giovedì 11 gennaio 2018

Dress code

Dunque ora è ufficiale: a una trentina d’anni dalla prima discesa in campo di Silvio Berlusconi e grazie a innumerevoli tentativi di imitazione, che manco la Settimana enigmistica, concetti come etica, diritti o rispetto sono definitivamente derubricati a storie da c’era una volta, troppo lontane nel tempo e nell’immaginazione per essere ancora credibili. E ovviamente senza nemmeno una morale.
Fate caso alle notizie delle ultime settimane: ha cominciato il magistrato «gran porco» (citazione da Mentana), il consigliere di Stato Francesco Bellomo – ora giustamente mandato via – che costringeva le sue allieve a presentarsi ai corsi in minigonna e tacchi a spillo e con qualcuna si è spinto anche oltre. Qualche giorno dopo sul sito di Garanzia giovani, quindi del governo, è apparso un annuncio di lavoro in cui si cercava un’impiegata di “bella presenza”, per di più per un lavoro precario. Oggi si scopre che sul sito dell’alternanza scuola lavoro (legittimato dai loghi dei ministeri interessati: Istruzione, Lavoro e Sviluppo economico) i commercianti che mettono gli annunci ritengono – pure loro – requisito essenziale la bella presenza. Insomma, un’invenzione del governo cosiddetto di centrosinistra per permettere ai padroni di sfruttare i ragazzi, in base alla quale se sei bello ti tirano le pietre – uguale che se fossi brutto -, negandoti i diritti, pagandoti due lire e mettendoti a rischio infortuni come è già successo, ma siccome ti hanno detto che sei bello tu sei contento e ringrazi.
E ancora oggi, ultima solo in ordine di tempo, si scopre che la madre superiora Debora Serracchiani Della Casa, presidente del Friuli Venezia Giulia, ha fatto stampare un libretto di ben settantacinque pagine per insegnare le buone maniere ai sindaci della sua regione: insomma, un nuovo Galateo in cui a sindaci e sindache si spiega come si sta a tavola, come si mangia il risotto, che non si fanno rumoracci con la minestra, che non si parla mentre si mangia e altri consigli fondamentali per amministrare un comune. Fra i quali non mancano anche le indicazioni sull’abbigliamento: pochette e cravatta degli uomini non dovranno mai avere la stessa fantasia (e così, grazie a Donna Letizia Serracchiani, scopriamo che si usa ancora – o di nuovo? – il triste abbinamento pochette/cravatta da patetico play-boy berlusconiano) e, quanto alle sindache, le loro gonne non dovranno mai essere sopra il ginocchio. Lo chiamano dress code; in italiano vuol dire farsi i cazzi degli altri.
Insomma – che a imporla sia un magistrato molestatore e bavoso o una presidente di regione che aspira a prendere i voti (nel senso del convento) – mi sembra di capire che la forma è più importante del contenuto e l’apparire più importante dell’essere e soprattutto che chi esercita il potere crede di poterne fare strapotere e abuso entrando nelle vite e nelle mutande degli altri.

Sarebbe interessante sapere se Serracchiani, per elaborare il testo della pubblicazione di altissimo contenuto filosofico, abbia dato incarico a qualche consulente e quanti soldi dei friulani ha speso per fare stampare questa minchiata. Dopo di che sarebbe il caso che qualcuno le ricordasse che le cose “sconvenienti” e immorali di un pubblico amministratore sono altre: assumere i parenti, fare clientelismo, prendere le mazzette, eseguire gli ordini della mafia. Magari potrebbe fare stampare un libretto con queste semplici indicazioni. Ma forse farebbe prima, da componente della segreteria nazionale del Pd, a stilare un elenco di tutti i sindaci e gli assessori indagati e poi a mandare a casa tre quarti di partito a calci in culo. Che non sarà una cosa da vera signora, signora mia, ma è più efficace.

lunedì 8 gennaio 2018

Incentivi alla sterilità

Mettiamo che dopo il parto abbiano ripreso un’ottima forma, mettiamo che siano tutte magre, mettiamo che siano in fila indiana come se stessero aspettando di pagare un bollettino alla posta per iscriversi a un concorso per un posto di lavoro, mettiamo che dritte in piedi e senza respirare occupino in profondità uno spazio di 40 centimetri, vuol dire un chilometro e duecento metri di fila d’estate e con i vestiti leggeri. O, se la vogliamo fare più facile, prendiamo il comune di Enna, un po’ più di ventisettemila e trecento abitanti, un tasso di disoccupazione insostenibile già così, e disoccupiamoli tutti i suoi abitanti, donne e uomini, vecchi e giovani. Ecco, riuscite a immaginare? Un’intera città, capoluogo di provincia, abitata da morti viventi.
Ora tornate a pensare alle donne dopo il parto e finché il bimbo o la bimba non è ancora in età da asilo, perché è di loro che si sta parlando: 24.618, un po’ meno degli abitanti di Enna, 24.168 donne che hanno dovuto lasciare il lavoro malgrado o forse proprio a causa delle mancette da 80 euro al mese (poi peraltro dimezzate) con le quali i vari governi e quelli renziani ancor di più hanno tentato di gettare fumo negli occhi parlando addirittura di incentivi alla natalità. Incentivi alla natalità? Le donne che hanno dovuto lasciare il lavoro lo hanno fatto perché non ci sono asili nido a sufficienza o perché non si possono permettere – e certo non possono farlo con 80 o 40 euro al mese - di pagare una persona che si occupi dei loro bimbi quando loro sono al lavoro o perché non hanno nonni a portata di passeggino, o per tutte queste cose insieme.
E poi forse anche per un’altra ragione che andrebbe indagata prima di dire che fra le cose buone (?!) del governo Renzi c’è pure l’abolizione della lettera di dimissioni in bianco: perché siamo sicuri che i padroni il modo per aggirare la legge non lo abbiano trovato come sempre? E siamo sicuri che una parte di queste donne non sia stata costretta a dare dimissioni “volontarie” a causa del mobbing che solitamente viene riservato alle donne che fanno figli? Del resto, in Italia succede anche a quei pochi uomini che decidono di occuparsi dei figli: è di oggi la notizia di un pubblicitario che, tornato al lavoro dopo un congedo di paternità, ha trovato la sua scrivania occupata da un altro, è stato demansionato, poi inserito in un elenco da dipendenti da mettere in cassa integrazione e infine costretto ad andarsene.
Allora forse – in mancanza di quelle misure serie che consentirebbero alle donne e agli uomini di vivere serenamente la maternità e la paternità – dovrebbero smetterla di prenderci per il culo sulle gioie della maternità e cominciare a classificare i ridicoli 80 o 40 euro come incentivi alla sterilità. Magari vincolandoli all’acquisto di preservativi in confezioni formato famiglia.