domenica 8 marzo 2020

Volersi bene a distanza

Facciamo che oggi è il 29 marzo. Da qualche anno non è una bella data per la mia famiglia, però stavolta sì: ieri abbiamo festeggiato il compleanno della mamma, che in realtà lo fa il 27, ma abbiamo aspettato che arrivassero tutti. Gabriella è arrivata da Orvieto, Carlo e Ines da Bologna, Elena Emiliano Ludovico e Jacopo da Roma, zia Tata da Modica. Mancava solo Daniele, manca da quell’altro 29 marzo e la sua assenza è sempre presente e devastante.
Sono mesi che organizziamo questa cosa: quelli che arrivavano da fuori hanno preso i biglietti per tempo. E ieri è stata proprio una bella festa. La mamma era davvero contenta di avere intorno figlie, sorella, nipoti e pronipoti, ha fatto un po’ di citazioni in latino che una volta a casa nostra durante il pranzo non mancavano mai, ha battibeccato con suo marito, ha rimproverato più volte lo chef che sbagliava i congiuntivi, ha parlato di quando i ricevimenti li faceva a casa e cucinava tutto lei e non al ristorante ché le cose non saranno mai buone come le vorrebbe e come le fa lei, ha ricostruito letterariamente le epidemie nei secoli, ci ha spiegato cosa avrebbe dovuto fare il governo nell’emergenza corona virus, ha detto che comunque lei sta benissimo e non la scalfisce niente. E io, come sempre, un po’ mi sono incazzata e un po’ ho riso per queste sue incrollabili certezze che non lasciano mai spazio al dubbio.
Oggi è il 29 marzo, sono già ripartiti tutti e siamo tutti un po’ tristi, però siamo anche contenti perché ce l’abbiamo fatta, ci siamo arrivati tutti e siamo riusciti a festeggiare, malgrado nelle ultime settimane non ne fossimo più così sicuri e il volo di ritorno di Carlo e Ines era stato annullato tanto che ne hanno comprato un altro, perché non si poteva mancare al compleanno della nonna, perché – come dice lei stessa – «io novant’anni una volta sola li faccio». E sì, lo sappiamo e lo sa anche lei che pure venti, trenta o quaranta si fanno una volta, ma novanta è un’altra cosa.

Oggi non è il 29 marzo, è appena l’8 e già sappiamo con venti giorni di anticipo che la festa non ci sarà, non quando avevamo fissato almeno: nelle ultime ore la situazione è precipitata in tutta Italia, il governo ha preso delle decisioni senza consultare mia madre, qualcuno le ha rese note prima che avessero l’ufficialità della firma, qualcun altro in Lombardia ha dato l’assalto ai treni, camminiamo per le strade e sentiamo la frustrazione di non poter abbracciare gli amici, se uno per strada starnutisce per una semplice influenza o per l’allergia lo guardiamo con odio. 
Noi abbiamo dovuto fare una scelta di buon senso e di razionalità: non puoi rischiare di partire da una zona quasi rossa portandoti dietro il virus e scaricandolo ai piedi di una persona di novant’anni, anche se lei è convinta di essere invulnerabile. Quindi per quest’anno ci vorremo bene a distanza. 
E però io adesso avrei voglia di abbracciare tutti quelli che stavano preparando da tempo un qualche festeggiamento, che in un punto lontano del cuore avevano il timore inconfessabile di qualcosa (l’età, una malattia grave) che avrebbe potuto impedirlo ma andavano avanti nei preparativi, ci credevano e dimostravano di crederci, o forse fingevano di crederci, e adesso invece sanno con certezza di doverci rinunciare, che la festa non c’è stata e che oggi non è l’indomani della festa. E che chissà quando potremo ricominciare ad abbracciarci.

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