giovedì 30 giugno 2011

La Sicilia, i suoi assassini e il codice di Hammurabi

Vogliamo fare un riassunto delle notizie di cronaca che hanno interessato la Sicilia in questi giorni? Riassunto, non pot-pourri (anche se il vaso è veramente putrido), perché almeno tre notizie diverse, provenienti da parti diverse dell'Isola, sembrano far parte di un'unica trama e ricoprono come una fitta coltre di nebbia la Sicilia da nord a sud, isole minori comprese.
Palermo, Lampedusa, la provincia di Messina. Fiumedinisi, in particolare, dove - riferiscono le cronache - il sindaco Cateno De Luca, deputato regionale eletto con l'Mpa di Raffaele Lombardo (e passato in pochi mesi, svolazzando con la leggiadria di una ballerina di danza classica, da un gruppo parlamentare all'altro), arrestato nei giorni scorsi per tentata concussione e falso in atto pubblico, avrebbe gestito il suo paese come se fosse il padrone. A Fiumedinisi, a quanto pare, De Luca, ultimamente fondatore del Movimento "Sicilia vera", avrebbe acquisito con sistemi illegali - e ovviamente con le complici autorizzazioni di consiglieri comunali della sua maggioranza - i terreni su cui far realizzare alla Mabel (società amministrata dal fratello) un centro benessere e un complesso residenziale. Terreno agricolo diventato per magia edificabile, un torrente devastato per far posto al cemento della famiglia De Luca. L'ambiente sotto le scarpe, tipico della stupidità di chi pensa soltanto alla ricchezza e alla ricchezza dell'hic et nunc e non si preoccupa nemmeno di quello che resterà a suoi figli. Io, infatti, a uno così - come a quelli che avvelenano il mare e l'acqua - innanzitutto imporrei la castrazione chimica (e pure fisica non sarebbe male, visto che, dopo il denaro, quella è l'unica divinità che riescono a concepire). Vietato fare figli. Poi lo condannerei a restare rinchiuso per mesi in quel concentrato di cemento e di luce artificiale che è il centro benessere di suo fratello, senza nemmeno concedergli l'ora d'aria per vedere la luce del sole. Non se la merita.
Lo stesso farei con quelle merde (mi querelino pure!) che a Lampedusa, in contrada Grecale-Cala Creta, una zona sottoposta a vincolo paesaggistico e dove vige il divieto assoluto di costruire, per via del suo elevato pregio ambientale hanno costruito di tutto e a quelle altrettante merde che avrebbero dovuto per ruolo istituzionale vigilare affinché non accadesse questo orribile delitto e invece lo hanno permesso. Per gli uni e gli altri, dipendesse da me, la condanna dovrebbe consistere nel ributtare giù a mani nude tutto quello che hanno costruito. E che lo facciano sotto il sole d'agosto che spappola il cervello o il mare in tempesta d'inverno come quello che ingoia i migranti e le loro barche. E poi, comunque, vorrei che qualcuno mi spiegasse come è stato possibile realizzare fabbricati, alberghi, bar, ristoranti, dammusi, residences, strade...insomma un intero villaggio turistico senza che nessuno se ne accorgesse. Perché nessuno li ha fermati già alla posa della prima pietra? Per costruire tutte quelle cose ci saranno voluti almeno un paio di anni: e nessuno se n'è accorto? Lampedusa non è il posto più militarizzato del mondo? Già, gli elicotteri, la polizia, tutte le forze dell'ordine possibili vengono inviate là per catturare i migranti, ma dei delinquenti veri, dei politici corrotti, dei mafiosi, degli assassini di futuro nessuno si accorge.
Assassini morali e potenziali assassini "fisici". E con questo siamo arrivati a Palermo. Notizia di un paio di giorni fa, di quelle a cui quasi non facciamo più caso, drammaticamente assuefatti: presunte infiltrazioni della mafia nell'appalto per la realizzazione della metropolitana del capoluogo di Regione. Tutto normale, verrebbe da dire. Come normale scorre l'altra notizia che ci sta dentro e cioè il coinvolgimento di alcuni deputati regionali: Riccardo Savona (eletto con l'Udc, ma poi entrato a far parte del gruppo "Alleati per la Sicilia", piccolo satellite che ruota intorno al "Re Sole", Raffaele Lombardo) sarebbe stato il "protettore" di una delle aziende finite nell'inchiesta; Salvino Caputo (ex An ora Pdl) avrebbe usato il proprio potere per sollecitare l'autorizzazione all'apertura di una cava; Francesco Cascio (Pdl), cioè il presidente dell'Ars, non solo avrebbe raccomandato alla Sis (società capofila del consorzio assegnatario dell'appalto) delle persone perché venissero assunte - e questo già dovrebbe saperlo che non si fa - ma per di più avrebbe raccomandato, come hanno riferito le agenzie, "personale non qualificato". Non so perché, ma mi viene in mente la sabbia nei piloni di cemento armato della casa dello studente de L'Aquila e di molti edifici della città. Ricordo che, quando successe la sciagura, qualcuno mi spiegò: "Lo sanno pure i bambini che non ci si mette la sabbia, perché la sabbia corrode il ferro che costituisce l'armatura dei pilastri". E infatti si sciolgono come burro. Ora, mettere persone senza scrupoli e/o incompetenti a fare certi lavori, come costruire case dello studente a L'Aquila o metropolitane a Palermo, poi significa che alla prima botta cade tutto giù e restano i morti sotto le macerie. E allora la condanna che immagino per Cascio, se sarà confermata l'accusa nei suoi confronti, è questa: chiuso come un topo nel buio di una metropolitana che prima o poi crollerà perché costruita dalla mafia e da incompetenti. Perché l'unica legge applicabile a gente priva di scrupoli e di etica è qualcosa di molto simile al codice di Hammurabi.

martedì 28 giugno 2011

Dalla bonaccia alla brezza? Si può fare anche in Sicilia

Punti fermi irrinunciabili - legalità e lotta alla mafia; lavoro; accoglienza ai migranti; una Sanità pubblica veramente al servizio dei cittadini, che non sia bacino elettorale e centro di smistamento di clientele; tutela dell'ambiente - e compagni di strada con cui perseguire gli obiettivi: tanti compagni di strada, a partire da tutti quelli, singoli e comitati, che si sono mobilitati a raccogliere le firme e poi a fare propaganda per i referendum; alle associazioni, in primo luogo quelle che hanno fatto della lotta alla mafia la loro cifra; ai partiti o "pezzi" di partiti, cioè quelle tante persone per bene che ancora stanno dentro il Pd e che non digeriscono la scelta di stare al governo con Raffaele Lombardo.
E' questo il senso dell'assemblea dal titolo “Il vento cambia anche in Sicilia? Costruiamo l’alternativa a Lombardo e al centrodestra”, svoltasi ieri al Centro Zo di Catania e promossa dalla Federazione della Sinistra per ragionare insieme su un possibile cambiamento anche in Sicilia, alla luce dei risultati elettorali delle recenti amministrative. Perché se è successo a Napoli può succedere anche qui e anche qui prioritaria dev'essere la lotta alla criminalità organizzata. E, infatti, c'erano l'Arci, Libera, Un'altra storia, i movimenti per l'acqua e numerose altre realtà dell'associazionismo, a confrontarsi in una sala piena con gli esponenti dei partiti - FdS (Rifondazione, Comunisti italiani, Socialismo 2000 e Lavoro e Solidarietà), Italia dei Valori, Sel e, appunto, quella parte del Pd che non si rassegna ad essere subalterna a Raffaele Lombardo (il quale a Roma sostiene il governo di Berlusconi e della Lega: un governo che proprio ieri ha mandato la polizia a reprimere i No Tav) e a vedere suoi dirigenti e dirigenti sindacali omaggiare il presidente della regione durante il congresso del suo partito. E che su un punto non ha dubbi: con i mafiosi non soltanto non si devono fare affari, ma nemmeno incontrarli.
Dunque, da una parte i dati - quelli, autorevoli, della Banca d'Italia e degli istituti di ricerca - che parlano di una Sicilia allo stremo, dove non si fanno investimenti, dove più del 40% delle famiglie è sulla soglia della povertà e da dove i giovani sono costretti ad andare via, dall'altra le riforme solo presunte del governo Lombardo. Come quella della Sanità, servita soltanto - secondo Renato Costa, segretario regionale della Cgil medici - a "sostituire le tessere dell'Udc con quelle dell'Mpa" mentre è in corso una "privatizzazione subdola" attraverso i tagli dei fondi alle strutture private. O come quella - che non c'è stata - dell'apparato burocratico, anche questo luogo in cui si alimentano le clientele: ben ottantamila persone a vario titolo a libro paga della Regione Sicilia, a fronte delle 3.700 della Lombardia e delle 2.700 dell'Emilia Romagna. Oppure, in un elenco infinito, quelle che dovrebbero tutelare l'ambiente e invece si traducono in condoni e cementificazione ulteriore.
Ma forse proprio un'assemblea partecipata come quella promossa dalla FdS e la mobilitazione in occasione della campagna referendaria possono far dire che, se finora l'unico vento che ha spirato in Sicilia è stato un vento di bonaccia dettato dalla rassegnazione a un sistema di potere paludoso e sempre uguale a se stesso, potrebbe soffiare anche qui una brezza vivace, fatta di tutte quelle persone che non si rassegnano alla mafia, alla gestione del potere per il potere, agli inciuci che fanno perdere la dignità. Perché non ci sono soltanto Mpa, Pdl e un Pd che ambisce alle briciole del potere di Lombardo, ma c'è una Sicilia politica e sociale, che non è nel parlamento regionale soltanto a causa di quella legge liberticida voluta dalle forze politiche maggiori che prevede lo sbarramento al 5%: ed è una Sicilia democratica e progressista che non ci sta ai giochi di potere.
All’incontro sono intervenuti: Carmela Cappa (Associazione “Un’altra storia”); Mimmo Cosentino (Comitato politico nazionale Prc); Renato Costa (segretario regionale Cgil medici); Lillo Fasciana (segretario regionale Flc Cgil); Fabio Giambrone (segretario regionale Idv); Maria Giovanna Italia (presidente Arci Catania); Orazio Licandro (segreteria nazionale Pdci); Antonio Marotta (segretario regionale Prc); Valerio Marletta (consigliere provinciale Prc-FdS); Enzo Cilia (segreteria regionale Sel); Antonio Tomarchio (segreteria regionale Pdci); Franco Pignataro (sindaco di Caltagirone); Concetto Scivoletto (coordinatore regionale Socialismo 2000); Giuseppe Strazzulla (presidente Libera Catania).

domenica 26 giugno 2011

Venite in Sicilia, terra dell'amore!

Insomma, a quanto pare, Raffaele Lombardo - oltre ad avergli parato il culo negli ultimi anni attraverso i suoi parlamentari - si sta trasformando in Silvio Berlusconi.
Così, almeno, sembra dai diversi ruoli interpretati nei due giorni di assemblea regionale dell'Mpa a Catania, durante i quali ha cambiato abito con una velocità da far invidia a Fregoli.
E se quello è stato, di volta in volta, presidente tramviere, presidente operaio, presidente pompiere, moscovita, lampedusano, albanese, eccetera, questo in due soli giorni è stato presidente riformatore (ma di quali riforme parli, realizzate a suo dire, in collaborazione con i suoi zerbini del Pd, non è dato sapere: certamente i siciliani non se ne sono accorti), presidente legalitario (non si privi la magistratura delle intercettazioni: tanto lui - molto più furbo di tanti - al telefono non si lascia sfuggire una parola e lascia che siano i suoi servi a mettersi nel sacco da soli), presidente dell'Italia unita ("Qui si fa l'Italia o si muore!". Ah, no, scusate: questo l'ha detto Garibaldi, quello che gli sta tanto sul cazzo), ma anche - veltronianamente - presidente secessionista, presidente democratico (si può discutere di tutto, persino di elezioni anticipate, ma poi decido io e non se ne parla proprio), presidente comunista che vuole partire dalla militanza e dalle manifestazioni di piazza (e magari, chissà, organizzare a Messina una bella manifestazione ProPonte con la partecipazione di migliaia di militanti arrivati da tutta Italia, dal movimento ProTav al movimento terra), presidente produttore cinematografico.
Ruolo, in verità, lasciato - in occasione della convenscion autocelebrativa - alla deuteragonista della kermesse, Maria Grazia Cucinotta, intervenuta "non da politica", come lei stessa ha dichiarato (e ci mancava solo questa!), ma per annunciare uno storico accordo con la Cina (non ha specificato se con la Repubblica popolare cinese oppure con la Triade, ma sono dettagli) per una coproduzione sulla Sicilia, che mostri la regione come terra dell'amore (sempre megolamane lui: quell'altro si era limitato al partito dell'amore, lui una regione intera). Insomma, in Sicilia la mafia non c'è, ma l'amore (persino quello a pagamento, in cambio di denaro o di posti al governo) scorre a fiumi.
Venite in Sicilia, terra dell'amore! E che importa se non c'è lavoro: ci si può sempre improvvisare escort a beneficio dei tanti che in questa terra di miseria si possono permettere le ville con piscina e i suv.

venerdì 24 giugno 2011

Qui ci vuole una legge: una legge contra legem

E' da quando ho cominciato a fare politica nel Movimento Studentesco, cioè quarantaecocci anni fa, che so che se fai politica è possibile che ti intercettino parlando al telefono.
Allora c'erano i telefoni della Sip, quelli neri, poi diventati "bigrigi" (che sia cominciata proprio dalla degenerazione delle parole la degenerazione dell'etica in Italia?), pesanti che ci voleva la gru, quelli che i numeri li facevi col disco e, se arrivava una bolletta appena più alta del preventivato, scattava subito il lucchetto. Che i più accorti mettevano nel 4, in modo da non precludersi almeno la possibilità di chiamare il 113 in caso di necessità.
Telefoni gracchianti, da Paese ancora in via di sviluppo, con tecnologie imperfette che nemmeno se lo sognavano il cordless che ti avrebbe permesso di conversare da ogni angolo della casa o Skype, grazie al quale puoi guardare in tv tuo figlio che se n'è andato a stare inculaddio e parlarci per ore senza andare in fallimento e senza, soprattutto, dover aumentare il numero di decibel della nostra voce in base al chilometraggio, come faceva una mia prozia che più lontano arrivava la telefonata in teleselezione e più urlava.
Telefoni normalmente gracchianti, ma al minimo fruscìo o rumore di sottofondo, subito noi - rivoluzionari, ma educati - ci premuravamo di salutare, un po' sfottenti in verità: "Buongiorno, maresciallo". E, siccome ci credevamo furbi e siccome un po' forse ci piaceva pure giocare agli 007, parlavamo anche in codice. Che so, per dire, se c'era da fare un'assemblea a scuola alle cinque di pomeriggio contro i decreti delegati del Ministro Malfatti e il preside non voleva concederci l'aula magna (perché questo era il massimo dell'illegalità che riuscivamo a concepire: mandare affanculo il preside, che era un fascio di merda, e prenderci l'assemblea), noi al nostro interlocutore telefonico - e al maresciallo - dicevamo che ci saremmo visti alla festa di Franco (che poi era il nome proprio del democristiano alla guida della Pubblica Istruzione) e, per fargli capire l'orario, ci mettevamo a recitare Federico Garcìa Lorca: a las cinco de la tarde. E così avevamo fregato il maresciallo. Forse.
Tant'è. Ora, chiunque faccia politica da un sacco di tempo e direi chiunque legga i giornali o guardi ogni tanto qualche tg (persino il tgzerbino) sa benissimo che può essere intercettato, ma se è una persona perbene sa benissimo che il massimo che potranno ricavare i suoi intercettatori sarà una litigata con la propria madre, un pianto sentimentale, qualche bestemmia, l'ammissione di avere posteggiato a cazzo di cane su un marciapiede per la disperazione dopo avere fatto dieci giri dell'isolato e ti scappava la pipì oppure, facendo politica, i dettagli dell'organizzazione di un'iniziativa pubblica: chi viene e chi non viene, la "location", i comunicati stampa... Niente che non si possa far sapere in giro, insomma. Se uno invece è un delinquente politico e non è neppure non dico intelligente (ché sarebbe pretendere troppo) ma almeno furbo, potrebbe aspettarsi che - magari intercettando zoccole, magnacci, massoni, mafiosi, faccendieri e altre personcine perbene con cui è solito fare affari e intrattenersi al telefono - la sua voce venga registrata. Questi invece no: Santanché, Prestigiacomo, Minetti, Mora, Bertolaso e tutti gli altri, loro parlano a ruota libera, parlano delle peggiori porcherie, che si tratti di appalti o di balletti rosa. A tal punto sono convinti della loro impunità e anche - con qualche ragione, visto che al momento di votare un'autorizzazione a procedere c'è una gara a pararsi il culo reciprocamente che coinvolge pressoché tutto l'emiciclo - della loro immunità parlamentare anche per avere ucciso la propria madre o violentato la propria figlia, che non si curano di ciò che dicono. A volte, anzi, sembra addirittura una sfida, un usare gli inquirenti per mandare messaggi trasversali, "pizzini" tecnologici: vedi la conversazione fra la Santanché e Briatore che, a proposito di Berlusconi, concordano nel dire che è "malato" perché continua con i bunga bunga e prevedono che la gente cominci a lanciare le monetine come fu con Craxi, o quella fra la Prestigiacomo e Bisignani in cui la ministra con gli occhi da pesce bollito - quella che fa le dichiarazioni alla stampa sulle grandi emergenze mondiali come se recitasse "La vispa Teresa" - dubita dell'intelligenza del vecchio porco.
Poi cadono dal pero, scoprono che ogni loro parola è stata intercettata - e non si tratta solo di parolacce, ma di autoaccuse che li inchiodano sino al collo - e s'incazzano. E corrono ai ripari, indignati per la violazione della privacy (ma quale privacy, se persino le battone del grande raccordo anulare fanno le loro cose con maggiore discrezione!) e per lo spreco di denaro pubblico, che secondo loro sarebbe il costo delle intercettazioni e non quello che viene gettato al vento per mantenere in Parlamento zoccole di ogni sesso al servizio del gran puttaniere. "Qui ci vuole una legge!", urlano in coro i passeggiatori del Transatlantico. Ma sì, facciamola un'altra legge ad personam, ad personas, ad maleficos. Un legge contra legem. Una sola che le cancelli tutte. E ci leviamo il pensiero.

mercoledì 22 giugno 2011

La vergogna siciliana: l'Ars salva il seggio al condannato

Come se non bastasse la vergogna dei 17 deputati regionali su 90 che hanno avuto a che fare con la giustizia - alcuni ancora soltanto indagati, altri già condannati -, anche per reati gravissimi come i rapporti con la mafia, oggi l'Assemblea regionale siciliana ha ulteriormente infangato se stessa.
Con voto a scrutinio segreto, il cosiddetto "parlamento" siciliano ha infatti salvato il seggio del deputato Santo Catalano, esponente del Pid di Totò Cuffaro e di Saverio Romano, il primo già in carcere per mafia e il secondo indagato per concorso esterno e forse proprio per questo premiato dal governo Berlusconi con un posto da ministro dell'Agricoltura.
Condannato a un anno e 11 mesi per abusivismo edilizio e per abuso d'ufficio in concorso, in base una sentenza emessa dalla prima sezione civile del Tribunale di Palermo, Catalano era ineleggibile alla carica di deputato.
Oggi si votava sulla richiesta della Commissione verifica poteri di dichiarare decaduto il parlamentare: 38 hanno detto no e 35 sono stati i sì.
Vergogna nella vergogna, i parlamentari del centrodestra si sono alzati dai loro scranni per ricoprire di baci e abbracci il condannato e il pubblico ha applaudito la decisione.

GBtour, così riparte l'economia catanese

Qualcosa si muove nell'economia catanese. Siamo lieti di annunciarvi la nascita di un nuovo operatore turistico, la GBtour S.i.i (è una nuova formula societaria: società a irresponsabilità illimitata. E quando ti beccano?), azienda dinamica, guidata da un giovane manager, che organizza gite turistiche per anziani alla scoperta dei tesori della Sicilia.
Prima gita in programma, a Piazza Armerina e Aidone - dove si potrà ammirare la giovane Venere di Morgantina -, a giovani prezzi assolutamente competitivi che la giovane società guidata dal giovane manager può praticare grazie al giovane sostanzioso contributo, a copertura quasi totale delle giovani spese, garantito dalla giovane presidenza della Regione. Anzi: dal giovane presidente della Regione in persona.
Durante il percorso, gli anziani turisti saranno allietati dalle performance dello stesso titolare dell'azienda che, forte della sua esperienza come animatore nei villaggi turistici, si esibirà in uno dei suoi numeri migliori: il miracolo dell'acqua pubblica, giovane variazione sul tema della moltiplicazione del pane e dei pesci.
A conclusione della gita, ad ogni partecipante non sarà regalata la solita squallida vecchia batteria di pentole (anche perché, trattandosi di pensionati, non avrebbero niente da metterci dentro), ma un pacco di pasta di cui potranno addirittura scegliere il formato. Oltre a un imperdibile pacchetto di foto autografate del giovane titolare della GBtour, che potranno distribuire a parenti e amici al momento opportuno.

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E ora vi allego il testo di una mail firmata dall'onorevole Giuseppe Berretta che mi è stata inoltrata da un amico, senza dubbio mosso da una punta di cattiveria perché sapeva che, girata la mail, mi sarebbero girati i coglioni. E infatti l'unica cosa che mi viene da dire, stavolta seriamente e senza sfottò, è: vergogna. Come la vecchia Dc, come Raffaele Lombardo.


"Care amiche e cari amici,
forse non è ancora giunto il momento di festeggiare in grande ma le tante vittorie nelle grandi città, le vittorie nei ballottaggi siciliani - ricordo, solo per affetto, Ramacca - e soprattutto la meravigliosa partecipazione popolare ai referendum che hanno stabilito che l'acqua è pubblica, che il nucleare non è il nostro futuro e che la legge deve sempre essere uguale per tutti, qualche buona ragione per regalarci una giornata spensierata, da passare assieme, da fare le "prove" per la festa credo proprio che ce l'abbiamo. L'idea, molto semplice, è di andare la prossima domenica 3 luglio al Museo di Aidone a vedere la restituita Venere di Morgantina, assieme agli altri pezzi di tutto rispetto. Per spostarci poi a Piazza Armerina, prima al Parco Ronza per una colazione al sacco e poi a visitare il centro storico e la Villa del casale con i suoi straordinari mosaici. Sia per il Museo che per la Villa saremo accompagnati da guide che ci aiuteranno ad apprezzarne tutti gli aspetti.
Partenza, come d'abitudine, alle ore 7,30 in pullman da Piazza Verga. Ripartenza da Piazza Armerina attorno alle 18,00 per il rientro a Catania. Per pagarci il pullman e le guide serve un autofinanziamento di 18 euro: 10 per il pullman e 8 per gli ingressi al museo e alla Villa del Casale.
I posti in pullman sono in tutto 50 per cui vi prego di darmi un cenno di prenotazione via mail o telefono alla mia segreteria 095.7225125.
Ricapitolando:
ore 7,30 Catania, piazza Verga, partenza in pullman
arrivo ad Aidone, visita guidata al Museo e alla Venere di Morgantina
ora di pranzo colazione al sacco al Parco Ronza a Piazza Armerina
visita guidata al centro storico e alla Villa del Casale
ore 18,00 partenza per Catania
Assieme al nostro viaggerà un altro pullman organizzato dalla Fillea e dalla CGIL di Librino. Insieme affronteremo le visite, i panini e la ricerca di fontanelle.
Vi aspetto con vero piacere e con tanta spensieratezza: ce lo siamo meritato.
Giuseppe Berretta"

lunedì 20 giugno 2011

Ivan Petrovič e il suo cane

Al signor Ivan Petrovič Pavlov un giorno avevano regalato un cane. Era un orribile chihuahua che si credeva un doberman. A Pavlov non piaceva, ma siccome a cane donato non si guarda in bocca, decise di tenerselo. Adesso bisognava trovargli un nome, ma quella specie di topo isterico, con quei due occhi a palla fuori dalle orbite che sembrava Angelino Alfano, era troppo brutto persino per guardarlo in faccia e trovare l'ispirazione. Pavlov ci provò più volte, senza risultato. Poi decise: siccome il cane proveniva dall'allevamento della signora Demon, Crudelia Demon (che non collezionava soltanto animali da pelliccia, ma anche topi di fogna, chihuahua, serpenti e altre bestie schifose), e siccome l'unica cosa che gli ispirava quella bestia era il concetto di piccolezza, decise di chiamarlo Petit: Petit Demon, per l'esattezza. Ma, immediatamente, si rese conto di quanto quella scelta fosse sbagliata: per il principio di Massimiliano e Ciro, che se lo vuoi rimproverare - Massimiliano - prima di finire di chiamarlo il figlio si è dileguato e il rimprovero s'è ammosciato, per lo stesso principio, dicevo, Ivan Petrovič non faceva in tempo a pronunciare il nome del cane che quello era già nello scarico del lavandino e stava per scendere nelle tubature; e poi la targhetta su cui fare incidere il suo nome, con tutte quelle sillabe, per il sorcio isterico sarebbe diventata una specie di armatura da cavaliere medievale. Insomma, dovette ripiegare su un diminutivo servendosi delle iniziali. Lo chiamò piddì.
Ora piddì era completamente cretino, data la quantità di cervello che poteva entrare in quella quantità di scatola cranica, e tendeva sempre a infilarsi in situazioni di pericolo, tipo accompagnarsi a pitbull e altri animali da combattimento. Ma siccome era un cane, e per di più il cane di Pavlov, dopo che una volta era stato schiacciato dai suoi stessi compagni di scorribande, un'altra volta aveva rischiato di diventare una polpetta sotto il peso di un dobermann che ci si era seduto sopra, la terza volta si era trasformato nella fotocopia di se stesso perché un alano non l'aveva visto e ci aveva camminato sopra, in un'altra occasione era finito completamente ricoperto dalla merda di un mastino napoletano che non si era accorto che gli stava passando fra le gambe proprio mentre cagava...alla fine gli scattò l'istinto di sopravvivenza e cioè il riflesso condizionato che gli ricordava di stare alla larga da quei bestioni.
Ecco, il riflesso condizionato è la cosa che distingue i cani cretini dagli uomini cretini, i cani cretini dai dirigenti di partito cretini.
Perché se riportiamo ai dirigenti siciliani di un partito quasi omonimo di piddì, ci accorgiamo facilmente che il riflesso condizionato non c'è e neppure l'istinto di sopravvivenza. Perché se una prima volta te la fai con i padroni e perdi voti, una seconda volta inciuci con gli amici e perdi voti, una terza volta vai al governo con i mafiosi e perdi voti, se fossi piddì avresti l'intelligenza (o anche soltanto il riflesso condizionato e l'istinto di sopravvivenza) di capire che forse devi cambiare strada e cercarti altri compagni di viaggio. Ma sei Pd e non puoi capire e continui a invocare il terzo polo come fosse la madonna.

P.S.: Pavlov, per avere scoperto il riflesso condizionato, nel 1904 ebbe assegnato il Nobel per la Medicina e la Fisiologia, ma - secondo quanto si legge su Wikipedia - pochi sanno di un altro suo importante esperimento "sull'induzione di stati di indecisione nei cani, con cui fu in grado di indurre schizofrenia e stati confusionali nei cani". Riporto le parole dell'enciclopedia online: "Nell'esperimento Pavlov mette il cane di fronte a un cerchio o a un'ellisse, addestrandolo a premere il bottone A se si tratta di un cerchio o B se si tratta di un'ellisse. Successivamente, presenta al cane ellissi sempre più similari a un cerchio. Il cane non riesce quindi più a riconoscere la differenza tra le due figure, e quando sbaglia gli viene inflitta una scossa elettrica. Con questo esperimento studiò l'induzione di stati di indecisione e le varie tipologie della schizofrenia, strettamente connesse con il temperamento dell'animale".
Troppo facile, anche in questo caso, fare delle analogie. Preferisco non infierire.

sabato 18 giugno 2011

Iacp Catania: pentolone nauseabondo o cloaca maxima?

Qualcuno lo ha definito un pentolone nauseabondo, ché – se lo scoperchi – ci trovi dentro favoritismi, inciuci, matrimoni politici di interesse, raccomandazioni, soprusi, reati, sperpero di denaro pubblico, imbrogli di ogni tipo commessi con palese certezza di impunità: microcosmo, questo, che riproduce perfettamente il macrocosmo Sicilia, dove in nome del potere per il potere convive tutto e il contrario di tutto e sembra normale; dove al governo della regione (e senza nemmeno il sigillo della volontà degli elettori), con un presidente indagato per rapporti con la mafia, ci sta quel partito i cui dirigenti si ostinano – senza provare l’ombra della vergogna – ad autoproclamarsi eredi di Pio La Torre. E sembra normale.
Il pentolone nauseabondo è l’Istituto autonomo case popolari di Catania, finito al centro di un’inchiesta dopo che due anni fa l’assessorato regionale ai Lavori pubblici decise – formalmente in seguito a numerose segnalazioni di illeciti, in realtà perché erano cambiati gli equilibri politici – di inviare tre ispettori che, al termine della loro attività di indagine, nell’aprile 2009, mandarono una relazione dettagliata suggerendo di portarla a conoscenza anche della procura della Repubblica di Catania e della Corte dei conti. Nel rapporto, in sintesi, si affermava che il direttore generale, Santo Schilirò Rubino, gestiva l’ente come fosse a casa sua, assegnando arbitrariamente gli alloggi popolari, facendo assunzioni altrettanto arbitrarie, rinviando il pensionamento della moglie in modo che la signora potesse ritirarsi dal lavoro con il massimo dei contributi, manipolando il protocollo in modo da inserire documenti quando voleva lui. A stimolare l’attività ispettiva nei confronti di Schilirò, all’epoca vicino al Pdl, fu il commissario straordinario, Santino Cantarella, uomo invece di Raffaele Lombardo che da un anno era stato eletto presidente della Regione e che aveva già avviato quel suo personalissimo - oggi quasi arrivato a compimento assoluto - spoil-system, piazzando nei posti di gestione del potere tutti i suoi uomini. Cantarella - nominato dopo che era decaduto il presidente Vincenzo Gibiino, di Forza Italia e vicino al senatore Pino Firrarello –, secondo quanto raccontano quelli che hanno vissuto i fatti dall’interno, a Schilirò contestava proprio di essere stato pappa e ciccia con l’ex presidente, consentendogli di costituire tre partecipate mettendoci dentro i componenti del consiglio di amministrazione dello Iacp, di assumere a suo piacimento persone del suo partito, di fare viaggi all’estero e godere di numerosi benefit. Intento moralizzatore? Difficile da credere. Comunque Cantarella annullò i provvedimenti di Gibiino e sulla base di quei rilievi accertati poi dagli ispettori arrivò a licenziare Schilirò, in un secondo momento reintegrato dal giudice del Lavoro che – non entrando nel merito delle accuse – indicava come vizio procedurale il licenziamento deciso da un organo politico quale è il commissario e si preoccupava del danno di immagine per il dirigente. Dopo di che finì tutto a tarallucci e vino: Schilirò – raccontano sempre alcuni che hanno visto le cose con i loro occhi -, fiutato il vento, sarebbe passato alla corte di Sua maestà Raffaele I (e speriamo ultimo), ottenendo di restare e impegnandosi a non chiedere i danni per il presunto ingiusto licenziamento.
Dovrà passare ancora più di un anno da quella relazione degli ispettori perché si sappia di un’inchiesta della procura di Catania, il cui avviso di conclusione delle indagini – notificato agli indagati nell’aprile scorso – è stato reso noto soltanto da qualche giorno. Indagati, sì, perché nel documento si ipotizzano (per Schilirò Rubino, per alcuni dipendenti dello Iacp suoi fedelissimi e per alcuni beneficiari dei loro favori) diversi reati che vanno dal falso ideologico alla truffa, all’abuso d’ufficio. Indagati ancora al loro posto (pensionati a parte), perché non sembra né che il nuovo commissario straordinario, Antonio Leone, abbia preso provvedimenti né che la magistratura abbia applicato misure interdittive, nemmeno nei confronti del direttore generale, il cui mandato scadrà nell’ottobre prossimo e c’è già chi scommette che sarà “premiato” e riconfermato.
Come se non bastasse, dall’informazione di garanzia emerge anche che Schilirò avrebbe continuato a commettere reati mentre l’indagine era in corso. Ancora qualche giorno, poi, e sarebbe stata diffusa un’altra notizia: i magistrati hanno inviato un rapporto alla Corte dei Conti ipotizzando un danno erariale di oltre trenta milioni di euro. In pratica, l’Istituto “dimenticava” sistematicamente e forse non casualmente di recuperare le morosità dei canoni di affitto dei propri immobili. Case, spesso assegnate a chi non aveva i requisiti o era proprietario di appartamenti, ma anche botteghe che sulla cifra complessiva di morosità non riscosse incidono per ben sette milioni di euro. Botteghe peraltro la cui esistenza sembra non venisse resa pubblica, come sarebbe normale se si volesse (dal momento che, diversamente dagli alloggi, qui l’unico “requisito” per ottenerle – oltre all’iscrizione alla Camera di Commercio e alla dichiarazione dell’attività che vi si intende svolgere – è l’ordine di arrivo della domanda) consentire a chiunque di venirne a conoscenza ed eventualmente presentare richiesta. Invece, a quanto sembra, erano in pochi a saperlo e dunque a presentare domanda di assegnazione: parenti, amici e amici degli amici. Parenti come il figlio di Schilirò Rubino, Ettore, che avrebbe ottenuto una bottega senza nemmeno la fatica di prendere carta e penna per chiederla e in più l’avrebbe ristrutturata quasi interamente a spese dell’Istituto. Ma non è il solo e, a spulciare l’elenco dei morosi, ci si rende conto del livello di commistione e di connivenza. Morosi sarebbero, per esempio, per botteghe adibite a caf e patronati vari, il segretario della Cgil catanese, Angelo Villari (soltanto 2.000 euro), e l’ex segretario della Cisl, Totò Leotta, che allo Iacp di euro dovrebbe darne ben 46.000; e poi altri sindacalisti, fra i quali spicca Carlo D’Alessandro, segretario del Sicet, che ha ben tre botteghe (a Catania, Adrano e Caltagirone) e sembra abbia fatto lievitare la sua morosità fino a circa 50.000 euro. Ma poi, fra quelli che ritengono di poter usufruire di una bottega per diritto divino, fino a qualche anno fa c’è stato pure un prete, Giuseppe Catalfo, parroco della chiesa di San Giovanni Galermo (grosso quartiere della periferia nord di Catania), che di botteghe adibite agli usi parrocchiali ne aveva due, con un debito complessivo di poco meno di 80.000 euro. Non manca neppure, tanto per gradire, un consigliere comunale dell’Mpa (Maurizio Mirenda, fra l’altro al centro di un’inchiesta per voto di scambio) con il suo bel patronato nello stesso quartiere del prete: uno di quei rioni in cui ancora i voti si pagano con i pacchi di pasta. Mirenda allo Iacp dovrebbe dare più di 56.000 euro. Poi c’è da aggiungere – oltre al fatto che su tutte queste botteghe per le quali non riscuote un centesimo l’Istituto deve pagare ogni anno 54.000 euro di Ici – anche le morosità della ex Usl3 (ora Asp) di Catania, delle Poste italiane, della Dusty (azienda che fornisce servizi di igiene ambientali ai comuni), del comune di Catania (che nel frattempo, però, anche se non si capisce bene con quali soldi, sembra abbia acquistato le botteghe in affitto e quindi pagato il debito nel costo complessivo degli immobili), della provincia di Catania a guida Pdl che all’Istituto dovrebbe dare ben 380.000 euro per l’affitto di villa Pantò, edificio storico in cui ha sede l’Accademia di Belle Arti.
Infine, ci sarebbe anche da parlare di uno strano gioco delle tre carte, che riguarda una bottega nel quartiere Librino, assegnata nel febbraio del 1981 a una specie di pittore naïf, Gaetano Calogero, che c’è rimasto fino al novembre del 2010 e poi – ritenendo superfluo dare disdetta, consegnare le chiavi in modo da consentire ai tecnici dello Iacp di accertare eventuali danni e saldare le morosità che nel frattempo avevano superato i 15.000 euro – lo ha ceduto in amicizia al segretario del Pd cittadino, Saro Condorelli, che si è insediato a dicembre del 2010, un mese dopo che Calogero aveva liberato la bottega. Nel gennaio 2011, alla presenza di parlamentari regionali e nazionali (fra i quali il giovane Giuseppe Berretta che oggi, proponendosi come il nuovo che avanza, si candida alle primarie per la scelta del sindaco di Catania), l’inaugurazione in pompa magna sotto lo slogan: “Il Pd riparte da Librino”. Secondo qualcuno, un’operazione al limite dell’abusivismo perché a quel momento (non si sa se lo abbia fatto nel frattempo) il partito che garantisce lunga vita al governo Lombardo non sembra avesse firmato alcun contratto di locazione.
Dalle indagini della procura si evince che Santo Schilirò Rubino, ora uomo di Raffaele Lombardo, tutte le sue magagne le avrebbe combinate anche con la preziosa collaborazione di una dipendente dell’Istituto oggi in pensione, Anna Tusa, ex sindacalista della Cgil. E adesso si apprende che Schilirò è difeso dall’avvocato Walter Rapisarda, dello studio dell’avvocato Guido Ziccone, docente universitario e parlamentare Pdl, oltre che difensore di Lombardo nell’inchiesta Iblis in cui il governatore della Sicilia è indagato per rapporti con la mafia; mentre Anna Tusa è difesa dall’avvocato Rosario D’Agata, capogruppo del Pd in consiglio comunale.
Tutto si tiene, nel migliore dei mondi possibili. E il pentolone nauseabondo - di cui parlò un anno fa Orazio Licandro, pericoloso comunista dirigente nazionale dei Comunisti italiani-Federazione della Sinistra – oggi puzza di cloaca maxima.

martedì 14 giugno 2011

Catania città dei primati



Vogliamo fare un po’ di conti? Così, giusto perché non guasta un po’ di sano masochismo, dopo il “legittimo godimento” dovuto al risultato dei referendum del 12 e 13 giugno.
E allora facciamoli questi conti, mettendo in fila un paio di addendi e poi anche qualche fattore, per scoprire che Catania è la città dei primati:
Catania – secondo quanto emerge dal dossier Mal’aria 2011 di Legambiente - è una delle città più irrespirabili d’Italia
PIU’
Catania è l’ultima in classifica (centotreesima su centotre) fra le città d’Italia per qualità della vita, in base allo studio Ecosistema urbano 2010 sempre di Legambiente e di Ambiente Italia
PIU’
Catania è la città in cui oltre l’80% dei commercianti paga il pizzo
PIU’
Catania, in base ai dati del rapporto Istat 2010, è la città dove la disoccupazione giovanile è arrivata al 50%
PIU’
Catania è la città dove cresce il numero delle donne disoccupate e di quelle che non cercano più lavoro
PIU’
Catania è la città con il maggior numero in assoluto di centri commerciali e questo, a quanto si legge nel Rapporto RES 2010, che parla di “dimensioni abnormi della crescita” recente, alimenta “notevoli dubbi circa la possibilità che ‘dietro a ciò che appare si nasconda qualcos’altro’ e cioè che la criminalità organizzata abbia fiutato l’affare, riciclandosi rispetto agli ambiti tradizionali di inserimento”
PIU’
Catania è la città in cui – sempre facendo riferimento a studi delle associazioni ambientaliste, oltre che ai nostri polmoni e alle nostre orecchie – la principale causa di inquinamento atmosferico e acustico è il traffico automobilistico (a proposito, sembra che il sindaco Stancanelli, di passaggio dalla città, abbia scoperto che ci sono i parcheggi scambiatori e che erano rimasti inutilizzati: non vorrei dargli un dispiacere, ma lo informo che i parcheggi scambiatori erano stati realizzati quando al governo della città c’era il centrosinistra e sono rimasti inutilizzati da quando c’è il centrodestra che invece punta a farli sotterranei e in centro per assegnare un bel po’ di appalti a cementificatori e palazzinari)
PER
Catania è la città ultima in classifica fra tutte le città italiane per affluenza alle urne (appena il 40% e ci è andata pure bene) nella consultazione referendaria del 12 e 13 giugno.
UGUALE
Catania è una città di merda.

E però siccome certe affermazioni così perentorie vanno anche spiegate, provo a dire quello che penso. Di fronte a tutto questo, i catanesi continuano ad esercitare la loro indolenza e a non esercitare il diritto di voto. O, forse, a non esercitarlo quando non vedono un riscontro immediato, cioè il pacco di pasta, la lavatrice, il posto di lavoro (anche se in nero e a tempo determinatissimo), rifiutandosi di capire che la differenza che passa fra un suddito e un cittadino sta fra l’altro anche nel diritto di voto, nel diritto a decidere del proprio futuro. Loro no, a votare non ci vanno, e magari fosse per presa di posizione politica per quanto non condivisibile: non ci vanno perché pensano che la cosa non li riguardi. Tranne quando si tratta di altro tipo di elezioni e al voto corrisponde qualcosa: un impiego a tre mesi in un’azienda di pulizie o la promessa di un impiego a tre mesi in un’azienda di pulizie. Qui non c’era niente da promettere e infatti se Raffaele Lombardo, il re del clientelismo siciliano, dovesse misurare la propria popolarità fra i siciliani e soprattutto fra i suoi concittadini catanesi a partire dall’affluenza al voto in occasione dei referendum, comincerebbe a porsi qualche problema: lui infatti ha detto che a votare ci sarebbe andato (chissà per lanciare quale messaggio a chi) e che avrebbe votato quattro sì, ma a quanto pare i suoi seguaci non lo hanno seguito, perché non si sono nemmeno chiesti se votare sì o no e non si sono nemmeno sognati di recarsi alle urne. Ma stia sereno Lombardo – e i suoi correi di governo, che stanno imparando presto come si fa a gestire il potere – che appena ci saranno nuove elezioni, meglio se amministrative, il suo potere di “convincimento” ritornerà integro. Tanto i catanesi non si lamentano, non protestano: al più si limitano a delle pasquinate come quelle che spuntano qua e là da qualche giorno per le strade cittadine. Qualcuno, per esempio, si è preso la briga di andare in tipografia a fare stampare degli annunci funebri – di quelli che di solito si vedono principalmente nei paesi o nei quartieri popolari – e poi affiggerli nelle strade del centro di Catania. Su uno c’era scritto qualcosa tipo: “E’ morto il lavoro. Vivremo nel suo ricordo”. Un altro, più ambiguo – perché a Catania non sai mai se dietro parole apparentemente dirette non ci sia invece un messaggio trasversale -, annunciava la morte della vendita dei fiori. Un negoziante di scarpe, invece, alla vetrina del suo negozio ha attaccato un foglio A4 con su scritto: “Sono al comune a protestare: 1° Caro benzina 2° Per eccesso centri commerciali 3° Per lo stipendio dei deputati Torno subito”, mentre altri contestatori anonimi hanno fatto stampare e affisso delle accorate locandine con foto di Raffaele Stancanelli – pure lui, un tempo, uomo di Raffaele Lombardo, anche se adesso, per il gioco delle parti (o per guerra fra bande, come preferite), formalmente si trovano su fronti opposti – e drammatico appello: “Chi l’ha visto?” Perché…”quod non fecerunt Scapagni, fecerunt Stancanellini”.
Ma i catanesi (non tutti, per fortuna) si limitano alle pasquinate o, al più, farfugliano come i primati.

sabato 11 giugno 2011

I vecchi e i giovani (Pirandello mi perdoni)

E dunque, dopo essersi fatto notare per avere scaldato gli scranni prima a Palazzo degli Elefanti e poi al Parlamento nazionale, il giovane rampollo di una delle famiglie politiche che comandano a Catania da almeno quarant’anni, allevato a pane e apparati, a consociativismo inzuppato nel latte, recentemente colpito da presenzialismo galoppante che lo ha visto presiedere conferenze sul clientel…pardon…sull’occupazione e inventarsi movimentista presentandosi ovunque ci fossero folle a cui far credere, per esempio, che il Pd ha vinto le recenti elezioni amministrative finalmente ha gettato la maschera. E, in nome di un presunto rinnovamento alla Renzi (quello che va in pellegrinaggio da Berlusconi forse sperando di raccattare qualche briciola di gnocca e una sniffata di potere) che passerebbe soltanto per il certificato di nascita, Giuseppe Berretta, parlamentare del Pd per grazia ricevuta, sembra abbia ufficializzato la propria candidatura a sindaco di Catania. Ovviamente (e ci saremmo preoccupati del contrario) passando per le primarie. Perché loro sì che sono democratici.
E’ il caso di ricordare che Giuseppe Berretta è uno dei più convinti paladini del sostegno al governo regionale di Raffaele Lombardo, un convertito - si direbbe – leggendo quanto scriveva meno di due anni fa ed esattamente il 5 dicembre 2009: “Noi non c’entriamo nulla con l’Mpa, col Pdl né con l’Udc, non c’entriamo con le loro storie, con i loro governi, anche perché li conosciamo bene: a Catania, come a Palermo e a Roma”. E cos’è successo, di grazia, che nel frattempo – mentre si fanno sempre più pesanti e insistenti le accuse al governatore di avere rapporti con la mafia - ha fatto diventare Lombardo un santo? Il giovane Berretta, classe 1970, ha fatto un po’ di conti?
Voglio precisare che io non sopporto quelli che hanno superato i cinquant’anni che, per il solo fatto di essere al mondo da mezzo secolo e anche se (e soprattutto se) non hanno capito un cazzo della vita, solo per aver vissuto più degli altri pensano di avere diritto di salire in cattedra e dare lezioni – considerando deficienti i giovani e, con le loro odiose paternali, facendoli scappare a gambe levate -, ma ancor meno sopporto i presunti giovani, vecchi dentro, giovani che bramano e tramano per il potere fine a se stesso.
E ci sarebbe anche da sottolineare quanto siano giovani, giovani dentro, giovani, emozionati ed entusiasti, quelli che fanno politica per passione e che spesso sono proprio i “penalizzati” dall’anagrafe. A parte che questa esaltazione a tutti i costi della giovane età mi ricorda tanto il mito fascista della giovinezza e della forma fisica, riproposto poi nelle frequentazioni femminili da Silvio Berlusconi. E poi a questa generazione dei quarantenni alla Renzi, quarantenni ammuffiti, vorrei chiedere: come si fa il calcolo? Uno è giovane fino a quarant’anni e a quarantuno non lo è più? E’ vecchio a quaranta e mezzo o a cinquanta e mezzo? E chi può essere – dal momento che quella dell’età è una cazzata col botto, usata da chi non ha altri argomenti e sa di non essere credibile - il giudice supremo della vecchiaia o della giovinezza di qualcuno? Immagino che della commissione esaminatrice che dovrà decidere chi dovrà guidare Catania o l’intero Paese faranno parte il giovane Renzi e il giovane Berretta e magari, come membro esterno, ci mettiamo pure il Trota che rappresenta il futuro politico dell’Italia.
Non mi piace e considero ipocrita, retorica e vomitevole questa contrapposizione fra presunti vecchi e sedicenti giovani, la cui sola età sarebbe la panacea di tutti i mali: giovani/vecchi che come unico obiettivo hanno la gestione del potere.
L’unica contrapposizione che riconosco è quella - netta e senza possibilità di inciuci - fra chi si batte per il lavoro, per i diritti e per la legalità e chi invece sta dalla parte dei padroni, del potere clientelare, del lavoro come favore, della sanità negata, degli appalti senza gara, dei rapporti elettorali con i boss. Si chiamano - con una semplificazione che fa ricorso alle “vecchie” categorie in uggia ai rottamatori - rispettivamente sinistra e destra. Ma forse il giovane Berretta è ancora troppo giovane (o troppo vecchio e scafato) per capire questa differenza

Poveri di democrazia

Arrivano quasi contemporaneamente, come due treni che non hanno visto il semaforo, senti solo un gran stridore di freni e poi il botto. Il contrasto è raccapricciante come il rumore del gessetto che si spezza sulla lavagna mentre scrivi e ti fa accapponare la pelle.
Sono due notizie che riguardano l’economia siciliana. La prima arriva dalla Banca d’Italia ed è il rapporto annuale sul mercato del lavoro in Sicilia redatto dalla sede palermitana dell’Istituto di credito. Sensazioni e concretezze che ciascuno di noi vive sulla propria pelle, ma qui trasformati in dati, tanto asettici quanto inequivocabili, non passibili di interpretazioni soggettive e dunque crudeli.
Per il quarto anno di seguito – spiega Bankitalia –, l’occupazione diminuisce ancora. Come un’agonia lenta e inesorabile. Nel 2010 è scesa di un altro 1,7% (nel 2009 era a -1,1%), arrivando al 42,7%, cioè soltanto 43 persone scarse su cento hanno un lavoro e non c’è un settore che si salvi a parte l’agricoltura che è in lievissima crescita – ammesso che una lievissima crescita, rispetto a nulla, sia una salvezza - e che meriterebbe l’analisi di uno specialista. Lo studio della Banca ci spiega che gli uomini perdono il lavoro più delle donne, che calano del 3% i posti di lavoro a tempo indeterminato mentre aumentano del 4,2 quelli a tempo determinato e non c’è “scuola alta” che tenga, perché il virus colpisce indistintamente i laureati come le persone con un livello di istruzione basso. E già è possibile fare un paio di considerazioni “da bar”, senza pretese scientifiche: la prima è che forse le donne perdono il lavoro meno degli uomini perché ne hanno meno in partenza, perché smettono prima di cercarlo, perché fanno figli e se non hai un lavoro non ce la fai a mettere in conto fra le uscite anche i duecento euro al mese che servirebbero in media per mandarne uno al nido e anche se dovessi decidere di affrontarla questa spesa – come investimento per il futuro, perché vorresti accettarlo quel part-time sottopagato che ti era stato prospettato – non è detto che tuo figlio al nido lo prendano, perché – come emerge da un’indagine di Cittadinanzattiva sugli asili nido comunali in Sicilia – le liste d’attesa sono tali che un bimbo su tre resta fuori. E così, ancora una volta, le donne sono costrette a piegarsi a una “tradizione” selvaggia e fuori dal tempo. L’altra considerazione attiene all’allergia dei padroni verso regole e diritti dei lavoratori e al ricatto che – in questa terra più che altrove – è costretto a subire chi cerca lavoro: se lo vuoi, te lo danno a tempo determinato, magari a tre mesi. Ti assumono e ti licenziano subito, senza lasciarti il tempo di maturare ferie o anzianità di servizio. Sarà anche per questo, perché ti passa la fantasia, che – sempre in base ai dati di Bankitalia – si fa “decisamente preoccupante” la percentuale di giovani che non studiano e non lavorano: nel 2010 erano 38,1% i ragazzi siciliani fra i 15 e i 34 anni entrati a far parte della Neet generation. Ragazzi che un lavoro non lo cercano più, come se non cercassero più il futuro, non si illudono più che studiare sia la loro arma di riscatto e gravano sulle famiglie ormai a un passo dal baratro. E’ ancora lo studio della Banca d’Italia a dirci che in Sicilia 24 famiglie su 100 sono in condizioni di “povertà relativa”.
Poi arriva la seconda notizia, praticamente uno schiaffo alla sofferenza di chi non ha lavoro, un ceffone tanto più bruciante perché te la spacciano come una cosa positiva. Ebbene, in territorio di Misterbianco, alle porte di Catania – la provincia con la maggiore densità dei centri commerciali rispetto a tutto il territorio nazionale – è sorto un nuovo centro commerciale. Ma per farne che? Ci dicono che “a regime” – formula magica che vuol dire tutto e niente – questo nuovo centro creerà mille nuovi posti di lavoro in più. Intanto, proprio per questo, continuano a chiudere i negozi del centro e la gente viene licenziata, disoccupati che si aggiungono a disoccupati, e finirà che pure per andare a comprare il pane la gente sarà costretta a prendere la macchina e a intasare le strade. E chi la macchina non ce l’ha perché non può più permettersi di fare benzina e pagare l’assicurazione?
Come se non bastasse, andarsi a rinchiudere in quelle megatrappole per topi dove gli uomini e le donne vengono lobotomizzati, significherà restare poveri anche di sole, di mare, di rapporti umani che si instaurano con il negoziante sotto casa, della vista dei monumenti del centro storico, in definitiva di cultura. E forse è proprio questo che vogliono: renderci poveri e, ancora una volta, ricattabili. Poveri di soldi, poveri di cultura, poveri di democrazia. A tutto beneficio della principale azienda nazionale, la Mafia SpA, e dei governi che la sostengono e ne sono sostenuti.

giovedì 9 giugno 2011

Orologi in fuga dal tempo

Da qualche giorno gli orologi di casa mi si stanno rivoltando contro. Essendo io una nevrotica con la fissa della puntualità, secondo la quale l’arrivare in ritardo si giustifica soltanto con il fatto che sei morto strada facendo (che poi, in quel caso, non è che arrivi in ritardo: proprio non arrivi), tengo tutti i miei orologi almeno cinque minuti avanti e la radiosveglia sul comodino addirittura di sette-otto minuti avanti preferendo ridurre i tempi di alcune fra le cose più piacevoli della vita piuttosto che viverle con l’ansia del ritardo.
Ebbene, da qualche giorno i miei orologi hanno deciso di farmi pagare questa sorta di senso di onnipotenza che mi spinge a voler governare il tempo e si stanno ribellando. A cominciare per primo è stato quello del soggiorno: cinque minuti indietro. E però, siccome va a pile, ci sta. E ci sta pure il fatto che vada indietro: è quasi normale che un orologio o perché è vecchiotto o perché hai dimenticato di metterlo in carica o, appunto, perché si stanno scaricando le batterie perda qualche minuto per strada. Poi però ci si è messo pure quello della camera da letto, quello dei sette-otto minuti in più: “Tu hai la pretesa di imporre al tempo i tuoi ritmi? Tu mi vuoi fare andare di fretta? E io mi metto a correre! Alla velocità della luce!” E via come un pazzo, a gambe levate. Non faccio in tempo a rimetterlo a posto (cioè, a posto a modo mio: sempre avanti di quei sette-otto minuti), faccio un giro per casa, metto in ordine qualcosa, torno indietro e lui è già in disordine, per la sua strada: quindici minuti, anche venti in più, in vista di chissà quale traguardo. O forse solo per farsi beffe della mia smania di puntualità.
Più crudele è stato quello del computer. Di solito, quando va via la luce, le impostazioni sballano tutte e – non so bene per quale ragione – la data torna a un giorno di febbraio del 2002 mentre l’ora varia di volta in volta, a seconda dell’estro. Stavolta la luce non era andata via, eppure qualcosa era successo: l’ora era quella giusta (con i suoi – ça va sans dire – puntuali cinque minuti in più), ma il giorno era ieri. Con le conseguenze del caso, che non sai se la verità è che la sera precedente hai bevuto un goccio di birra e sei ancora stordita o se non ti sei ancora alzata e stai sognando: già, perché apri il programma di mail e lui ti dà, con la data di oggi, le mail che avevi già letto ieri. O hai solo la sensazione di averle già lette ieri? Mah!
Insomma, per fare una verifica sono andata in camera di mio figlio, a guardare la sua radiosveglia che da qualche giorno avevo ignorato: forse era offesa per essere stata trascurata, fatto sta che era con le valigie in mano pronta per partire. Anzi, era già sulla rampa di lancio di Cape Canaveral con il fuoco sotto il culo a un attimo dal decollo verso lo spazio: trentacinque minuti avanti!
Come se non bastasse, qualcuno – ritardatario cronico (Cronografico? Cronologico? Cronometrico?) – ha dimenticato a casa mia il suo orologio da polso. Sono andata a controllare: spacca il secondo!
Alla fine, i ricercatori del Dipartimento di energia elettrica dell’Università di Catania – dopo avere messo insieme troppe segnalazioni simili perché non ci fosse una spiegazione razionale – hanno chiarito che sì, è vero, gli orologi digitali vanno avanti forse per la presenza di generatori di energia (come gli impianti fotovoltaici) che possono causare delle variazioni di frequenza, mentre qualcun altro pensa che la responsabilità possa essere attribuita al fatto che in questi giorni si stanno effettuando lavori al cavo sottomarino che porta l’energia elettrica in Sicilia e questo provocherebbe sbalzi nell’erogazione della corrente elettrica.
Sarà, ma non sono del tutto sicura che gli orologi (e gli uomini) non stiano cercando di scappare da questo tempo.

martedì 7 giugno 2011

Referendum: domande a testa in giù in un Paese all'incontrario

Quando ascolti distrattamente i giornali radio della mattina, mentre ti stai preparando per andare al lavoro e intanto rifai il letto, dai l’acqua alle piante, lavi la tazza della colazione, ti può capitare di commentare una notizia d’istinto, senza inquadrarla nel momento storico.
E’ quello che mi è successo stamattina. Riferivano che alcuni giornalisti hanno chiesto al presidente Napolitano se andrà a votare per i referendum del 12 e 13 giugno: “Che domanda del cazzo!”, è stata – confesso – la mia prima reazione. Sbagliavo. Sarebbe stata una domanda del cazzo se questo fosse un Paese dove i vertici istituzionali danno il buon esempio, lo sarebbe stata se qualcuno si ricordasse ancora quanta fatica, lacrime e sangue, è costato nei secoli ottenere il diritto di voto, se qualcuno si ricordasse ancora che un tempo se non eri ricco non ti facevano votare, se non eri istruito non ti facevano votare, se eri donna non ti facevano votare. E lo sarebbe stata se qualcuno si ricordasse che in questo Paese – non troppo tempo fa – c’era un regime fascista che gradualmente ha tolto la parola agli oppositori, ha condizionato la stampa, ha chiuso le urne elettorali e c’è voluto tutto il coraggio e tutta l’indignazione del mondo e ci sono voluti i ragazzi morti sulle montagne per riconquistare il diritto di voto e di parola. E lo sarebbe stata se fosse chiaro a tutti quanto il voto sia una grande conquista: diritto-dovere – così ce lo spiegavano a scuola quando si faceva Educazione civica -; dovere soltanto civico, certo, che non implica conseguenze penali o sanzioni di alcun tipo se non vai a votare. Però se non lo eserciti significa che non lo sai quanta fatica è costato conquistare questo diritto. Di più: significa che se hai dimostrato tanto disinteresse per le cose del tuo Paese, non è che all’improvviso ti svegli la mattina e decidi che anche tu vuoi incidere. Lo so, nel frattempo l’astensione ha assunto sempre più il significato di un voto politico e questo discorso non vale più, ma vi assicuro che è forte la voglia di dirgliene quattro a quelli che non vanno a votare e poi si lamentano.
Ma torniamo a Napolitano: alla presunta “domanda del cazzo” (dal momento che in un Paese civile è ovvio che le massime istituzioni diano l’esempio), il presidente Napolitano ha dato una risposta necessariamente altrettanto “del cazzo”, dicendo che farà “il suo dovere”. Cioè ha risposto con un’ovvietà ad una domanda che non avrebbe neppure essere posta se non fosse che dall’altro lato c’è un altro presidente, quello del consiglio, che da mesi fa di tutto e con tutti i mezzi (dalle finte modifiche di legge alla richiesta di intervento della Corte costituzionale) per vanificare questi quattro referendum, fino a definire “inutile” quello sul nucleare (e qualcuno dovrebbe spiegare a Berlusconi – che non fa altro che ripetere di essere stato eletto dal popolo – che al referendum è il popolo che si esprime e che il voto del popolo non è inutile o utile a seconda del suo comodo).
Ma i giornalisti di un Paese che cammina a mani in giù e piedi in aria purtroppo quella domanda a Napolitano hanno dovuto farla, proprio perché c’è uno – che dovrebbe avere la stessa autorevolezza e dare il buon esempio – che invece ha definito inutile un referendum. E se continua così, finirà che i giornalisti al Presidente della Repubblica dovranno chiedere se è vero che uccidere è reato, se è vero che i mafiosi non sono eroi ma bastardi, se è giusto che corrompendo qualcuno si vada in galera, se è normale che la legge sia uguale per tutti.
Io il 12 e 13 giugno ci andrò a votare, come ho sempre fatto del resto (tranne una volta sola: quasi si trattava di scegliere come presidente della provincia fra un fascista e un fascistello), e mi auguro che almeno questa volta i cultori dell’astensionismo deroghino rispetto alle loro abitudini: perché l’accanimento con il quale l’assassino di democrazia che occupa la poltrona di palazzo Chigi persegue, malgrado i risultati elettorali di qualche giorno fa, il compito affidatogli da Licio Gelli (e la cancellazione di Annozero, al di là di ogni logica, è solo l’ultimo guanto di sfida lanciato alla democrazia), alla fine si tradurrà nella cancellazione di tutti i diritti. E non ci toglieranno solo l’acqua, ma pure l’aria.

sabato 4 giugno 2011

Morti e gambizzati, ma a Catania la mafia non c'è

Catania oggi si è risvegliata avvolta nello stesso incubo di sempre. No, non Catania in realtà, che continua indolente e colpevolmente fatalista come sempre il suo cammino per inerzia, un cammino statico si direbbe; non quella Catania che incarna ancora – oltre cinquant’anni dopo la fotografia brancatiana – l’immagine dei giovani seduttori inutili e ciondolanti davanti ai bar della via Etnea a veder scorrere il mondo fuori da sé. No, quella no: quella continua ad essere la Catania del “tanto si ammazzano fra di loro” o del “a mmia cchi mi nni veni?”. Nell’incubo, ancora una volta, si sono svegliati quei pochi (pochissimi) catanesi che ancora e malgrado tutto si ostinano ad amarla questa città e – come amanti respinti – a lasciarsi andare al pianto e alla rabbia.
Il cerino lo aveva acceso qualcuno già ieri e chiunque abbia un minimo di attenzione o di memoria delle cose di questa città poteva prevedere facilmente che oggi il bosco si sarebbe incendiato. Ieri a Misterbianco, diramazione e succursale mafiosa di Catania, era stato gambizzato Giuseppe Garozzo, “Pippu u maritatu”, boss di spicco del clan dei Cursoti e subito si erano concatenate le notizie: qualche giorno prima a San Gregorio (altro centro dell’hinterland catanese) altre gambe erano state raggiunte da colpi di pistola ed erano quelle del titolare di una concessionaria di auto. E subito si concatenano parole e ricordi: gambizzare, clan, concessionaria d’auto. Sembra di essere tornati ai tempi di Nitto Santapaola, delle guerre di mafia, dei cento morti l’anno. Infatti stamattina, puntuale come un orologio svizzero nella terra della lassitudine mentale (e perciò ancor più sconvolgente), è arrivata la conferma. Come da copione: alle 5 del mattino, in un bar di corso Indipendenza, mentre il titolare non vedeva e non sentiva perché intento a sistemare le brioches prima di disporle sul balcone, un sicario è entrato e ha ammazzato con alcuni colpi di pistola Salvatore Grasso, anche lui esponente del clan dei Cursoti, che in quel momento stava giocando alle slot-machine.
Che poi ci sarebbe pure da chiedersi perché uno alle 5 del mattino di un sabato di giugno, invece di avere davanti ancora un paio d’ore di sonno, sta in un bar a giocare con le macchinette. E ci sarebbe da chiedersi se nessuno lo aveva informato di quanto accaduto il giorno prima al suo boss e anche se non sia stato tanto stupido da recarsi a un appuntamento pur sapendo quanto era accaduto il giorno prima al suo boss.
Ora spero solo che qualche genio non ci venga a dire, come già qualche anno fa, che a Catania non c’è nessuna guerra di mafia e forse persino che la mafia non c’è. Perché che la mafia c’è – e non uccide solo i suoi uomini infedeli, ma uccide l’economia, uccide il lavoro, uccide il futuro di questa città a cui fa comodo continuare a pensare che si ammazzino soltanto fra di loro - lo dimostra non soltanto questo paio di giorni di fuoco, che realisticamente porterà con sé una lunga scia di ferimenti e forse altri omicidi, ma tutti gli altri giorni dell’anno in cui non si spara ma aprono e chiudono bar o ristoranti che riaprono il giorno dopo esponendo il cartello “nuova gestione”, aprono e chiudono negozi di lusso che riaprono il giorno dopo esponendo il cartello “nuova gestione”, aprono e chiudono girarrosto che riaprono il giorno dopo esponendo il cartello “nuova gestione” e sempre con lo stesso inquietante “topos”: a gestire il bar o il ristorante – e mi si perdonerà la semplificazione fisiognomica, giustificata non tanto da tratti somatici, quanto da atteggiamenti inequivocabili – è il mafioso-tipo, generalmente sessantenne, quello che per camminare deve dimenare circolarmente l’addome e tenere le braccia larghe e in avanti quasi a voler delimitare la proprietà di tutto il marciapiede, quello che ti guarda a un tempo in tralice e con fare sarcastico per dirti che tu – comune mortale che rispetta le regole – sei una merda, quello con l’occhio roteante a 360° perché il territorio è suo e nulla deve sfuggirgli; nel negozio di lusso invece a fare gli onori di casa c’è la generazione dei quarantenni: giovani uomini con la brillantina nei capelli, vestito gessato, scarpe a punta e fare mellifluo da agente immobiliare, che altro non è se non la versione moderna e “acculturata” del gestore del bar e/o ristorante, di cui probabilmente è prestanome; il terzo tipo, quello di chi ha in gestione il girarrosto, sono due tipe invece: due donne, entrambe abbastanza giovani ma a volte di due generazioni diverse – una madre e una figlia, una suocera e un nuora, due cognate -, entrambe con i capelli giallo stoppa ed entrambe vestite a lutto dalla testa ai piedi, calze comprese, persino d’estate.
Ora io non so se le mie sono rappresentazioni romanzate della realtà o se dipendono dal fatto che cammino troppo a piedi per non notare dettagli minimi che in auto inevitabilmente sfuggono, ma mi chiedo sempre più spesso perché gli altri non se ne accorgano, perché – soprattutto – non se ne accorgano quelli che dovrebbero indagare. Poi ti viene il sospetto che a qualcuno faccia comodo lasciare le cose come stanno oppure che non abbiano tempo di occuparsi della città, impegnati come sono a decidere organigrammi, a comporre e scomporre correnti, a litigare sul nome che meglio di tutti potrà garantire di non dare fastidio a chi governa con i voti dei gestori dei bar, dei negozianti parvenus, delle vedove e delle orfane inconsolabili.

venerdì 3 giugno 2011

Legge ad sorores

Secondo la religione cattolica, quando uno muore - se è stato buono – la sua anima sale in cielo mentre il suo corpo resta sulla terra. Decomponendosi e producendo una serie di schifezze anche potenzialmente nocive per la salute dei vivi, tanto che Napoleone Bonaparte – più per questioni igieniche che democratiche – a un certo punto, con l’editto di Saint-Cloud del 1804, poi esteso anche all’Italia, decise di “livellare” tutti davanti alla morte istituendo l’obbligo di costruire i cimiteri fuori dai centri abitati. Con qualche eccezione – perché i governanti sono sempre governanti e ci tengono a tenersi buoni i ricchi e i preti – per nobili e vescovi, che potevano continuare a farsi seppellire nelle loro lussuose dimore e non sporcarsi le mani con il volgo.
Ora il sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, che è anche senatore della Repubblica italiana, non si sa bene se perché convinto di essere il grande condottiero (ma ce n’è già uno nel suo partito che ha di queste convinzioni: lasci perdere) o se perché ha preso talmente alla lettera il suo ruolo di parlamentare di tutti gli italiani, certo è che a un certo punto ha cominciato a preoccuparsi delle monache e dei monaci di clausura di due conventi che si trovano uno a Cesena e l’altro a San Giacomo di Veglia, in provincia di Treviso, cioè rispettivamente a circa 1200 e 1400 chilometri da Catania, per firmare un disegno di legge in cui non soltanto si prevede che i religiosi possano essere sepolti lì dove hanno vissuto tutta la vita (cos’è, si preoccupa che fuori – da morti - possano accorgersi che il mondo, pur con tutti i suoi problemi, è molto più divertente di una prigione?) ma addirittura che, per non disturbare, vieta di costruire nelle vicinanze e impone comunque di limitare le attività umane.
Vorrei dirgli un po’ di cose:
1) Se è vero che morendo, almeno quelli buoni, l’anima va in paradiso e i resti mortali, in quanto mortali, appunto, muoiono e quindi vengono privati dei cinque sensi, immagino che una volta morte le anime delle suore svolazzino fra cieli limpidi al suono dell’arpa (saicheduecoglioni!) mentre i loro resti sottoterra non si accorgono affatto del rumore intorno.
2) Io invece ci sento benissimo ed essendo sua concittadina e cittadina di una città amministrata da Lei, mi chiedo perché tanto interesse per la tranquillità dei monaci romagnoli e veneti e perché invece – per esempio - non arma di bacchette i vigili urbani con il compito ben preciso di dare bacchettate sulle mani ai suoi e miei incivilissimi concittadini quando si incollano al clacson nelle ore del riposo o in prossimità degli ospedali, dove ci sono dei vivi che non stanno tanto bene e vorrebbero almeno essere lasciati in pace. Così come nella città di cui Lei è sindaco, ci sono vivi che vorrebbero lavorare, vivi che vorrebbero non pagare il pizzo, vivi che vorrebbero prendere l’autobus senza arrivare tardi al lavoro, vivi anziani che vorrebbero essere accuditi, vivi piccolissimi che vorrebbero andare al nido ed essere certi di non essere tenuti a pane e acqua, vivi che vorrebbero camminare sui marciapiedi senza trovarli occupati dalle macchine, vivi che vorrebbero respirare aria e non smog, vivi che vorrebbero passeggiare a naso all’insù per guardare i monumenti e invece devono stare a testa bassa per evitare di finire con le scarpe nella merda…
3) Ho un sospetto: che il suo interesse per la quiete nei conventi del nord Italia dipenda dal fatto che lei ci va in vacanza. E però, se lo lasci dire: non le conviene andare in un posto così tranquillo dove si può riflettere senza che il pensiero venga distolto da agenti esterni. Perché penso che anche lei, se si fermasse a riflettere su quello che ha fatto a Catania, riducendola al livello di una latrina en plein air, non riuscirebbe a trovare nemmeno una ragione per autoassolversi. E nemmeno le suore, anche se gli ha fatto una leggina tutta per loro (ad sorores?), riuscirebbero ad assolverla.

Comunque, sappia che se dovesse decidere di ritirarsi in convento a meditare, il più lontano possibile da Catania, diciamo fra 1200 e 1400 chilometri biglietto di sola andata, ce ne faremo una ragione.

mercoledì 1 giugno 2011

Cracolici non fa la fila

Antonello Cracolici pare uno che è stato per giorni in coma o su un’isola deserta dove i telefonini non prendono. E quindi – stordito dai farmaci o dal jet lag - non sa cos’è accaduto in questi giorni in Italia. Glielo spiego in due parole: in Italia ci sono state le elezioni. Elezioni amministrative, è vero, ma che hanno coinvolto un tale numero di elettori e in città così grandi e dalle storie così significative da attribuire al risultato un valore politico nazionale. Ebbene – ricordo sinteticamente a beneficio di Cracolici che non c’era – queste elezioni hanno sancito due cose inequivocabilmente: la prima è un sonoro e corale calcio in culo a Berlusconi; la seconda è che questo calcio in culo gliel’ha dato un centrosinistra “tradizionale” (nel senso di Pd, Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, Sel) unito, sia pure con sfumature diverse nelle due grandi città: fin dal primo momento a Milano, solo al ballottaggio a Napoli dopo che la base (pulita) del Pd (bassoliniano) al primo turno ha scelto di non subire la scelta fatta dall’apparato di un partito perfettamente a proprio agio nel berlusconismo e nei rapporti perversi, votando per Luigi De Magistris, candidato di Italia dei Valori e Federazione della Sinistra (cioè i comunisti che tanta paura fanno non solo a Berlusconi, ma a tutti quelli che usano la politica per fare imbrogli, arricchirsi, trarre benefici personali).
Dunque non è il Pd che ha vinto le elezioni, ma la sua base – quella pulita – che si è alleata in maniera del tutto naturale con gli alleati naturali.
Ma forse questo è un concetto troppo difficile per il capogruppo del Pd all’Ars, uno dei più appassionati sostenitori dell’alleanza con Raffaele Lombardo, che all’indomani del primo turno delle amministrative (prima di entrare in coma e/o di partire per l’isola deserta), nel suo blog si cimentava in un triplo salto mortale carpiato per sostenere, alla luce del risultato elettorale di Milano, la giustezza delle scelte del suo partito in Sicilia che avrebbe così messo ai margini il berlusconismo “in salsa siciliana” coniugato al cuffarismo. Con questo bel risultato che invece evidentemente secondo lui è il lombardismo: tutti zerbini sotto i piedi di sua maestà a pietire un pacchettino di voti, uno strapuntino di sottogoverno, una raccomandazioncina, un appaltino. Perché tanto poi lui il grosso lo tiene per sé, facendoli contenti e gabbati. Servi sciocchi.
Perché non so poi come si voglia definire uno che – rientrato dal coma e/o dall’isola – si inerpica su per un’approfondita e dotta analisi del voto amministrativo in Sicilia (davvero uno sputo, sia in termini quantitativi che qualitativi, rispetto all’oceano delle elezioni già concluse nel resto d’Italia con i ballottaggi) per sentenziare che ora il centrosinistra per vincere deve allearsi con il terzo polo. Dopo di che, motiva la sua sentenza portando l’esempio di Ragusa (dove ha vinto il sindaco del Pdl, che comunque era al secondo mandato: cosa che normalmente – a meno che non si tratti di Letizia Moratti – dà un vantaggio al candidato e la quasi matematica certezza di essere riconfermato) e non dimentica di fare la paternale a Sel e IdV (dimenticando invece scientemente la FdS) che sollecitano da tempo il Pd a smetterla con il governo Lombardo e ricorda loro che quei partiti alle ultime regionali in Sicilia non hanno raccolto un gran che. Ora, a parte che Sel a quel tempo non c’era, perché era all’interno della Sinistra arcobaleno e Cracolici finge di non ricordarlo, ma in più il geniale capogruppo Pd finge anche di non ricordare – pensando che siamo tutti scemi – che il 5 meno un cazzo% preso dalla Sinistra arcobaleno non è proprio un risultato da buttar via; che se non siamo rappresentati nella succursale palermitana di Sing Sing, cioè nel cosiddetto parlamento siciliano, è proprio perché il Pd si è battuto strenuamente e consociativamente insieme ad altri partiti maggiori per introdurre lo sbarramento al 5% proprio per farci fuori e cercare di arginare la caduta libera della propria percentuale; che proprio il Pd ha teso agli elettori la trappola, l’imbroglio, la truffa del cosiddetto “voto utile”, cioè quello assolutamente inutile e sprecato dato al Pd, perché andavano dicendo in giro (esattamente come continuano a fare oggi e persino dopo i risultati delle amministrative nel resto d’Italia) che noi non ce l’avremmo fatta.
Intanto il Pd in Sicilia – in base alle intenzioni di voto rilevate circa un mese fa – perde un altro bel po’ di voti, a occhio e croce quanti ne servono a un partito in Sicilia per entrare all’Ars, proprio a causa di quest’alleanza contronatura (o forse siamo noi che ci ostiniamo a pensarla contronatura mentre per loro è naturale stare con il re del clientelismo?) con il frequentatore di boss. Però Cracolici continua a pontificare e a pensare di dare lezioni di centrosinistra agli altri.
Ora io non vorrei essere pedante, ma essere di centrosinistra e soprattutto di sinistra significa avere dei principi, delle idee, dei valori, un’etica. E francamente mi sembra che il Pd siciliano tutto questo lo abbia smarrito. Quanto a Cracolici, l’uomo più borioso che io abbia mai conosciuto (non personalmente, per mia fortuna, ché non vorrei mai annoverarlo fra la cerchia delle mie conoscenze), forse non sa nemmeno cosa siano etica e valori. E forse può servire a dimostrarlo un episodio: anni fa, a Palermo in attesa di un concerto allo stadio, ero in fila insieme ad alcune decine di persone davanti al furgone di un paninaro per prendere qualcosa da mangiare prima dell’inizio dello spettacolo. Pazienti ed educati, aspettavamo il nostro turno. Lui no: arrivò, si fece largo fra due ali di folla fingendo di non accorgersi di due ali di folla in paziente attesa e, sprezzante, comprò il suo panino fra gli sguardi esterrefatti di tutti noi. Come dire: "Io so' io e voi nun siete 'n cazzo". Forse le categorie oggi sono cambiate, ma per me uno così non è di sinistra e non lo è mai stato e forse non è nemmeno di centrosinistra: uno così sta benissimo nell’Mpa. Insieme a quelli che posteggiano in doppia fila, a quelli che by-passano le liste di prenotazione per gli accertamenti nelle strutture sanitarie pubbliche, a quelli che trovano un posto per raccomandazione, a quelli che fanno gli accordi sottobanco per vincere gli appalti, a quelli che frequentano i boss e rubano il futuro alla Sicilia. In attesa che Cracolici – insieme agli altri sostenitori del governo Lombardo – passi all’Mpa, sono fiduciosa che la base del partito, quella fatta di persone per bene e allevate a pane e princìpi, saprà cantargliela chiara così come ha fatto a Napoli con Bassolino.E magari gli dirà di rimettersi in fila.