domenica 12 febbraio 2017

Olio di ricino social

Vediamo di fare il punto. Da un lato c’è – come molti lo hanno definito - un professionista stimato, «una persona perbene»; dall’altro c’è un giornalista precario, quindi a occhio uno che si deve fare il mazzo per portare a casa qualche decina di euro a fine mese e ogni volta che scrive un pezzo deve misurare anche le virgole per evitare che una querela temeraria gli porti via pure le mutande.
Il primo si fa intervistare, dice delle cose pesanti e delle cose sgradevoli; in più alcune le dice anche in maniera sgradevole, come se fosse fianco a fianco ad un commilitone davanti al pisciatoio della caserma. Ed è del tutto ininfluente che non abbia usato una terminologia da Bagaglino.
Il secondo scrive il pezzo, depura l’intervista delle parti più pesanti e pubblica.
Si aprono le cateratte del cielo: «Mascalzone», sbrocca Paolo Berdini, professionista stimato e persona perbene che ha dato dell’incompetente alla sua sindaca (e come dargli torto?), ma non ha resistito al richiamo del maschio selvatico lasciandosi andare allo sfruculiamento erotico che innalza l’audience che Sanremo se lo sogna. Come se non bastasse, fa pure lo sborone raccontando di essere amico del magistrato Paolo Ielo che indaga su tutte le porcherie corruttive che a Roma, quasi senza soluzione di continuità, passano da un’amministrazione all’altra come per diritto ereditario.
Pennivendolo, merda, spione e altre amenità sono invece i pensieri affettuosi che i grillini rivolgono al giornalista precario Federico Capurso che ha riportato le parole (registrate) di Berdini. Che, siccome rischia la poltrona, non ci pensa su un secondo e comincia a scalare gli specchi: non sapevo fosse un giornalista, non sapevo che stesse registrando, non c’ero e se c’ero dormivo. Ma intanto la macchina del fango – quella dei 5Stelle contro i giornalisti – si era messa in moto e ancora continua a macinare: il video con le parti depurate messo in rete oggi da La Stampa, il giornale di Capurso, conferma la gravità delle cose dette da Berdini e conferma che Berdini sapeva perfettamente di parlare con un giornalista. Ma questo, invece di calmare i pentastellati, è benzina sul fuoco del loro livore. E quindi via all’olio di ricino social contro il giornalista che si è limitato a riferire quello che Berdini aveva detto, sputtanandoli: auguri di morte e accuse di prostituzione. E meno male che non è una giornalista, altrimenti non oso pensare cosa avrebbero detto.

Ecco, due riflessioni: 1) se l’Italia è al settantasettesimo posto nella classifica sulla libertà di stampa è perché c’è chi, e sono in tanti, vorrebbe impedire ai giornalisti di fare il loro mestiere raccontando, quando è necessario, anche le cose che non ci piacciono; 2) se Berdini era amico del Pm Ielo – e soprattutto se non lo era, come ha ammesso dopo – perché non è andato da lui in maniera ufficiale a sottoporgli i suoi sospetti sul rapporto causa/effetto fra la presunta liaison di Raggi con Romeo e la nomina di quest’ultimo a capo della segreteria della sindaca con conseguente aumento della retribuzione? Perché ha preferito servirsi del giornalista come ventriloquo? Azzardo un’ipotesi: forse perché sapeva che i fascisti a 5Stelle avrebbero rivolto la loro attenzione verso il giornalista piuttosto che verso di lui o - eventualmente e come sarebbe più giusto - verso se stessi, per avere messo una sindaca incapace a guidare la capitale d’Italia.

giovedì 9 febbraio 2017

A titolo di sciacallo

Matteo Renzi ha telefonato a Samuele Schiavon per ringraziarlo.
Schiavon è l’imprenditore veneto che ha assunto Martina Camuffo, al nono mese di gravidanza, nella sua società di web designer. L’ha assunta “malgrado” fosse incinta e una cosa del genere – come l’uomo che morde il cane – in questo Paese fa notizia. E fa notizia nonostante sia ormai chiaro a tutti che quello lì è un tipo di lavoro che puoi fare da casa: che tu sia incinta, che sia costretto su una sedia a rotelle, che abbia trent’anni o ottanta e, pensate un po’, persino se sei una cozza nel mondo dell’immagine dove prima che le competenze conta l’aspetto. Martina è brava, Samuele l’ha capito e l’ha assunta, facendo un favore a se stesso e alla sua azienda, tutto qui.
In fondo ha fatto solo quello che dovrebbero fare gli imprenditori – se fossero veri imprenditori e non padroni, cioè delle bestie – quando devono assumere: valutare la competenza dei candidati e scegliere quello o quella che può far aumentare il profitto.
Però Renzi ha telefonato a Samuele Schiavon e lo ha ringraziato. Affrettandosi, naturalmente, a comunicarcelo dal suo profilo Facebook. Ma a che titolo Renzi ha telefonato a Schiavon? In quanto segretario del partito degli imprenditori? Lui precisa di averlo chiamato “come cittadino italiano”, ma l’impressione è che lo faccia da presidente del consiglio che si è allontanato momentaneamente e sia in attesa di ritornare. E infatti ci racconta una favoletta elettorale - «ho pensato che una delle più belle e meno conosciute novità del Jobs Act non sono solo i 602.000 posti di lavoro in più in tre anni. Ma anche aver introdotto di nuovo il divieto delle dimissioni in bianco, la squallida pratica contro le donne e contro la maternità» -, dimenticando il 40% di giovani disoccupati, quelli che il lavoro non lo cercano più, quelli che sono costretti ad emigrare in un altro Paese e quelli che scelgono di emigrare dalla vita. Come Michele, il precario trentenne di Udine che si è suicidato perché gli è «passata la voglia», come ha scritto nella lettera in cui fra l’altro chiama esplicitamente in causa  Giuliano Poletti, che di Renzi è stato (e continua ad essere) ministro del Lavoro. Non risulta che Renzi abbia telefonato ai genitori di Michele, per scusarsi del fallimento delle politiche occupazionali del suo governo.

E allora il sospetto è che c’è solo un titolo in base al quale può avere telefonato a Samuele Schiavon: a titolo di sciacallo.