vedere i dirigenti chiusi nelle stanze a stilare organigrammi per non ammettere la difficoltà di trovare argomenti dei quali parlare con quei ceti deboli di cui la sinistra dovrebbe essere naturale rappresentante. Riunioni estenuanti, nelle quali ogni parola viene passata al setaccio a riprova di antichi rancori e diffidenze non ancora superati, tanto da indurre qualche dirigente nazionale a dichiarare in confidenza di averne fin sopra i capelli.
E certo la situazione economica non aiuta: dalla Val d’Aosta alla Sicilia, dove c’è la volontà e un minimo di disponibilità pecuniaria, la Federazione è già realtà con sedi comuni, portavoce comuni, iniziative comuni. Piccoli sprazzi di luce in una realtà che rispecchia quella dei partiti nazionali, costretti persino a licenziare o a mettere in cassa integrazione i dipendenti e a chiudere o ridimensionare i giornali: difficoltà ulteriore quella di farsi sentire, aggiunta al silenzio totale dei media che ignorano sistematicamente e scientificamente la presenza di quella che potrebbe essere l’unica voce di vera opposizione in un quadro in cui il Pd balbetta sulla presenza dei nostri militari in Afghanistan e l’IdV – partito/Dracula che si alimenta delle sconfitte elettorali della sinistra – dà il via libera al federalismo demaniale facendo un favore ai mafiosi. Per non parlare della realtà siciliana dove la FdS – fatte salve le aree tradizionalmente “rosse”, come le province di Enna e Siracusa e qualche enclave a vocazione bracciantile e pur con la buona volontà delle segreterie regionali dei partiti – sembra non riuscire a trovare una strada, avendo perduto da un pezzo i voti dell’elettorato popolare e adesso persino quel po’ di elettorato di opinione oggi più comodamente e opportunisticamente rivolto verso un Partito democratico con il quale è impossibile interloquire, votato com’è all’inciucismo ad ogni costo. Persino a costo di appoggiare il governo Lombardo e non avere un minuto di esitazione nemmeno dopo che il presidente della Regione è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sarebbe buon senso, in una realtà nazionale che sta riducendo sempre di più gli spazi di democrazia e in una realtà locale in cui imperano clientelismo e malaffare, mettere da parte i personalismi, i protagonismi e le patetiche ambizioni di potere, e ricordarsi che i comunisti esistono non per assicurarsi qualche poltrona o qualche strapuntino, ma per difendere i lavoratori. Eppure così non è e non resta che quel senso di assenza di identità, “smarrimento, confusione, perdita di senso della politica” di cui si parla in una lettera scritta da un gruppo di militanti di Rifondazione comunista (da assumere in toto, se non fosse che sembra di cogliervi una tentazione di riavvolgere il nastro e tornare allo status quo ante) in cui si sottolinea la “continua emorragia di voti e di consensi che ad ogni elezione misuriamo, quasi fossimo ragionieri a cui non tornano i conti” e si respinge la pratica – errore reiterato - di nascondere e minimizzare le sconfitte: “E’ necessario chiamare le cose con il proprio nome”, vi si legge e viene in mente La Fontaine e i suoi animali malati di peste: “un male che diffonde il terrore...la peste, giacché bisogna chiamarla con il suo nome”. Forse il punto è proprio lì: cominciare a chiamare il male con il suo nome per trovare un rimedio.
doppio brodo star
Catania, ore 9 del mattino, solarium di piazza Europa. Un signore esce come Venere dall'onda, ignaro (?!) di avere appena condiviso il suo bagno con l'intero contenuto di un cassonetto della spazzatura, e con grande soddisfazione annuncia: "Au, l'acqua iè comu u broru!".
Ah, ecco. Dev'essere per questo che ci hanno messo a bollire le verdure.
Ah, ecco. Dev'essere per questo che ci hanno messo a bollire le verdure.
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