martedì 18 settembre 2012

Chiare, fresche e dolci acque

Io l'ho capito finalmente perché mi piace tanto andare al solarium comunale di Catania. Certo, la struttura non è il massimo del comfort (anzi, metafora di come è amministrata la città, compresi regolamenti di conti e discariche a cielo aperto, fa decisamente schifo) e il mare - con tutti gli scarichi fognari e la "munnizza" che arriva dai lidi - non è del genere che farebbe venire voglia a Petrarca di scriverci una poesia: il fatto però è che lì c'è l'umanità, quella vera. Ci sono quelli che hanno lavorato una vita per fare studiare i figli, ci sono i pensionabili che preferiscono restare al lavoro per aiutare figli grandi e disoccupati, ci sono quelli che sono stati messi in cassa integrazione e quelli licenziati per un capriccio del padrone, c'è chi sa bene cosa vuol dire morire di lavoro perché l'ultimo morto in cantiere non l'ha letto sui giornali ma era suo cugino. C'è Mario che chissà come si chiamava quand'era al suo paese, che parla in Italiano molto meglio del 90% dei catanesi e in mezzo ci mette pure un po' di dialetto, che di sé dice - parlando in seconda persona come i bambini piccoli - "non sai natari" (e ti viene un brivido a pensare che 12 anni fa, quando è arrivato qui, lo deve aver fatto come molti altri imbarcandosi su uno di quei gommoni già sgonfi destinati al naufragio), che quest'anno ha deciso che vuole imparare a "natari" e la mattina appena arriva fa il bagno attaccato alla scaletta, poi fa la doccia, si riveste di tutto punto e indossa la sua bancarella portatile: Mario ci viene anche se sa che non farà affari (non ne faceva nemmeno quando il solarium era pieno come un uovo, perché la crisi è più nera di lui e la gente non li compra più i braccialettini o i giochini da un euro che prima acquistava solo per fargli guadagnare qualcosa), ci viene anche adesso che siamo rimasti quattro gatti, per chiacchierare un po' con tutte quelle persone che lo considerano uno di famiglia e gli vogliono bene. C'è un signore anziano minuto e mite che legge L'Unità convinto che sia ancora "quel" giornale e non esita ad affrontare il paramafioso arrogante e aggressivo che vende bibite per rinfacciargli di non pagare le tasse, mentre lui le paga da quarantatre anni. C'è una signora che non dev'essere andata oltre la quinta elementare ma che capisce di economia molto di più di un inutile bocconiano governativo che non conosce la vita e ha un moto di raccapriccio al pensiero di Berlusconi che "ora torna e a 'bbessa iddu" (l'aggiusta lui) l'Italia dopo che l'ha distrutta e che quelli di ora hanno completato l'opera, e concorda con il signore suo coetaneo che dice "na vota c'erano Moro e Berlinguer, finiti 'iddi' è finito tutto" e gli spiega che Moro l'hanno ammazzato perché era una persona per bene e non aveva coperture, mentre "a chissu" (sempre quello che ora torna) non lo ammazzano perché ha le protezioni. La signora (e i suoi amici che ormai si danno appuntamento lì da anni tutti i giorni) ha ben chiaro il lavoro straordinario dei magistrati palermitani contro la mafia, sa bene che una porcata è una porcata anche se proviene da un monarca assoluto, sente perfettamente il puzzo di merda che promana dall'inciucio nazionale e quello di merda al quadrato di un'ammucchiata di ex mafiosi che si fanno antimafiosi ed ex antimafiosi che si fanno mafiosi. E ha un'idea precisa: "Questi partiti non lo meritano il voto pulito degli operai". Usa questa parola antica e démodée, ma preziosa: pulito. Sarà per questo che quelle del solarium a un certo punto appaiono come chiare, fresche e dolci acque. Adesso, però, ci vorrebbe che i pochi partiti i quali invece quel voto pulito lo meriterebbero imparassero come si fa a parlare con queste persone.

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