venerdì 29 settembre 2017

Chirurgo immobiliare

È ufficiale: siete scemi.
Sì, va bene, avete ragione: non si fa così, non si insulta la gente. Dovrei fare un’analisi socio-politica e scrivere cose politicamente corrette, tipo che è tutta colpa del capitalismo che ha creato in noi una gran quantità di bisogni indotti e della pubblicità sua complice che ci fa convincere di non meritare di esistere se non abbiamo il macchinone o se abbiamo la cellulite, tipo che le varie riforme scolastiche hanno creato greggi di analfabeti funzionali, tipo che la televisione ha abdicato alla sua funzione educativa e ormai da molti anni privilegia l’aspetto estetico a discapito di quello etico, cose peraltro di cui sono convinta veramente, e però l’unica frase che mi viene da pronunciare è che siete completamente scemi.
Con chi ce l’ho? Con i (a quanto pare numerosi) “pazienti” che fra Piemonte e Lombardia si sono fatti mettere le mani addosso da un sedicente chirurgo estetico non iscritto all’ordine dei medici e nemmeno laureato. Ora, io capisco che il signore in questione prima di “riconvertirsi” facesse l’agente immobiliare e dunque dovesse avere una certa capacità di vendere e di vendersi, ma quando il truffatore – prima di sottoporvi a overdose di botulino e acido ialuronico - invece che su un lettino medico vi faceva sdraiare su una scrivania del suo appartamento, non vi è venuto nessun sospetto? Quando sulla porta non avete trovato nessuna targhetta con nome cognome e specializzazione non vi è venuto il dubbio che potesse essere un impostore? Quando avete notato che non c’erano macchinari per la sterilizzazione non vi è venuta voglia di scappare correndo più veloci della luce? Ve ne siete accorti solo quando vi siete trovati una melanzana al posto della faccia?

Siete scemi, niente da fare. Ma siete anche complici. Perché nel momento in cui si è prospettata la possibilità di pagare meno, pagare in nero, se anche lui fosse avuto laurea in medicina e specializzazioni nelle più prestigiose università mondiali, se fosse stato il più bravo in assoluto, l’unica cosa da dire sarebbe stata «no, grazie, mi faccio operare da uno che paga le tasse». E invece vi è piaciuto così. Avete preferito la roulette russa, avete voluto pensare che il proiettile non sarebbe capitato a voi. Anzi, vi ha procurato un certo orgasmo l’idea di fottere lo Stato, magari avete anche sghignazzato all’idea di avere risparmiato un botto di soldi facendo i furbi e avete salutato il dottore con una strizzatina d’occhio. Ora apritelo bene quell’occhio, e pure l’altro, guardatevi allo specchio,  guardate il vostro volto sfigurato dalla furbizia prima che dal botulino, e sputatevi in faccia. 

mercoledì 27 settembre 2017

Morti nere

Ieri ne sono morti altri due. Per trovare notizie che li riguardassero ho dovuto scorrere fino in fondo la pagina del sito di un grande quotidiano nazionale. Prima c’erano le elezioni in Germania, lo scandalo dei baroni universitari, gli arresti per ‘ndrangheta in Lombardia; poi i vaccini, lo ius soli; in mezzo una serie di menate: principi che camminano mano nella mano, Noemi Letizia che si separa dal marito dopo tre mesi di matrimonio, i baci Perugina con i bigliettini in dialetto, una miss che cade in piscina. Alla fine, molto alla fine, li ho trovati: cronaca locale, poche righe. Chi se ne frega.
Tiziano aveva 41 anni: è precipitato a Foggia dentro un silos di grano dopo essere stato colpito dalle esalazioni ed è morto soffocato. Di lui le cronache non ci dicono nient’altro.
Mario di anni ne aveva 38 e aveva pure una moglie e due figli piccoli. È morto poco distante, a Stornara, schiacciato da una fresatrice mentre lavorava nei campi.
Curioso: il frumento e la terra, cioè i simboli della vita, che ti danno la morte. Ma il frumento e la terra non c’entrano niente con queste che chiamano «morti bianche» e invece sono nere come l’omicidio: omicidio sul lavoro in un Paese dove il lavoro non c’è e quando arriva te lo prendi comunque sia, senza andare troppo per il sottile, senza rivendicare tutele e misure di sicurezza. E quando muori, avanti il prossimo. Così possono dirci che c’è un occupato in più.
Tiziano e Mario sono solo gli ultimi di una lunga serie. Soltanto a settembre da nord a sud ne ho contati almeno una dozzina. Molti forse non ce li raccontano. E non ci raccontano nemmeno gli infortuni sul lavoro perché spesso non vengono nemmeno denunciati per non rischiare il licenziamento. Se vai a cercare i dati, scopri che nei primi sette mesi 2017 le morti sul lavoro sono aumentate dell’1,3% e gli incidenti del 5,2%. Settembre ancora non c’era in questi numeri. Fra qualche tempo scopriremo che il mese della ripresa del lavoro ha fatto riprendere anche morti e infortuni.
Ci saranno gli articoloni nel momento dei dati ufficiali e delle dichiarazioni ministeriali, ma gli altri giorni soltanto qualche “breve”, poche righe, un operaio qua, un bracciante là, un nero forse non avrà nemmeno quello; vengono a rubarci il lavoro, non vorranno rubarci anche la morte?
Ma poi bisogna fare spazio alle notizie che ci fanno fare tanti clic e fanno guadagnare gli editori: le stesse che un secolo fa venivano affidate agli strilloni, le stesse che secondo alcuni “maestri” di giornalismo meritano un posto in prima fila. Già, quelli che si credevano padroni, organici al sistema, e invece erano le colf dei padroni, ci spiegavano che nella gerarchia delle notizie bisognava tenere presente la regola delle tre S: sesso, sangue e soldi. E qui oggettivamente di sesso, dopo una giornata che ti ammazzi di lavoro, non vuoi sentirne parlare, nemmeno di quello “canonico”, che non fa notizia; soldi non se ne vedono, solo paghe che somigliano a elemosine, la grande finanza nemmeno se ne accorge, i ministri economici se ne sbattono; e, quanto al sangue, sì, c’è: ma non è quello che interessa agli sciacalli, ai cultori della curiosità malata, a quelli che cercano tutti i particolari in cronaca e più sono raccapriccianti e più godono.
Un morto sul lavoro non ha appeal, non serve ai governi per raccontarci palle sull’occupazione, non attira gli inserzionisti pubblicitari. Un morto sul lavoro non esiste. Ma forse, al contrario, sarebbe ora che qualche direttore di giornale e qualche giornalista decidessero un atto di insubordinazione, stravolgendo le gerarchie classiche, capovolgendo l’ordine delle notizie. Perché il prodotto cambia se invece che il mostro in prima pagina ci sbatti il morto (sul lavoro).

Così forse si capisce quali sono le priorità, senza dover arrivare in fondo. Senza toccare il fondo.

giovedì 21 settembre 2017

Il partito del fiele

Ma non era meglio quando si menavano fascisti e comunisti? Almeno era nell’ordine naturale delle cose.
Non fraintendetemi: non sto auspicando il ritorno agli scontri e alle teste spaccate. Sto solo dicendo che era più comprensibile. Che c’erano delle passioni, c’era un contesto sociale fortemente politicizzato e la Resistenza era ancora un evento storico vicino a significativo per la maggioranza degli italiani.
Ora no, non lo capisco: non lo capisco perché la gente debba lanciarsi reciprocamente addosso vagonate di odio e di rancore senza una ragione. Perché, ammettiamolo, se la carbonara si fa con la pancetta o con il guanciale non è che sia cosa da determinare i destini del mondo. Se c’è chi preferisce gli aghi da calza all’uncinetto – Kim permettendo – non dovrebbe scoppiare la terza guerra mondiale. Se a una coppia di genitori piace comprare i vestiti uguali alla propria coppia di gemelli e un’altra coppia di genitori invece preferisce distinguerli nell’abbigliamento non è che arriva il meteorite del Buondì e ci carbonizza tutti.
Ma allora perché vi incazzate così? E, soprattutto, perché prendete di mira l’obiettivo sbagliato? Perché siete diventati tutti grillini inside?
Faccio un esempio: qualche giorno fa c’era una lettera a un giornale nella quale una signora lamentava la difficoltà di trascrivere nei registri italiani il doppio cognome, materno e paterno, del figlio nato in America. Lettera pacata, sul cui contenuto puoi essere o non essere d’accordo, ma che non insultava nessuno. Eppure nei commenti gli insultatori seriali si sono scatenati: «problemi inutili; Eh, quando non si hanno problemi veri; si perde tempo a scrivere lettere inutili, gridando contro l’ingiustizia del mondo su questioni di una futilità sconcertante». E così via. Naturalmente, in pieno stile grillista (o salvinista, fate voi), non poteva mancare l’attacco ai giornalisti: «E di chi queste lettere inutili le pubblica, vogliamo parlarne?».
Questo su un giornale, dove peraltro i commenti dovrebbero essere prima esaminati da un moderatore che però a quanto pare preferisce il ruolo di aizzatore.
Per non parlare dei social, dove comanda il partito del fiele e la battaglia politica si fa più aspra non tanto fra fascisti e comunisti, ma fra comunisti e comunisti, gente di sinistra e gente di sinistra (che non vuol dire Pd, è bene ricordarlo), a cui basta un like non gradito a un commento non gradito per iscriverti d’ufficio al partito dei rinnegati, per la felicità del partito dei padroni (che vuol dire Pd, è bene ricordarlo) che gode come un riccio a vederci litigare.
Di questo passo, se io scrivessi in un post che ho le lentiggini qualche picchiatore virtuale obietterebbe, bava alla bocca, che non sono lentiggini ma cacche di mosche, un altro che non è vero che ho le lentiggini e sono una truffatrice perché me le disegno tutte le mattine con la matita, un terzo che sono un’ignorante perché non si chiamano lentiggini ma efelidi, un quarto – se io le avessi chiamate efelidi – che sono una stronza perché uso una parola poco comune per tirarmela e dunque non sono abbastanza comunista.

Di questo passo non si va da nessuna parte. O forse si va verso l’estinzione. E forse non sarebbe male.