mercoledì 29 gennaio 2020

Feltri e il Prostamol

Il povero Feltri, che ormai presumibilmente e anche visivamente ha difficoltà a contenersi, l’ha fatta ancora una volta fuori dal vaso.
In mancanza di meglio (e forse proprio per questo) lo eccita particolarmente seminare odio contro le donne e dunque oggi sul suo giornale, Libero (!), se n’è uscito con un titolo a nove colonne in prima pagina per raccontarci la balla che i maschicidi – così li chiama – sarebbero più dei femminicidi. Mettendo nel calderone del presunto maschicidio omicidi di ogni tipo, fingendo di non sapere che di solito sono gli uomini che uccidono altri uomini, che sono rarissimi gli omicidi commessi da una partner, che il termine femminicidio indica l’uccisione di una donna da parte di un uomo – come spiega l’Accademia della Crusca – in ragione della sua mancata sottomissione, e che per questo il termine femminicidio indica non solo che una donna è stata uccisa (no, non ci provate: non lo usiamo per indicare l’uccisione di una donna nel corso di una rapina in banca) ma il motivo per cui è stata uccisa e cioè appunto perché un uomo voleva tenerla sottomessa, controllarne la vita, averne il pieno possesso come se si trattasse di una cosa. 
Ma evidentemente Vittorio Feltri, che dirige un giornale, non frequenta i corsi di formazione per giornalisti in cui si parla di violenza di genere, non legge i dati, non li analizza, non si informa pretendendo di informare, butta lì una frase senza sapere di cosa sa parlando e per il solo gusto di provocare. Soltanto perché a un certo punto gli scappa e deve trovare una scusa per farla, appunto. E non sarà un caso se nella stessa prima pagina del suo giornale c’è la pubblicità del Prostamol. 

domenica 12 gennaio 2020

Follia e odio

Prendete uno studente di ingegneria, meridionale, presumibilmente destinato – che sia figlio di proletari o di borghesi, ormai non fa quasi più differenza – a lasciare la propria terra per riuscire ad avere una vita decente. E prendete il lavoratore di un call center, presumibilmente sfruttato e senza tutele, magari costretto ad accettare quel lavoro lì perché è stato licenziato cinquantenne oppure perché, pur essendo giovane, e malgrado laurea e specializzazioni, non lo vuole nessuno.
Dovrebbero stare dalla stessa parte, no? E invece no.
La vicenda è stata raccontata dallo stesso ragazzo: Alberto, napoletano, ha un problema con il pagamento della bolletta Tim e telefona al 187. Gli risponde un uomo con accento settentrionale che, invece di aiutarlo a risolvere il problema (dovrebbe rientrare fra le sue competenze, se non sbaglio) – come invece fanno migliaia e forse milioni di suoi colleghi, gentilissimi nonostante un lavoro di merda –, comincia a insultarlo: tutti da Napoli questi problemi, i napoletani danno solo problemi all’Italia, i napoletani vogliono che gli altri risolvano i loro problemi, i napoletani non fanno un cazzo, i napoletani campano sulle spalle degli altri. Insomma, linea Salvini. Peraltro da poco condannato per razzismo con decreto penale proprio per avere insultato i napoletani. Ricordate il coretto del 2009 «Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani»? Ecco, proprio quello. 
Secondo il racconto dello studente, come se non bastasse, il solerte operatore salvinizzato si è anche profuso in insulti omofobi nei suoi confronti, e ha completato l’opera con minacce in perfetto stile mafioso quando lui ha annunciato l’intenzione di querelarlo: «Io so chi sei. Ho i tuoi dati qui. Ti faccio un culo così».  
Alberto ha parlato di quattro minuti di pura follia e odio. Pura follia e odio. Gli stessi che gli italiani stanno subendo da anni, da quando esiste la Lega che inneggiava alla potenza distruttrice dell’Etna e da quando si è incattivita ulteriormente con l’arrivo di Salvini. Follia e odio. Questo è riuscito a creare Salvini, con la sua «Bestia», con i suoi seguaci sguinzagliati a vomitare insulti attraverso i social: follia e odio, contro i migranti, contro le donne, contro gli omosessuali; follia e odio degli italiani contro gli italiani, dei poveri contro i poveri. Ad Alberto la Tim ha chiesto scusa, dichiarandosi basita e sorpresa. Agli italiani chi chiederà scusa per avere permesso a un razzista di governare il paese? E magari i meridionali dovrebbero pensare alla storia di Alberto prima di votare per uno che alla fine, proprio come quell'operatore del call center, ha solo l'obiettivo di farci un culo così.

venerdì 3 gennaio 2020

Ucciso da un robot

«Io lo so che prima o poi sarò sostituito da un robot». Eravamo andate, mia sorella e io, qualche giorno fa in un grande negozio di elettrodomestici a chiedere informazioni: ovviamente avevamo già visto quello che ci interessava su internet e glielo abbiamo detto, ma avevamo bisogno di confrontarci con un essere umano. Lui, appunto: umanissimo, più o meno trentenne, con uno sguardo dolce e rassegnato, conveniva sul fatto che parlare era meglio che «navigare». E però «io lo so che prima o poi sarò sostituito da un robot». Non c’è bisogno di essere luddisti per sapere che le macchine sostituite indiscriminatamente alle donne e agli uomini, sacrificati sull’altare del profitto, quelle macchine che non chiedono ferie, diritti, congedi di maternità o di paternità, sicurezza sul lavoro, prima o poi quel lavoro lo uccideranno. In qualche caso non metaforicamente.
Eppure quello che è successo ieri, 2 gennaio, ad Atessa, in una fabbrica di manutenzione degli stabilimenti ex Fiat, sembra proprio la metafora di quello che succederà, delle macchine che uccideranno i lavoratori: Cristian Perilli aveva 29 anni, forse era contento di non essere stato costretto a emigrare come tanti suoi coetanei ed è stato schiacciato da un robot. Ucciso da una macchina, lui e il suo lavoro. E in questa foga di stilare classifiche – il primo bambino nato nel 2020, l’ultima centenaria sopravvissuta al 2019, la prima mano amputata per i botti – a lui è toccato il titolo di primo morto sul lavoro di quest’anno. Magari avrebbe fatto volentieri a meno di questo primato.
Magari avrebbe fatto volentieri a meno della solita ipocrita nota di Fca che esprime «profondo cordoglio e vicinanza alla famiglia per la tragica scomparsa».
Magari avrebbe preferito che l’azienda, invece di battersi il petto dopo, avesse investito prima in misure di sicurezza e che qualcuno ne controllasse il rispetto. E magari che qualcuno prevenisse in maniera seria questo sterminio sistematico di massa: altrimenti può darsi che ci venga il sospetto che tutto ciò serva a farci preferire di essere sostituiti da un robot piuttosto che esserne uccisi.