Io sono nata lo stesso anno di Carosello e cresciuta
in un'epoca in cui di tutto ciò che apparteneva alla sfera sessuale non si
parlava: le mestruazioni erano "quelle cose", fare sesso ma anche
semplicemente baciarsi o toccarsi era una vergogna tale da negare a questi
gesti un nome, accomunandoli in un unico indistinto appellativo dispregiativo:
"certe cose".
Cose di cui
vergognarsi, insomma, e la Rai di Monica Maggioni, come se cinquant'anni
fossero passati invano, se n'è vergognata tanto da prendere la ridicola
decisione - dopo avere anticipato il capodanno - di posticipare la parte di Presa
diretta che di "certe cose" ardiva parlare, costringendo Riccardo
Iacona a invertire l'ordine dei fattori e mandare in onda per primo il servizio
sulla privatizzazione dell'acqua pubblica. Questa sì, una vera oscenità (la
privatizzazione, non il servizio).
Fascia
protetta la chiamano quella fascia oraria durante la quale non sta bene che i
bambini vedano "certe cose" mentre quasi nessuno si preoccupa di
proteggerli da preti pedofili, da padri violenti e violentatori, da
trasmissioni che insegnano alle femminucce a diventare cose e ai maschietti a
diventare proprietari di quelle cose, da adolescenti che prevaricano coetanei.
Ovviamente ho smadonnato e smaggionato. Più elegantemente di me lo hanno fatto
prima Fazio e la Littizzetto, usando l'arma dell'ironia, e poi Iacona che,
all'inizio della trasmissione, ha manifestato apertamente, in maniera ferma e
con il suo consueto garbo, il proprio dissenso e disappunto.
Poi però me ne
sono andata a dormire, perché a me Carosello mi ha segnato la vita e molto
oltre non vado. L'ho vista oggi la trasmissione: un servizio giornalistico
serio come solo Iacona e pochi altri ormai sanno fare, documentato, che ha
riportato opinioni diverse e ha fornito dati. Servizio pubblico. Quello che
invocava pochi mesi fa a parole, in un'intervista a Repubblica, la neoeletta
presidente Maggioni che ieri il servizio pubblico lo ha relegato alla terza
serata, quasi all'orario dei film porno. Come se fosse una cosa indecente.
Mi è venuto in
mente "Processo per stupro", mandato in onda dalla Rai nel 1979, qualche
anno dopo avere sperimentato e quindi adottato definitivamente il colore: un documentario
in bianco e nero, sollecitato dalle femministe, che fece conoscere agli
italiani la violenza contro le donne. Anche in quel caso inizialmente la
trasmissione fu programmata in seconda serata, alle 22, e fu seguita da tre
milioni di spettatori. Ma ci furono le richieste di repliche e qualche mese
dopo il documentario fu ritrasmesso in prima serata a beneficio di nove milioni
di spettatori. Come è giusto che sia, se si vuole davvero fare servizio
pubblico e non essere vocazionalmente embedded.
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