lunedì 5 marzo 2012

Ruscello di montagna

Baralgina. Le mestruazioni di Zina erano un affare di Stato: non veniva a scuola, disertava le riunioni del Movimento, stava a letto, vomitava e alleviava il dolore con la Baralgina. Poi tornava a travolgerci con la sua allegria.
Per anni, mestruazioni permettendo, con lei e gli altri del gruppo avevamo condiviso le giornate, l'impegno politico, le domeniche al mare, gli affetti, i nostri matrimoni, le nascite dei nostri figli. Perché a noi la militanza politica ci aveva resi famiglia.
Famiglia disgregata, a un certo punto. Nessuna lite e nessun motivo ben preciso, ma soltanto le esigenze insensibili della vita che ti impongono ritmi diversi: avevamo smesso di frequentarci, ma non di essere famiglia. Tre anni fa era stato il nostro adorato mare a farci ritrovare: ci eravamo incontrati quasi per caso - io, lei e Salvo (ZinaeCastoro, questo binomio che non smetterà mai di essere una persona sola) - al solarium di piazza Europa, sotto casa loro, dove andavamo la mattina presto per andarcene prima che arrivasse la confusione. Uno, due, tre giorni di seguito: alla fine ci salutavamo dicendoci "ci vediamo domani", come fosse un impegno consolidato e assodato. Come ai tempi di scuola e dell'Mls.
In uno di quei giorni, mentre facevamo il bagno, mi raccontò tutta contenta che ormai era in menopausa. "Però - aggiunse ridendo - sono sempre isterica, come prima!". Proprio in quel momento in cui sembrava che non avessimo mai smesso di frequentarci, avrei voluto dirle quanto mi erano mancati. Non lo feci, per quell'assurdo pudore che mi trattiene sempre dal dire quello che provo; ma sentivo che adesso la famiglia si era riunita e che avremmo recuperato il tempo perduto. Quando sei giovane qualcuno dovrebbe avvertirti che il tempo perduto è perduto e non lo recuperi più.
Era una mattina di gennaio quando ricevetti la telefonata di Nino: "Zina sta male". Che vuol dire sta male? Anche quando aveva le mestruazioni stava male, ma bastava la Baralgina. Era chiaro che non si trattava di quel tipo di stare male, eppure lui di più non aveva detto e dal tono della sua voce si capiva che aveva paura di aggiungere altro.
Quaranta giorni. Quaranta giorni di battaglia. Lei era Antigone, in guerra contro la guerra e contro la morte, noi il suo coro. Tutti là, tutti i giorni al reparto di rianimazione, ad annegare e riemergere, la febbre è aumentata, un movimento impercettibile degli occhi, una nuova infezione, la febbre sta calando...ancora una volta ci salutavamo con un "ci vediamo domani".
C'erano delle giornate bellissime, come adesso; poi arrivavi là sopra, in quell'ospedale tutto curve e salite che sembra un otto volante, e un vento gelido ti prendeva a schiaffoni per ricordarti di non illuderti, che non era ancora primavera, che per quell'anno la primavera avrebbe saltato un giro; che il suo sorriso musicale come un ruscello di montagna non sarebbe tornato a travolgerci. Stavolta non c'era Baralgina che tenesse: se ne andò nei primi giorni di marzo, qualche settimana prima del suo compleanno. Due anni fa e aspettiamo ancora che torni la primavera, derubati.

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