venerdì 30 marzo 2012

Calearo l'usurato

Vi ricordate di Massimo Calearo? E' quel padrone, ex presidente dell'Associazione industriali del Veneto ed ex presidente di Federmeccanica, soprannominato "il falco di Confindustria" per l'odio dimostrato in tutti i modi nei confronti dei lavoratori e forse proprio per questo - per dimostrare, se ce ne fosse stato bisogno, che il Pd non era un partito di sinistra - candidato da Walter Veltroni nel 2008 come capolista di quel partito alle elezioni per la Camera dei deputati nella circoscrizione "Veneto 1". Candidato ed eletto.
Ebbene Calearo - che appena qualche mese dopo lasciò il Pd affermando di non essere mai stato di sinistra (ma va?), passato all'Api di Rutelli e poi con i Responsabili di Domenico Scilipoti, insieme ai quali nel dicembre 2010 votò contro la sfiducia al governo Berlusconi e quindi premiato con l'incarico di consigliere personale del Presidente del Consiglio per il Commercio estero - oggi ha confessato.
Cos'ha confessato? Ha confessato di essere un ladro e un evasore fiscale. Lo ha fatto durante la trasmissione la Zanzara, su Radio 24, affermando di essere andato alla Camera dall'inizio dell'anno soltanto tre volte - perché "è usurante andare alla Camera solo a premere un pulsante" -, che non ha intenzione di andarci più fino alla fine della legislatura e meno che mai di avere intenzione di dimettersi perché con quei soldi che ruba a tutti noi ci paga il mutuo della casa: dodicimila euro di mutuo al mese. E in più ha aggiunto che la sua Porsche ha la targa slovacca perché in Slovacchia, dove ha un'impresa con 250 dipendenti, "si possono scaricare tutte le spese per la vettura".
Lo vada a dire agli operai, a quelli che stanno alla catena di montaggio e a 50 anni sono vecchi (anzi, sono "rotti", come ha detto Maurizio Landini) come se ne avessero 80, che il suo è un lavoro usurante. Ma glielo vada a dire di persona, se ne ha il coraggio, e vedrà come lo usurano a calci in culo. E lo vada a dire agli operai, ai precari, agli insegnanti che non possono pagare più un mutuo da 500 euro al mese, che ha una casa come un grande albergo, il cui mutuo mensile equivale a un anno di stipendio dei lavoratori (ormai) più fortunati del nostro Paese, e che se la paga con i soldi che vengono dalle loro tasche, dalle tasche di quelli che pagano le tasse. E poi gli vada a dire che la sua macchina da parvenu che costa quanto un appartamento se l'è comprata pagando ai lavoratori (gli italiani e, presumiamo, ancor di più gli slovacchi) stipendi da fame.
Poi però c'è anche qualcun altro che dovrebbe dire qualcosa. Per esempio il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che un qualche potere di redarguirlo dovrebbe averlo. E per esempio il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, secondo il quale il governo Monti ha reso il fisco più forte. E per esempio il governo Monti, che ancora non ha fatto nulla di concreto contro i grandi evasori e i grandi patrimoni, troppo impegnato com'è ad ammazzare il mondo del lavoro.

mercoledì 28 marzo 2012

Monti il "coatto"

Avevamo detto che erano di destra e soltanto meno cafoni di quello che li aveva preceduti? Ebbene, avevamo sbagliato, ammettiamolo. Sono di destra - anzi, decisamente fascisti - e in più maleducati, arroganti e volgari nella loro presunzione. Il fatto che non dicano parolacce - ipocriti come tutti quelli che sono andati a scuola dalle suore o dai preti - non li rende più educati o più gentili: la Fornero con la sua "paccata" di soldi e le sue caramelle, sguaiata come una "coatta" di un film di Verdone; il robot in loden Mario Monti, con la sua aria saccente e sprezzante, che a un certo punto dà di matto come il robot-colf di "Io e Caterina" e comincia a spaccare tutto per costringere il suo datore di lavoro ad amarla.
Minaccia, il professor Monti, minaccia di tornare da mammà se gli italiani non sono pronti, talmente è convinto che non possiamo fare a meno di lui; se va a Seul a fare il venditore di rolex taroccati e, come un primo della classe spaccone e "sborone" che somiglia tanto al G (quello stronzo e figlio di papà) di Giorgio Gaber, comunica che il suo governo "gode di un forte consenso nei sondaggi di opinione" e aggiunge: "ma i partiti no". Cicca cicca cicca. E sembra persino di vedergli fare il gesto dell'ombrello.
Ora, a parte che il consenso di cui godrebbe il suo governo è - appunto - quello dei sondaggi di opinione, cioè è taroccato come le patacche che sta cercando di vendere in estremo Oriente, inviterei il prof. on. dott. cav. e granduff. Mario Monti a verificare il gradimento degli italiani, cioè (mi rendo conto che per un robot fatto di ferraglia, lucine e microchip sia difficile da comprendere) le persone in carne, ossa, cervello, cuore, figli da mantenere, anziani genitori da accudire. Beh, gli comunico che se ancora c'era qualcuno che si beveva le favole della tv, appena ha visto la busta paga si è svegliato. E che non solo gli italiani non credono al potere taumaturgico del suo governo abusivo, ma sanno anche chi è il principale responsabile della sua permanenza a Palazzo Chigi che ora cerca l'applauso annunciando che allo scadere del settennato, nel maggio 2013, quando cioè sarà prossimo a compiere 88 anni, non si ricandiderà per un altro mandato (Ma dico, ma ci piglia per il culo? Ottantotto più sette fa novantacinque: non gli bastano i danni che ha già fatto, prima parando il culo alle peggiori leggi di Berlusconi e poi mettendo al suo posto un automa incaricato di fare fuori la classe lavoratrice?).
Sì, veda, prof. on. dott. cav. e granduff., è vero che i partiti non godono di un forte consenso, ma è perché (oltre ai danni che hanno fatto prima) sono gli stessi partiti che stanno consentendo questo schifo di inciucio elevato al quadrato. E sono gli stessi partiti verso i quali lei, prof. on. dott. cav. e granduff., si comporta come quello che lecca il culo alla maestra e per questo viene promosso a scrivere i buoni e i cattivi sulla lavagna. Ma sono anche quelli che hanno un tale potere ricattatorio nei suoi confronti da costringerla ad abbandonare un importante vertice internazionale (e proprio nel momento in cui stava parlando uno dei suoi più potenti datori di lavoro) per rispondere al telefono. Berlusconi lasciava come una scema la Merkel ad aspettarlo perché era impegnato al telefono verosimilmente con una delle sue troie; Monti lascia Obama come una cucuzza a fare elogi a una sedia vuota perché impegnato al telefono con uno dei suoi cicchitti. No, nemmeno in questo siete molto diversi. Maleducati, arroganti e cafoni.

martedì 27 marzo 2012

La sicurezza a scuola è un diritto? Non a Catania

Ci fosse stata una guerra con relativi bombardamenti avrebbe fatto meno danni. Mancano morti e feriti, ma non è detto che non accada. La sicurezza a scuola è un diritto, ma evidentemente non nelle scuole di Catania. La legge 626 in materia di sicurezza equipara gli studenti ai lavoratori e proprio come i lavoratori, in una città e in una provincia senza regole, i ragazzi escono da casa la mattina per andare a fare il loro "dovere" e non è detto che rientrino o che rientrino tutti interi.
Qualche anno fa ci avevano pensato Le Iene a sputtanarci: avevano ripreso la scala di sicurezza di un istituto tecnico del capoluogo e s'era visto che la scala cominciava e non finiva. Cioè, finiva contro una porta murata. Solo un caso? No, a giudicare dall'esito del questionario on-line predisposto dal Movimento studentesco catanese e dal quale emerge come ben l'80% degli istituti scolastici catanesi sia una specie di trappola per topi per i nostri ragazzi e per i loro insegnanti, per i bidelli, il personale di segreteria, eccetera. Strutture cadenti, niente certificati di agibilità, uscite di sicurezza non a norma, in alcuni casi disabili emarginati perché non sono state abbattute le barriere architettoniche, e poi bagni inutilizzabili, palestre impraticabili, pezzi di intonaco che si staccano dopo un po' di pioggia. Questo perché la provincia sembra non avere molto interesse ad investire nell'edilizia scolastica. E in più, dovesse capitare di essere costretti a scappare, c'è il fatto che nelle aule gli alunni sono a strati non solo per via dei tagli e del conseguente sovraffollamento della pessima Gelmini (ma le dovrà capitare un giorno di restare imbottigliata in un tunnel, magari di neutrini!) ma anche perché a quanto sembra ci sono presidi - Che bel risultato i presidi manager! Che bella cosa la "produttività" a scuola! - che pur di gonfiare il loro portafogli non esitano a gonfiare come otri le classi. E questo nella gran parte dei casi senza avere messo in atto - come sarebbe loro dovere - tutte quelle misure necessarie ad evitare che andare a scuola sia come andare in guerra e quindi di dover rispondere in caso di incidenti.
Venerdì mattina a Catania gli studenti di tutte le scuole superiori della provincia scenderanno in strada a rivendicare il loro diritto alla sicurezza e quel corteo sarà una specie di colonna sonora del consiglio provinciale che si svolgerà nelle stesse ore sullo stesso tema, su richiesta dei consiglieri del gruppo Comunisti-IdV. Ma dovrebbe essere un'intera città e un'intera provincia a manifestare, perché la cosa riguarda tutti: gli studenti, i genitori degli studenti, i mariti delle professoresse, le mogli dei professori, i bidelli, i mariti delle bidelle, le mogli dei bidelli, i segretari, i nonni e persino i figli di papà deficienti che i diplomi se li comprano nelle scuole private, ma ce l'avranno pure qualche amico che va in una scuola pubblica.

lunedì 26 marzo 2012

Ha vinto la mafia

I lavoratori nemmeno li hanno invitati; e neppure i loro rappresentanti sindacali. Come se in gioco non ci fosse la loro vita e quella delle loro famiglie. Poi una telefonata secca - come quella che qualche giorno fa, mentre erano al lavoro, gli annunciava che stavano per partire le lettere di licenziamento - per dire che la decisione era presa e non si tornava indietro.
Stamattina a Reggio Calabria, nella sede dell'Agenzia nazionale dei Beni confiscati, c'era la riunione per decidere del destino della Riela group, l'azienda di trasporti di Belpasso della famiglia legata al clan Santapaola e gestita dallo Stato che oggi si trova a dover fare fronte a un debito di sette milioni di euro nei confronti dei vecchi proprietari, mai rassegnati alla perdita del loro "bene" mafioso che negli anni hanno fatto di tutto per riprenderselo, dalle intimidazioni fino alla costituzione di un Consorzio che oggi è, appunto, creditore del Demanio.
Sembra che non abbiano perso nemmeno troppo tempo a discuterne: decisione presa e basta. La Riela chiude, i lavoratori vanno a casa.
Con la complice indifferenza e oggi anche con il silenzio agghiacciante di chi avrebbe dovuto fare di tutto per segnare un punto a favore dello Stato e contro la mafia: solite finte riunioni istituzionali, soliti impegni sulla carta, solite solidarietà pelose. Mentre i lavoratori ci credevano in quello che non era "soltanto" un posto di lavoro e il futuro per se stessi e per i loro figli, ma soprattutto un simbolo in questa terra a cui manca il respiro. Ci credevano talmente tanto che stringevano i denti persino davanti agli stipendi che da mesi non arrivavano. Loro ci andavano lo stesso a lavorare, a loro spese, come se quell'attività gli appartenesse e se il loro fosse un investimento.
Non avevano orari, quei lavoratori, non avevano sabati e domeniche: arrivavi lì la mattina presto e chissà quando ne uscivi, alle nove, alle dieci di sera; non facevi in tempo a sederti a tavola - per una cena già posticipata di due ore - che squillava il telefono: c'era un camion che aveva problemi, c'era della merce da caricare o da scaricare urgentemente. E uscivi di nuovo: nemmeno il tempo di parlare con tua moglie, nemmeno il tempo di chiedere a tua figlia a che punto fosse con la preparazione del nuovo esame universitario. Che chissà se potrà ancora esserci, perché le tasse per l'Università sono insostenibili per chi non ha più uno stipendio nemmeno per mangiare.
Oggi la mafia ha vinto e a farla vincere ha contribuito lo Stato: quello che chissà perché ci ostiniamo ancora a scrivere con la maiuscola, questa Repubblica fondata sulla disoccupazione in cui gli uomini sono merci, esattamente come una cassetta di arance da trasportare dalla Sicilia in Nord Italia che, se arrivano marce, si prendono e si buttano via.

venerdì 23 marzo 2012

I narcotrafficanti ci faranno causa

E' proprio il mondo all'incontrario: per una volta che un sindaco in Italia si comporta come un buon padre di famiglia, oltre che come un bravo educatore - a fronte di uno Stato biscazziere, che reclamizza il gioco d'azzardo e si monda la coscienza raccomandando di giocare "senza esagerare" - si becca una multa.
E' successo a Claudio Zanotti, del Pd, ex primo cittadino di Verbania, eletto nel 2005 con il sostegno di una coalizione di centrosinistra comecristocomanda (Ds, Margherita, Prc, Pdci, Verdi, IdV e Sdi), che qualche anno fa - allarmato dal bisogno compulsivo dei suoi concittadini di tentare di fare fronte alla crisi economica sputtanandosi i pochi soldi residui nella speranza di guadagnarne altri con una botta di culo - aveva emesso un'ordinanza per limitare l'uso delle slot-machine: funzionamento autorizzato soltanto dalle tre del pomeriggio alle dieci di sera. Da insegnante, Zanotti ha pensato principalmente ai ragazzini che facevano sega a scuola per andare a giocare e rischiavano seriamente di diventare schiavi delle macchinette mangiasoldi.
Ebbene, ai vampiri che succhiavano il sangue di studenti e anziani (la società Euromatic e il gestore di un bar) la cosa non è andata giù, tanto da decidere di presentare un ricorso al Tar di Torino. Che oggi ha dato ragione ai ricorrenti facendosi forte di una legge del fascismo: il codice Rocco, secondo il quale le bische sarebbero soltanto un problema di ordine pubblico. Risultato: il comune (non il sindaco in persona, che nel frattempo è cambiato) dovrà revocare l'ordinanza e pagare alla società danneggiata un milione e trecentomila euro.
Adesso aspettiamo soltanto che i narcotrafficanti facciano causa a sindaci e insegnanti che promuovono campagne di sensibilizzazione contro l'uso delle droghe pesanti.

Aiello, piselli e cannoli

E così Michele Aiello ha preso due piccioni con una fava: ha fatto fesso lo Stato e adesso potrà godersi a casa una pensione doratissima.
Il manager della sanità arrestato per mafia nella vicenda delle talpe alla Dda di Palermo e condannato a 15 anni di reclusione, ritenuto uomo del boss Bernardo Provenzano e amico di Totò Cuffaro - con il quale decideva nel retrobottega di un negozio le tariffe (dieci volte in più che in qualsiasi altra regione italiana) della sua clinica Santa Teresa di Bagheria convenzionata con la Regione -, è stato scarcerato dal carcere di Sulmona e messo agli arresti domiciliari perché soffre di favismo, la malattia genetica ereditaria a causa della quale è praticamente impossibile mangiare fave e piselli.
Che, invece, sembra siano l'ingrediente base dei menu del carcere di Sulmona, nel segno dell'immaginazione al potere: pasta o riso con piselli, seppie e piselli, minestrone e fave. In pratica, o ti mangi questa minestra...sicché i giudici del Tribunale di sorveglianza dell'Aquila hanno stabilito che lui là, in quel penitenziario, non ci poteva stare: "Il vitto carcerario non ha consentito un'alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti". Così hanno detto.
Non hanno chiarito però perché, per esempio, non si sono rivolti a una ditta specializzata in forniture di pasti perché gli preparassero delle pietanze non incompatibili con la sua malattia; oppure se hanno fatto una ricerca su tutto il territorio nazionale per vedere se trovavano un penitenziario (ci sarà almeno uno!) in cui non si cucinassero fave e piselli in tutte le salse; e infine se tanta attenzione e relativa scarcerazione viene riservata a detenuti diabetici o addirittura celiaci, che rischiano lo chock anafilattico persino se inavvertitamente si usa un cucchiaio di legno servito a preparare pietanze.
Sono quasi sicura invece che lui - rientrando nella sua villa di Bagheria costruita lucrando sulla disgrazia dei malati di tumore - avrà festeggiato con una guantiera gigante di cannoli.

mercoledì 21 marzo 2012

Riela group, come una strage di mafia

Gli avevano detto che la loro vertenza si sarebbe spostata a Roma, al Ministero; gli avevano promesso un "tavolo tecnico" per salvare l'azienda dal fallimento; oggi invece li hanno ammazzati, operai e impiegati. E non c'è stato nemmeno bisogno della lupara o dell'esplosivo per mettere a segno quella che potrebbe benissimo essere classificata come una strage di mafia.
E' arrivata soltanto in via ufficiosa al momento la notizia - forse perché non avevano la faccia di dirglielo ufficialmente -, ma è sicura. L'hanno saputo oggi pomeriggio, mentre erano al lavoro: la Riela Group chiude e con essa le speranze di 23 lavoratori - fra tempo indeterminato e determinato - per i quali sarà avviata la procedura di mobilità.
Doveva essere un esempio di legalità, di vittoria dello Stato sulla mafia, la Riela group, e invece è diventata l'ennesimo esempio di giochi sulla pelle dei lavoratori e delle loro famiglie.
L'azienda di trasporti di Belpasso, di proprietà dei fratelli Riela, legati al clan Santapaola, era stata confiscata nel 1992 e qualche anno dopo affidata per la gestione all'Agenzia del Demanio. Nell'agosto del 2007 avevano cominciato ad assumere i primi dipendenti, alcuni dei quali (cinquantenni) "assorbiti" da aziende in crisi che avevano chiuso negli anni, e i camion avevano ripreso ad andare su e giù per l'Italia, questa volta trasportando merci che erano un segnale ben preciso, come i prodotti di Libera terra.
Ma i Riela non si erano mai rassegnati all'idea di aver perduto ciò che era "cosa loro" e avevano fatto di tutto per riappropriarsene arrivando a costituire un consorzio, il Se. Tra. Service, verso il quale dirottare dipendenti, commesse e crediti.
Oggi il credito vantato dal Consorzio nei confronti dell'azienda gestita dallo Stato è spaventoso: sette milioni di euro. E qualcuno dovrà spiegare chi e perché nessuno ha impedito che lievitasse fino a rendere inarrestabile il fallimento.

Moderare i toni

Leggo le dichiarazioni di esponenti politici e sindacali all'agguato in cui è rimasto gravemente ferito questa mattina a Torino il capogruppo dell'Udc in consiglio comunale e candidato sindaco del Terzo polo alle amministrative del 2011, Adriano Musy, e non so se essere stupita, esterrefatta o terrorizzata.
Intanto per il tempismo: Musy non aveva fatto in tempo a cadere a terra e già arrivava il fiume di parole, tutte uguali, preconfezionate: prima di tutti i vertici nazionali e locali di Udc e Fli, poi quelli di tutti gli altri, senza sosta. E poi, soprattutto, perché hai la sensazione che qualcuno quasi ci sperasse.
Tutte le notizie riguardanti le indagini subito aperte sul ferimento, infatti, parlano di due piste: quella professionale (Musy fa l'avvocato), forse privilegiata, e quella genericamente personale che vuol dire tutto e niente.
Ma allora perché (a parte la coincidenza temporale con la strage terroristica di cui è appena rimasto vittima il mondo del lavoro), immediatamente, in coro tutti hanno fatto intravvedere lo spettro del terrorismo?
Sarà sufficiente riportare alcune di queste dichiarazioni.
Il primo, al quale comunque si può forse concedere l'attenuante del dramma personale, è stato il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi Calabresi, assassinato negli anni di piombo: "...un professore colpito sotto casa è il film peggiore del Paese e fa grande angoscia".
Poi è stata una slavina. Il segretario regionale dell'Udc, Alberto Goffi, ha parlato di "tensioni sociali" in aumento; il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti (Pd), ha retoricheggiato con "uno sforzo di unità per combattere e isolare ogni forma di violenza"; il deputato piemontese del Pdl, Enrico Pianetta, ha sancito "il pericolo di un ritorno agli anni bui della violenza terroristica e criminale" senza dimenticare, pancia in dentro e petto in fuori, di precisare che "siamo determinati a salvaguardare l'assetto democratico della città di Torino e di questo paese"; l'immancabile sindacalista di governo, Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ha messo in guardia contro "il clima che può diventare arroventato" e lanciato un appello a "moderare i toni"...
Mi fermo qui, più o meno a mezzogiorno, e riprendo l'ultima che mi capita sott'occhio, quella di Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc, secondo il quale "questi gesti sono comunque la spia di un deterioramento politico e sociale che alimenta la vile follia di chi vuole approfittare delle difficoltà italiane per seminare violenza.
Dal momento dell'agguato al primo pomeriggio le notizie sull'argomento sono state circa settecento e la proporzione fra chi esprimeva soltanto solidarietà e auguri di pronta guarigione e chi invece soffiava sul fuoco è stata, a occhio, di uno a quattro.
Nel frattempo le agenzie ogni due per tre ribadivano che "a quanto si apprende da fonti investigative, quella del terrorismo al momento non sarebbe la pista privilegiata", ma quelli - volutamente sordi - non demordevano.
Spero con tutto il cuore che Musy non riporti conseguenze serie da questa storia. Per l'umana solidarietà che si deve a (quasi) tutti, ma soprattutto perché invece a qualcuno forse avrebbe fatto comodo una vittima - come D'Antona o Biagi e tutti gli altri prima di loro -, da usare come uno scudo acuminato e avvelenato contro i lavoratori.
E, quanto al "moderare i toni" auspicato dal sindacalista giallo, se c'è qualcuno che usa toni aggressivi e arroganti - tipici di chi vuol avere ragione a tutti i costi - è questo governo che quotidianamente insulta i lavoratori e i pochi rimasti a difenderli e sembra davvero voler fare di tutto per inasprire gli animi e trovare un modo per ridurre ulteriormente diritti e libertà.

La Melissomachia e il governo abusivo

Tutto avrei potuto pensare fuorché le api potessero intervenire in una "guerra" ed essere usate come arma impropria.
Certo c'era il precedente illustre della Batracomiomachia, c'era stato il cavallo - per quanto di legno - usato dai greci per fare fessi i troiani, c'erano stati nell'antichità gli elefanti da guerra, c'è sempre qualcuno troppo codardo per fare da sé che sguinzaglia cani addestrati ad essere cattivi come uomini, c'è la mia personale guerra notturna fatta di bestemmie e di braccia che girano come pale di elicottero contro le zanzare stanziali in ogni stagione a casa mia, ma che qualcuno schierasse un esercito di pungiglioni non era ancora accaduto. Una Melissomachia qualcuno l'aveva scritta, effettivamente, a metà del 1600 a Bruxelles, sul modello della più nota guerra fra topi e rane, ma si trattava di un popolo di api contro un altro popolo di api, i buoni e i cattivi, quelli che amano i fiori e i ladri di miele. No, api contro umani che mi risulti ancora no.
E' successo a Marsala, in Contrada Spagnola - uno dei tanti posti naturalmente stupendi della Sicilia, sfregiati da uomini avidi e stupidi -, dove si trovano alcune case abusive costruite a meno di 150 metri dalla costa e per le quali il comune ha deciso la demolizione. Fra queste c'è la casa di proprietà di due anziani coniugi, sulla quale forse non si può nemmeno invocare l'occhio benevolo e/o connivente dell'abusivismo "per necessità", dal momento che si tratta di 230 metri quadrati su due piani. Insomma è successo che qualche giorno fa, all'arrivo delle ruspe accompagnate da polizia e vigili urbani che avrebbero dovuto eseguire l'ordine di demolizione, il figlio della coppia - apicoltore -, ha inavvertitamente (ops!) fatto cadere le arnie che teneva in casa dei genitori. Sicché migliaia di api liberate si sono messe a inseguire gli agenti mettendoli in fuga e riuscendo a pungerne diversi, tanto che ora si ipotizza per l'istigatore occulto della "révolte des abeilles" il reato di lesioni.
Beh, potrebbe essere un'idea per rispondere a un governo fascista secondo il quale il lavoro e la democrazia in questo Paese sono abusivi. Loro ci hanno mandato le ruspe a demolire definitivamente l'articolo 18 e con esso il concetto stesso di democrazia e il primo articolo della Costituzione? Hanno pure detto 'si fa così e basta' cancellando il ruolo del sindacato? Ebbene noi, che invece non siamo abusivi come quelli che hanno saccheggiato le coste siciliane, perché crediamo nella legalità e nel valore e nella dignità del lavoro, porteremo le nostre arnie sotto palazzo Chigi, dove - con la complicità del Quirinale - siede una banda di abusivi, e libereremo migliaia di api. E che il Pd non si azzardi a portare il cortisone!

lunedì 19 marzo 2012

Mezzo uomo, mezzo rom e il pallone della discordia

In principio fu il premio Giuseppe Prisco. Cioè, il calcio d'inizio alla palla dello scandalo o al pallone della discordia - scegliete voi - fu dato dalla divulgazione dei nomi dei candidati al riconoscimento "alla lealtà, alla correttezza e alla simpatia sportiva" intitolato appunto all'ex vicepresidente dell'Inter.
Tralascio le considerazioni sull'inopportunità di intitolare un premio in cui si parla di lealtà e correttezza a uno su cui comunque pesa l'ombra di essere rimasto invischiato (condannato in primo grado, assolto in appello) negli affari illeciti del Banco Abrosiano; tralascio le considerazioni sull'opportunità (utopistica e che il mondo del calcio si guarderà bene dal prendere in considerazione) di istituire invece un premio per quei calciatori che non evaderanno le tasse e i soldi ricavati li useranno per andare a imparare l'italiano; tralascio il giudizio su mondo del calcio, proprietari di squadre, allenatori, giocatori e tifosi altrimenti mi querelano. Vengo al dunque. Dunque: la rosa dei finalisti è divisa in tre terne, una per i dirigenti delle squadre, la seconda per gli allenatori, l'ultima per i calciatori.
Il casino è scoppiato qualche giorno fa quando i tifosi del Chieti hanno saputo che fra i tre allenatori in lizza c'era quello della squadra "nemica" del Pescara, Zdenek Zeman. E siccome la cerimonia di premiazione avverrà proprio nella loro città, hanno cominciato a protestare con frasi del genere "Zeman a Chieti non lo vogliamo" o "Basta con quest'ondata di pescaresità" e minchiate simili che possono essere partorite soltanto dai cervelli (cervelli?) dei malati di calcio. Poteva finire qui, con la testadicazzesità degli ultras; e magari uno pensava che un'Autorità di buon senso, per esempio un sindaco, avrebbe stigmatizzato - come si dice in questi casi - l'episodio di intolleranza e preso le distanze.
Ma siccome ogni sindaco ha i cittadini che si merita e di solito fra il 51 e il 75% dei cittadini ha il sindaco che si è meritato e si è scelto, il primo cittadino di Chieti, Umberto Di Primio - Pdl con un "cursus honorum" da "curva" della politica dal momento che parte dal Msi-Dn, eletto al primo turno nel 2010 con il 61,4% dei voti -, ci ha messo il carico: "Io non premio un mezzo rom". E che ti potevi aspettare da uno squadrista?
Insomma Zeman ha risposto, dandogli dell'ignorante e facendogli fare la figura di merda che si meritava, e Di Primo non ha potuto far altro che innestare la retromarcia (mi ricorda qualcuno: non l'ho detto, sono stato frainteso, tutta invenzione dei giornalisti...) e scusarsi. Ma la pezza è stata peggiore del buco: era solo "una battuta" dettata dalla sua "fede juventina" .
Che il calcio sia l'oppio dei popoli lo sapevamo già ed era stato anche sancito ufficialmente nel 1970 con una frase pronunciata da un personaggio del film "Il presidente del Borgorosso football club" (presidente interpretato da Alberto Sordi e che, chissà perché, si chiamava Benito), ma sembra che adesso questa cosiddetta "fede" serva pure a giustificare guerre di religione e razzismo da parte di qualche mezzo uomo (non se la prenderà, dal momento che per lui Zeman non è nemmeno un rom intero) nostalgico della razza ariana

domenica 18 marzo 2012

Cancellata la sicurezza sul lavoro?

Riporto l'appello di Marco Bazzoni - Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza - Firenze


Decreto semplificazioni: Al Senato c'è il forte rischio di "imboscata".Probabile che i controlli per la salute e sicurezza sul lavoro vengano soppressi o ridotti nuovamente.

Il Decreto semplificazioni (Dl 5/2012) è arrivato nelle Commissioni al Senato.
C'è il forte rischio, di cui Vi ho parlato circa 10 giorni fa, di un "imboscata", in pratica, oltre a non essere cancellata la norma che sopprime o riduce i controlli per l'igiene alimentari e per la tutela ambientale e del territorio, c'è il forte rischio, che siano di nuovo soppressi i controlli per la salute e sicurezza sul lavoro.
Ci vorrebbero emendamenti migliorativi, perchè se nessuno li presenterà è fortissimo il rischio che "qualcuno" ne presenti di peggiorativi e state sicuri che passeranno!!!
Ripeto quello che vado dicendo da diverso tempo, l'articolo 14 del Decreto semplificazioni non andava modificato, ma andava fatta una cosa, molto semplice: andava cancellato.
Quindi, chiediamo nuovamente al Governo Monti: cancellate l'articolo 14 del DL 5/2012.
Chiediamo inoltre a chi non ha aderito all'appello, di farlo, inviando un email con nominativo, azienda, qualifica e città a: bazzoni_m@tin.it
Infine, chiedo a chiunque di pubblicizzare l'appello ai tutti i suoi contatti email, invitandoli ad aderire e a pubblicizzare l'appello a loro volta.
Se poi qualcuno ha un blog, un sito web, Facebook o twitter, pubblichi l'appello pure li.
E' importante che se ne parli ancora, perchè putroppo non è ancora finita!!!
Saluti.
Marco Bazzoni-Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze

P.S All'appello in 2 settimane hanno aderito 313 persone, in pratica mi sono arrivate 313 email di adesione.Non sono poche ve l'assicuro.Ma sono certo che è possibile fare di meglio.All'appello hanno aderito, operai, tecnici della prevenzione, guardie giurate, sindaci, medici del lavoro, impiegati, liberi professionisti, scrittori, macchinisti, Rls, dirigenti sindacali, macchinisti, giornalisti, avvocati, familiari di vittime del lavoro, ecc.



Sicurezza sul lavoro.Appello a Monti: via la norma che cancella i controlli.


Il Governo Monti, ha varato il decreto semplificazioni (DL 5/2012), che è stato poi emanato dal Presidente della Repubblica il 9 Febbraio 2012.
Tra gli articoli di questo decreto, ne è stato inserito uno, l'articolo 14, che tende a depotenziare in maniera spudorata i controlli per la salute e la sicurezza sul lavoro (articolo 14, comma 4, lettera f).
Ma lo fa in un modo così vergognoso, che forse neanche l'ex Ministro Sacconi sarebbe riuscito a fare altrettanto.
Questo articolo, prevede, la soppressione o la riduzione dei controlli per la sicurezza sul lavoro per le imprese in possesso del certificato di qualità Iso-9001 o altra appropriata certificazione emessa, a fronte di norme armonizzate. In pratica con l’entrata in vigore del DL basterà avere un certificato UNI ISO-9001 o UNI ISO-14001 o BS OHSAS 18001 per vedere soppressi, o forse ridotti, tutti i controlli della pubblica amministrazione, tranne che in materia fiscale e finanziaria.

Tra l’ altro le certificazioni UNI ISO-9001 o UNI ISO-14001 niente hanno a che vedere con la tutela della sicurezza sul lavoro, ma sono relative la prima al sistema qualità (del prodotto finito), la seconda alla tutela dell’ ambiente.

Inoltre tali certificazioni non vengono assegnate da organi statali o sovranazionali di controllo, ma da aziende private che devono essere solo autorizzate dal Ministero del Lavoro.

E’ ovvio prima di tutto che le aziende private vengono autorizzate dal Ministero del Lavoro non tanto sulla base di verifica della loro reale professionalità, ma soprattutto sulla base del potere politico ed economico che possono dimostrare.

E’ ovvio poi che essendo aziende private pagate da altre aziende che hanno bisogno a vario titolo della certificazione, fanno il possibile per rilasciare la certificazione per poter essere pagate.


Purtroppo non è finita qui, il governo ha avuto anche la straordinaria idea di inserire il comma 4, lettera d, in cui si inserisce il concetto di “collaborazione amichevole” con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità"

Quale contorsione mentale si è prodotta per arrivare all’idea geniale che chi controlla non deve recare intralcio all’impresa controllata ?
Chi svolge il ruolo di vigilanza e controllo deve per la natura stessa del suo ruolo creare intralcio, guardare ovunque in un luogo di lavoro, chiedere conto di tutte le misure di prevenzione attuate dalle aziende .
La normativa in vigore non consente la “ collaborazione amichevole “ : se un ispettore ASL riscontra una violazione e non la sanziona, nell’interesse della salute e della sicurezza del lavoratore, compie una grave omissione di atti di ufficio in quanto Ufficiale di Polizia Giudiziaria con denuncia d’ ufficio alla Procura della Repubblica !

Inoltre al comma 4 è previsto che i regolamenti siano emanati su proposta del Ministro per la P.A., dello sviluppo economico e dei Ministri competenti (…) sentite le associazioni imprenditoriali, ma senza riferimento alle organizzazioni sindacali.
L’art.14 costituirà, se approvato, una grave violazione della direttiva europea sulla sicurezza sul lavoro in quanto l'articolo 4, comma 2, della direttiva quadro europea 89/391/CEE, dice:
"Gli Stati membri assicurano in particolare una vigilanza ed una sorveglianza adeguate"
Riteniamo pertanto che l'articolo 14 del decreto semplificazioni non vada modificato come molti chiedono, ma semplicemente cancellato.
In un paese in cui quasi 10 000 lavoratori all’anno muoiono per infortuni (circa 1200) e per tumori professionali (circa 8000) non è possibile abbassare neanche un po’ la guardia quando è in gioco la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Marco Bazzoni-Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Marco Spezia, Ingegnere e tecnico della sicurezza sul lavoro, La Spezia
Andrea Bagaglio, Medico del Lavoro, Varese
Manuele Cordisco, Tecnico della Prevenzione, Roma
Gino Carpentiero - medico ASL Firenze e membro del Direttivo Nazionale di Medicina Democratica


Chi è interessato ad aderire all'appello può inviare la sua adesione con nominativo, azienda, qualifica e città a: bazzoni_m@tin.it

venerdì 16 marzo 2012

L'Azienda siciliana trasporti e il ciolleggio dissuasivo

Metti che un giorno devi andare da Catania a Tremestieri etneo e non hai la macchina. E' considerato quasi Catania, meno di nove chilometri di distanza, in un posto normale ti ci porterebbero gli autobus dell'azienda municipale. E non è questo il caso. E comunque è una distanza che con qualunque mezzo si potrebbe raggiungere al massimo in mezz'ora. Cerchi su Internet per vedere quale delle aziende regionali copra la tratta; ce n'è una - è l'Ast - ma la tabella degli orari è totalmente incomprensibile. Decidi di telefonare per avere informazioni: ovviamente non risponde nessuno. Ti incammini verso la stazione degli autobus: qualcuno mi dirà qualcosa. In effetti sì: alla biglietteria di un'altra società di trasporti mi confermano che a Tremestieri ci si va con l'Ast e che il terminal (parola grossa: è un parcheggio alla trucida in perfetto stile catanese) si trova dall'altra parte. Nessuna biglietteria e nessuno sportello per informazioni, sulle palettine davanti alle quali è fermo ciascun mezzo non c'è né direzione né - ma quante pretese! - una tabella con gli orari: c'è scritto solo Ast, tutto sbiadito. Comincio lo slalom fra i pullman alla ricerca di un autista che mi sappia dare qualche informazione. Alla fine ce n'è uno, seduto al posto di guida: "Scusi , dove si prende l'autobus per Tremestieri?" Omertoso e sintetico, senza muovere un muscolo: "Qui". Allora gli faccio un'altra domanda: "Ma è questo?". Affaticassimo, ripete il monosillabo e fa lo sforzo di accompagnare la parola con un movimento circolare del dito indice. Credo che intenda "in questa piazza". Di più, spontaneamente, non dice. Lo incalzo: "Ma i biglietti dove si comprano?". Ti indica un bar in lontananza. La cassiera i biglietti li vende, ma gli orari non li sa. Però è più loquace e ti spiega - stupita - che l'ufficio informazioni è aperto: in una traversa più in là. Sto già girando a vuoto da mezz'ora e comincio a pensare che se ci vado a piedi a Tremestieri, faccio prima. Il cosiddetto "ufficio informazioni" è una stanza buia in cui domina il grigio: grigi di "lurdìa" i pavimenti, grigie di secolare fumo di sigaretta le pareti, grigi gli astanti: quattro anziani genere dopolavoro che ciolleggiano (voce del verbo ciolleggiare, ciddiari, che tradurrei liberamente con un "ciondolare inutilmente come una minchia a riposo") su una panca e un quinto dietro una scrivania che tiene in mano dei fogli completamente consumati che sembrano rosicchiati dai topi: dovrebbe essere l'orario dei pullman. Chiedo. Mi dice a che ora parte il primo. E poi? Mi dice il secondo. E poi? Mi dice il terzo. Fra poco gli do un pugno. E poi? Una domanda, una risposta. Dirli tutti in una volta costa troppa fatica. Arrivo stremata a conoscere l'ora di partenza che mi potrebbe far comodo. "E quanto impiega?". Un'oretta. Cazzo, che significa un'oretta? O è un'ora o sono cinquanta minuti, cinquantacinque, sessantacinque. Cos'è un'oretta? Che sia almeno un'ora e mezza tendente a due, alla catanese? E metti che, dovendo andare per lavoro, avrei bisogno di sapere con precisione a che ora arriverò? Ciolleggio dissuasivo. Rinuncio.
E mi viene il sospetto che abbiano una convenzione a percentuale per incentivare l'uso delle auto e lo spreco di benzina. Ma la verità è che, a quanto sembra, la Regione avrebbe deciso di farla fallire l'Ast - sua partecipata al 100% - per svenderla ai privati. Dunque: licenziamenti, dipendenti demotivati, vetture vecchie che si rompono a metà strada, nessun ammodernamento, disservizi. Evviva la Sicilia, terra di sole, di mare e di turismo!

mercoledì 14 marzo 2012

Fofò Purtusu for president. Votate, adesso!

Milletrecento ettari di estensione - il più grande parco archeologico al mondo - e duemilacinquecento anni di storia e di cultura. "Petri", pietre, nient'altro che inutili pietre, deve avere pensato Alfonso Restivo, in arte "Fofò Purtusu", aspirante sindaco di Agrigento, che nella Valle dei Templi - se sarà eletto - confida di realizzare un grande centro commerciale. Superando in questo persino il suo "predecessore", l'ex sindaco Calogero Sodano, Udc, condannato in primo grado e poi prescritto per averci costruito una megavilla all'interno di quell'area archeologica e per di più nella zona di inedificabilità assoluta.
Si candiderà alle amministrative del 6 e 7 maggio Fofò Purtusu (che in siciliano vuol dire buco), ma intanto la fascia tricolore l'ha già indossata, si è messo al centro di due bandiere - europea e italiana - e in una location similpresidenziale, alle spalle non la foto del capo dello Stato ma quella di Totò, ha registrato il suo spot elettorale: "Iu mi staiu candidantu a sindacu, no pemme ma pevvoi", esordisce il novello unto e bisunto spiegando di essere stato mandato "su questa tera" da dio "non per essere sevvito ma pe sevvire il popolo!". E subito via con il programma in venticinque punti: demolire la cattedrale e farci un grattacielo, palazzo Lojacono (per la cronaca: palazzo Lojacono-Maraventano è un edificio barocco del 1600 crollato un anno fa grazie ai vandali al governo della città) ..."n'atru grattacielu", un concorso al comune per 40.000 dirigenti "senza titolo"... "non hanno riuscito a fare un aeropotto pe sessant'anni e io ci riesco!", "io farò tutte le strade con mammo di Carrara, ca non ci pò né pioggia né rannuli" (che sarebbe la grandine), "a funtana...ca nesci l'acqua lorda, facciamu na funtana ca nesci vinu e gazzusa" e così via fino all'esortazione finale: "Votate, adesso!"
Ora, a parte che "adesso" ancora non si può votare, a voler essere seri, il sacco edilizio, l'abusivismo, i centri commerciali, l'aeroporto, sono tutte cose già tristemente sentite in Sicilia e richiamano i nomi di Vito Ciancimino, dei fratelli Graviano, di Gaetano Badalamenti. E, a cercare disperatamente di farcisi su una risata, invece, il programma di Fofò ricorda molto la scena del film "Gli onorevoli" in cui il quasi omonimo Totò interpreta il ruolo di Antonio La Trippa al quale un onorevole collega spiega il sistema degli appalti: "Io ti do tre voti a te e tu mi dai tre appalti a me...senza contare che a Rocca secca ci sono degli ottimi terreni comunali che attraverso il suo prestigio noi possiamo comprare per pochi soldi".
Ecco, come direbbe Totò, "scusate la mia ignoranza in questa specie di politica", ma che ci aspettano ad arrestarlo? Arrestatelo, adesso!

http://video.repubblica.it/edizione/palermo/fonzio-il-paladino-candidato-sindaco-di-agrigento/90297/88690

martedì 13 marzo 2012

Cultura non pervenuta

Ma dov'è finito l'assessore alla Cultura del comune di Catania? Hanno abolito l'assessorato? Hanno abolito la Cultura tout court (non sia mai che la gente si evolve e pensa e se pensa vota e c'è il rischio che lo faccia secondo coscienza)?
No, perché io sono mesi che aspetto. Non foss'altro che per divertirmi un po', perché con le amministrazioni di centrodestra a Catania (e non solo) gli assessorati alla Cultura sono stati una vera e propria farsa, dal mortadellaro a Cicca Stonchiti che parlava solo in civitoto fino ad arrivare alla signora degli atelier diventata famosa per avere definito la mafia "un luogo comune" e poi dimessasi (ma restando consulente) ufficialmente a causa dei tagli ai fondi del suo assessorato ma a quanto sembra perché forse voleva anche la delega al Turismo. Ecco, io aspetto esattamente da un anno: da quando, il 10 marzo del 2011, Marella Ferrera si dimise. Periodicamente vado sul sito del comune, ma di un nuovo assessore alla Cultura - che dovrebbe significare una programmazione culturale articolata e non solo qualche mostra fotografica - non trovo traccia.
Ieri pomeriggio per un attimo avevo creduto che finalmente Catania potesse avere di nuovo un assessore quando è uscita la notizia che il sindaco, Raffaele Stancanelli, ha "rimodulato" la giunta e assegnato nuove deleghe. Peraltro, unica attività cerebrale registrata: di tanto in tanto, si sveglia dal suo coma amministrativo e rimodula. Cioè mette in atto una cosa a metà fra un minuetto e il gioco del 15 per - cristianamente - dar da mangiare agli affamati. L'ultimo balletto sembra sia servito a nominare assessore (e con deleghe pesanti: Lavori pubblici, Manutenzioni, Servizi cimiteriali e Protezione civile) l'avvocato penalista Giuseppe Marletta, ex Udc e ora Pid - il partito dell'ex ministro Saverio Romano, accusato di mafia -, già assessore provinciale ai tempi della presidenza Lombardo, nonché difensore nel processo Iblis dell'ex sindaco di Palagonia, Fausto Fagone, e del consigliere provinciale Antonino Sangiorgi, entrambi indagati per rapporti con i boss. Poi c'è un assessore alla Pubblica Istruzione, Sanità e randagismo (nel senso che uno, dopo avere studiato, se ne va a fare il cane randagio perché lavoro non ce n'è) e una al Turismo e Grandi eventi. Ma di Cultura non c'è traccia, non pervenuta. Del resto, come ebbe a dire l'ex ministro Giulio Tremonti, "di cultura non si vive". Di cemento invece sì.

Come in un film di Charlot

Il primo nome che ti viene in mente, d'istinto, visto che siamo in Sicilia e viste le analogie con la Campania, è quello di Achille Lauro. Solo che lui le scarpe una alla volta le regalava (che poi non era proprio un regalo, ma voto di scambio), mentre in questa storia c'è un ladro talmente sfigato che riesce a rubarne soltanto una.
E' successo a Erice, dove un giovane di 21 anni ha bloccato un gruppo di ragazzini, intimato a un quattordicenne in "Nike" di togliersi le scarpe e, quando quello ha tentato di fuggire, lo ha afferrato per un piede riportando come bottino la scarpa sinistra.
Non mi lancerò in ovvie quanto presuntuose (da parte di chi non ha titolo per farle) analisi sociologiche, ma certo è facile notare come in questa terra strozzata dalla miseria ci sia chi creda di non poter vivere senza un paio di "Nike". Bisogno tanto più forte di te - come fosse droga - che te ne basta una: una scarpa, una dose.
Perché sapete lui cos'ha fatto? Avrebbe potuto portarsela a casa e conservarla in attesa di beccare un altro ragazzino e rubargli la destra oppure appenderla al muro come trofeo di caccia o ancora - in un moto di rabbia per l'operazione fallita - lanciarla con un gesto di stizza il più lontano possibile. E invece lui no: l'ha calzata, ne aveva troppo bisogno. E' così che lo hanno trovato gli agenti della squadra mobile di Trapani che lo hanno arrestato e poi messo ai domiciliari. Come in un verso di una canzone di Pino Daniele: "Na scarpa sì 'na scarpa no/come in un film di Charlot".

lunedì 12 marzo 2012

Primarie fra "masculi"


Partiamo da un assunto: il sondaggio è una minchiata.
Lo è quello fatto apparentemente con tutti i crismi, commissionato a una società che fa questo di mestiere, e lo è perché di solito il sondaggista calibra l'indagine sulla base di quello che il committente vuol sentirsi dire. Tutti ricordano l'impomatato mannequin (unico caso di parola al mondo - mi si passi la digressione - che ha il femminile ma non il maschile) de La7 in stile D&G, che durante le amministrative dava la linea sottostimando sistematicamente la Federazione della Sinistra (grazie al cui contributo determinante ora Napoli ha uno dei pochissimi migliori sindaci d'Italia) e preferendole una gauche rosée più funzionale al Pd. Che si tratti di saponette o di partiti politici, il committente vuole così, poi si tratta soltanto di partire con la pubblicità e di creare un bisogno indotto. Metti che va pubblicizzata una saponetta alla merda? Si prende una strafiga da paura, le si mette in mano un gianduiotto gigante, le si fa dire che lei si lava tre volte al giorno con quella saponetta ed è per questo che - malgrado ne abbia settanta - dimostra trentacinque anni (ma il sistema è lo stesso usato per pubblicizzare l'intruglio miracoloso per il ventre piatto in menopausa: inquadri solo la pancia di una sedicenne similanoressica e il gioco è fatto) e se qualcuno avanza delle obiezioni per la puzza gli spiegano che la saponetta va abbinata a un'altra che la fa sembrare un po' meno puzza.
E figuriamoci se non è una minchiata (ma in fondo è un gioco, per quanto perverso, e in quanto tale va preso) un sondaggio - le "primarie" per il sindaco di Catania le hanno chiamate - fatto da un giornale on-line, Sud, il cui più o meno editore/ispiratore è nei fatti anche committente e forse voleva solo dimostrare una sua tesi e togliersi qualche sassolino dalle scarpe. E infatti si erano scordati di metterci la sinistra e le donne (a meno che non si voglia considerare donna l'uomo forte dell'area lombardian-sanitaria del Pd): perché la partita si giocava tutta nel centrodestra (uno di centrosinistra ce l'hanno messo, ma perché proprio non ne potevano fare a meno, essendo stato sindaco di Catania e per di più apprezzato da molti; mentre un altro, spacciato per centrosinistra, è un aspirante terzopolista) e più che altro sembrava un regolamento di conti fra "masculi", una specie di vendetta trasversale messa in atto usando un giovane killer per mandare un segnale al boss attraverso l'eliminazione fisica, per quanto virtuale, di un suo uomo di paglia.
Operazione di quelle facili facili, perché - per entrare nel merito del discorso - Raffaele Stancanelli (appendiabiti del più potente omonimo) non ha proprio bisogno di tutta quella macchina organizzativa e informatica messa in moto per farlo umiliare dal giovane Pogliese e per arrivare ultimo in classifica con soli 55 voti: ce la fa benissimo da solo ad essere il peggiore dei sindaci di Catania alle cui balle su presunti risanamenti (l'ultima è che a quanto pare l'Amt risanata e societaperazionizzata starebbe fallendo) e su inesistenti rifacimenti di manti stradali non credono più nemmeno i sanpietrini che, per l'appunto, basta una "stizza" d'acqua e saltano come tappi di champagne. Così come "tutta di calata" è venuta la débâcle del suddetto uomo forte dell'area lombardian-sanitaria del Pd per il quale non si devono essere scomodati nemmeno i parenti stretti se a stento ha raggiunto i 13 voti. E' andata un po' meglio - ma non senza fatica - al giovane esponente dello stesso partito, per il quale però vale il discorso di Pogliese: retorica del giovanilismo e smanettamento a manetta.
Ma la vera sorpresa - dice Sud - è Orazio Licandro. Ora, mi si perdonerà il mio essere di parte, ma l'unica risposta che mi viene è: "E grazie al cazzo!"
Mi spiego: come già detto, uno di sinistra non ce l'avevano messo. Lo hanno fatto solo in seguito a dei post che facevano notare l'anomalia e indicavano proprio il nome del notorio mangiatore di bambini. Quindi, probabilmente, ci potevano mettere un nome qualunque di sinistra e sarebbe già bastato per fare il botto: sia rispetto a quel che si proponeva sia perché comunque perfino a Catania la sinistra - quella vera - esiste. In più ce ne hanno messo uno credibile, talmente credibile che il primo a proporlo è stato un signore che ha detto di non essere mai stato comunista, di non aver mai fatto parte del Partito dei Comunisti italiani e però - siccome uno non se ne accorge solo se è cieco o in mala fede - ne ha constatato l'impegno vero per la città e dunque ha voluto manifestargli così la propria stima. Dopo di che chiunque ricordi ancora le proporzioni matematiche che ci facevano fare alla scuola media potrà facilmente rendersi conto di che differenza passi fra uno che sta in un partito del 20% circa e prende 79 voti (o, peggio, appena 13) e uno di un partito dato (quando va bene) al 2% che di voti ne prende 131. E ancora più facile calcolare la percentuale di 131 voti su 1310 votanti. Poi possiamo anche ragionare su quanto siano motivati i sostenitori dell'uno e gli estimatori dell'altro a muovere il mouse e fare clic. E anche qui non c'è partita.

domenica 11 marzo 2012

Monarchia o repubblica?

Ma in Italia i titoli nobiliari non erano stati aboliti come conseguenza del risultato del referendum del 1946 in cui gli italiani si pronunciarono per la repubblica e contro la monarchia? E dunque, i nobili non dovrebbero essere stati aboliti proprio a causa dei loro titoli? No, non parlo di Emanuele Filiberto che andrebbe abolito point final (glielo dico in francese, perché la lingua del Paese di cui crede di essere il re non la mastica tanto bene); parlo di quelli che continuano a farsi appellare e venerare conti e duchesse e di qualcuno che - addirittura - si fa proclamare principe. Principe del foro, così lo definivano fino a qualche tempo fa; dopo di che, causa età avanzata, i fori cominciarono a scarseggiare e restò solo il principato.
Deliro, perché la notizia è delirante e non basta nemmeno leggere il nome di Pasquale Squitieri per rassicurarsi e illudersi che stiano facendo un film in costume. No, non basta, perché il regista fascista - probabilmente pensionato in cerca di un passatempo per ingannare le giornate -, in seguito a un altro referendum all'incontrario fra monarchia e repubblica, da oggi è Primo ministro del principato di Filettino (in provincia di Frosinone) il cui Principe è, per l'appunto, il principe del foro, tessitore di trame e presunto autore di dossier taroccati (Telekom Serbia), difensore di nazisti e di madri assassine nonché sottosegretario del Ministero dell'Interno nel secondo governo Berlusconi, che risponde al nome di Carlo Taormina.
Ebbene, da ieri sera in quel piccolo centro del frusinate (circa mille metri di altezza per 500 abitanti che in estate diventano 12.000) - in seguito a consultazione popolare indetta per volere del sindaco in segno di protesta contro i tagli agli enti locali voluti dal governo (amico) di Berlusconi e dopo che nel settembre scorso il comune si era autoproclamato "Principato" e aveva eletto un'assemblea costituente incaricata di redigerne la "Costituzione" - c'è un governo di ben dieci ministri (praticamente più ministri che abitanti) che hanno già giurato nelle mani del Principe Taormina, il quale ha riservato per sé il ministero del Lavoro. Anche lì hanno un Monti, che di nome proprio fa Carlo ed è ministro degli Esteri; e anche lì hanno un ministro della Giustizia donna, tal Maria Rosaria Galella. Da segnalare fra le curiosità anche il cognome del ministro della Salute, che sicuramente indurrà i "filettini" (sarà così che si chiamano?) a non ammalarsi, a sottoporsi a sfregamento gonadico tre volte al giorno prima dei pasti e a dotarsi di talismani, amuleti, corni rossi, eccetera: il tizio si chiama Davide Della Morte, assurto al prestigioso incarico in questa storia visionaria degna di Lewis Carroll dopo la rinuncia del professor Augusto Mosca, dell'équipe medica del Vaticano.
Le agenzie non chiariscono se gli abitanti di Filettino si riforniscano tutti dallo stesso pusher e se ciascuno dei "ministri" possa vantare nel proprio curriculum un titolo di conte, barone, duchessa o dama di compagnia, né per quale ragione il Ministro degli Interni (quello italiano) e il suo collega della Sanità non abbiano ancora inviato - rispettivamente - i gendarmi e gli infermieri con le camicie di forza.
Certo è che è un gran peccato che Monicelli non ci sia più, perché ci avrebbe fatto davvero un gran film.

mercoledì 7 marzo 2012

Lotta e lutto

Oggi vorrei esprimere tutta la mia solidarietà all'albero di natale. Perché all'albero di natale e perché proprio oggi? Perché lui è come noi. Come noi donne, intendo: a un certo punto lo prendono, lo mettono in salotto, gli spiegano che è festa, ci appendono sopra un po' di palle e un po' di lucine e quando finisce la festa lo prendono e lo buttano nel cassonetto. Se è un albero vero. Se invece è di plastica lo impacchettano e lo mettono in garage, comunque in un luogo buio. Come fanno con le donne di plastica. Però gli dicono che è festa: lo dicono all'albero e lo dicono alle donne. E' festa: compriamo, spendiamo, ingozziamoci, diamo sfogo a tutta la volgarità repressa, fingiamo buoni sentimenti - magari con lenzuolate di statistiche che ci spiegano per quanti alberi e per quanti poveri il natale non è un bel giorno o per quante donne non c'è lavoro e non c'è rispetto - e poi rimettiamo tutto in garage per riparlarne fra un anno esatto. E' così che vuole il mercato.
Per me l'8 marzo non è festa: è giornata di lotta e di lutto. Lutto per le operaie ammazzate in fabbrica dal padrone oltre cento anni fa e per le precarie (e i loro colleghi precari) dipendenti di un negozio di Milano dove se sbagliano, per punizione, i maschi sono condannati a fare le flessioni e le femmine a eseguire esercizi per rinforzare i glutei (è solo questo che interessa ai maschi, no?); lutto per la dignità uccisa sul nascere di ragazzine allevate a McDonald e Mediaset che infatti stasera crederanno di dover "festeggiare" andando a vedere i maschi che fanno lo strip tease; lutto per Stefania e le altre, tutte le altre, un numero sconvolgente, scannate come animali al macello dagli stessi uomini che l'8 marzo hanno regalato loro le mimose.

martedì 6 marzo 2012

Sicula fenice


A volte ci sono notizie che ti fanno venir meno non tanto la fiducia nella magistratura o nelle forze dell'ordine, quanto nel fatto che da sole e a mani nude potranno mai riuscire a combattere contro un drago che riesce sempre a rinascere da se stesso, a riprodursi come per talea: ne basta un pezzetto.
La notizia, che riguarda una banca dove i boss facevano il loro comodo, è di questa mattina. Ma il fatto è che quella stessa banca, la Sofige di Gela, era già stata sette anni fa al centro di indagini della magistratura: era finita che la Banca d'Italia l'aveva commissariata stabilendo per di più delle sanzioni pecuniarie per il direttore, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale accusati di non aver vigilato - rispettivamente - su gestione del credito, erogazione e controlli. L'avevano chiamata "Dirty money", denaro sporco, quell'operazione seguita a un'inchiesta della procura di Caltanissetta che nell'estate del 2005 portò all'arresto di sette persone perché all'interno di quell'istituto di credito, si metteva in essere - come scrisse qualcuno - un "generale supporto" all'organizzazione criminale della Stidda.
Appena due giorni dopo l'operazione, Bankitalia aveva provveduto a nominare un commissario straordinario e tre componenti di un "Comitato di sorveglianza", ma probabilmente non dev'essere bastato in quella città in cui tutto si ripete sempre uguale a se stesso, dove qualunque vicenda - che si tratti di una lite fra fidanzati o un'intimidazione mafiosa - passa per una tanica di benzina, dove le metastasi sono talmente diffuse che anche se levi tutto c'è il rischio che qualcosa resti e cominci a riprodursi.
E infatti così è stato. Questa mattina la Dia di Caltanissetta ha eseguito una nuova operazione antiriciclaggio, figlia di quell'altra, che ha messo in luce un giro internazionale di denaro sporco in cui sarebbero coinvolte decine di istituti bancari e società: più di trenta casi accertati di ripulitura dei soldi dei mafiosi e beni (fra i quali tre società dell'imprenditore catanese Giovanni Puma) per oltre venti milioni di euro sotto sequestro, riconducibili al boss Piddu Madonia.
Dev'essere per questo che questa nuova operazione l'hanno chiamata "Fenix", perché che ci sia ciascun lo dice e questo è già un passo avanti rispetto a quando ci raccontavano che la mafia non esiste, ma il dato di fatto è che - proprio come l'Araba Fenice - risorge sempre dalle proprie ceneri grazie a una rete impressionante di connivenze. E non aspetta cinquecento anni.

lunedì 5 marzo 2012

Ruscello di montagna

Baralgina. Le mestruazioni di Zina erano un affare di Stato: non veniva a scuola, disertava le riunioni del Movimento, stava a letto, vomitava e alleviava il dolore con la Baralgina. Poi tornava a travolgerci con la sua allegria.
Per anni, mestruazioni permettendo, con lei e gli altri del gruppo avevamo condiviso le giornate, l'impegno politico, le domeniche al mare, gli affetti, i nostri matrimoni, le nascite dei nostri figli. Perché a noi la militanza politica ci aveva resi famiglia.
Famiglia disgregata, a un certo punto. Nessuna lite e nessun motivo ben preciso, ma soltanto le esigenze insensibili della vita che ti impongono ritmi diversi: avevamo smesso di frequentarci, ma non di essere famiglia. Tre anni fa era stato il nostro adorato mare a farci ritrovare: ci eravamo incontrati quasi per caso - io, lei e Salvo (ZinaeCastoro, questo binomio che non smetterà mai di essere una persona sola) - al solarium di piazza Europa, sotto casa loro, dove andavamo la mattina presto per andarcene prima che arrivasse la confusione. Uno, due, tre giorni di seguito: alla fine ci salutavamo dicendoci "ci vediamo domani", come fosse un impegno consolidato e assodato. Come ai tempi di scuola e dell'Mls.
In uno di quei giorni, mentre facevamo il bagno, mi raccontò tutta contenta che ormai era in menopausa. "Però - aggiunse ridendo - sono sempre isterica, come prima!". Proprio in quel momento in cui sembrava che non avessimo mai smesso di frequentarci, avrei voluto dirle quanto mi erano mancati. Non lo feci, per quell'assurdo pudore che mi trattiene sempre dal dire quello che provo; ma sentivo che adesso la famiglia si era riunita e che avremmo recuperato il tempo perduto. Quando sei giovane qualcuno dovrebbe avvertirti che il tempo perduto è perduto e non lo recuperi più.
Era una mattina di gennaio quando ricevetti la telefonata di Nino: "Zina sta male". Che vuol dire sta male? Anche quando aveva le mestruazioni stava male, ma bastava la Baralgina. Era chiaro che non si trattava di quel tipo di stare male, eppure lui di più non aveva detto e dal tono della sua voce si capiva che aveva paura di aggiungere altro.
Quaranta giorni. Quaranta giorni di battaglia. Lei era Antigone, in guerra contro la guerra e contro la morte, noi il suo coro. Tutti là, tutti i giorni al reparto di rianimazione, ad annegare e riemergere, la febbre è aumentata, un movimento impercettibile degli occhi, una nuova infezione, la febbre sta calando...ancora una volta ci salutavamo con un "ci vediamo domani".
C'erano delle giornate bellissime, come adesso; poi arrivavi là sopra, in quell'ospedale tutto curve e salite che sembra un otto volante, e un vento gelido ti prendeva a schiaffoni per ricordarti di non illuderti, che non era ancora primavera, che per quell'anno la primavera avrebbe saltato un giro; che il suo sorriso musicale come un ruscello di montagna non sarebbe tornato a travolgerci. Stavolta non c'era Baralgina che tenesse: se ne andò nei primi giorni di marzo, qualche settimana prima del suo compleanno. Due anni fa e aspettiamo ancora che torni la primavera, derubati.

Brogli e 'mpidugghi

Non so se alle primarie del centrosinistra di Palermo ci siano stati brogli o peggio (e certo quando c'è di mezzo la lombarditudine e il mantenimento di un potere clientelare o di briciole di esso, il dubbio ci sta tutto), ma posso affermare quasi senza tema di smentita che ci sono stati 'mpidugghi.
Mi spiego con qualche esempio.
Antonella Monastra, tanto per cominciare dalla fine, arrivata ultima in questa consultazione a quattro per la scelta del candidato sindaco, quand'è arrivata in consiglio comunale era candidata di Rifondazione comunista. Da indipendente, certo, ma il partito grazie al quale era stata eletta consigliera comunale era inequivocabilmente il Prc. Alle regionali del 2008 Monastra era candidata con la Sinistra arcobaleno (cioè, più o meno sempre con i comunisti, per quanto spennellati in technicolor), poi passò a "Un'altra storia" (il movimento di Rita Borsellino), stavolta si è candidata con il sostegno di movimenti e società civile e fuori dai partiti. Ha preso 1.750 voti.
Davide Faraone, penultimo e unico con tessera Pd, viene dai Ds dei quali è stato segretario cittadino e consigliere comunale, poi deputato regionale con l'ultima mutazione genetica. Ha preso 7.975 voti.
Rita Borsellino, a lungo impegnata con l'associazionismo, passata anche lei per la Sinistra arcobaleno ma approdata dall'altra parte rispetto alla Monastra facendosi eleggere europarlamentare con il Pd. Ha preso 9.878 voti.
Fabizio Ferrandelli, the winner, ormai molto ex Idv eletto consigliere comunale nella lista che sosteneva Leoluca Orlando e oggi candidato dell'area Lombardo del Pd. Ha preso 9.945 voti.
Ora, a prescindere dal fatto che proprio di quest'ultima tipologia (la quintessenza dell'arroganza che a Palermo prende le sembianze di Cracolici e Lumia, quest'ultimo subito pronto a minacciare richieste di dimissioni per Bersani) penso tutto il male possibile accompagnato da conati di vomito, mi viene un pensiero terra terra: Monastra durante la sua carriera politica - come spesso accade - avrà distrutto solide amicizie e in cambio ne avrà create altre e altrettanto importanti con i suoi compagni di avventure ideali; lo stesso avrà fatto Faraone, ugualmente Borsellino e Ferrandelli. E dunque, per fare un esempio, degli ex compagni di Rifondazione che oggi sostenevano la Borsellino, qualcuno avrà votato per Monastra essendole rimasto amico e qualcun altro per Borsellino perché con quell'altra aveva litigato o per scelta di partito condivisa; così dei compagni della Federazione della Sinistra che ai tempi erano nella Sinistra arcobaleno qualcuno avrà votato per Rita Borsellino mentre qualcun altro potrebbe non averle perdonato il "tradimento" di qualche anno fa; qualcuno di "Un'altra storia" potrebbe avere votato Borsellino, qualcun altro Monastra; all'interno di IdV forse c'è chi - pur essendo in linea con il partito nazionale - magari non sopporta Leoluca Orlando e quindi per dispetto e antipatia personale potrebbe avergli preferito Ferrandelli; nel Pd qualcuno - pur non essendo lombardiano né sostenitore di un centrosinistra classico - potrebbe non aver scelto Faraone magari soltanto perché dieci anni prima avrebbe voluto essere candidato al suo posto; e così via di scomposizione in scomposizione, di ricomposizione in ricomposizione, d'impidugghiu a impidugghiu. Senza riuscire a trovare il bandolo della matassa, mentre il clan compatto assesta la sua prova di forza.
Sono sempre più convinta che le primarie siano un'assurdità, buone per gli americani: soltanto un'illusione di democrazia, soprattutto quando l'ingenuità (molesta) di sovrapporre candidati omologhi si innesta sul "sistema Sicilia", quello dei galoppini in nero agli angoli delle strade o degli sms con la coppola.

sabato 3 marzo 2012

La palude

Nell'ordine, erano stati scomodati un magistrato, un comandante dei carabinieri, un avvocato, un vescovo e un giornalista.
A Godrano, piccolo centro della provincia di Palermo con poco più di 1.500 abitanti che in arabo si chiamava Al Gudran (palude), oggi si sarebbe dovuto parlare di mafia. Il programma prevedeva la proiezione del film "La Fratellanza" del 1968, diretto da Martin Ritt e interpretato da Kirk Douglas (che poi - a parte il merito di essere stato girato proprio in quel paesino con comparse locali - non doveva essere neanche 'sto gran film, a giudicare dalla definizione che ne dà il Morandini: "Truce melodramma mafioso, tutto giocato sopra le righe e zeppo di luoghi comuni"), e poi il dibattito - che avrebbe dovuto moderare il redattore di Repubblica Tano Gullo - con il sostituto procuratore della Repubblica Gaetano Paci; il comandante provinciale dei carabinieri, Teo Luzi; l'avvocato Carmelo Franco, componente della giunta nazionale dell'Unione camere penali; e il vescovo ausiliare di Palermo, Carmelo Cuttitta.
L'evento avrebbe dovuto svolgersi nel teatro "Giuseppe Canino", ma praticamente all'ultimo minuto (appena qualche ora prima, per la precisione) è stato annullato. Anzi, secondo quanto riportano le agenzie: "rinviato a data da destinarsi". E uno potrebbe pensare, data l'età, che la pellicola gli si è sbriciolata fra le mani appena l'hanno tirata fuori dalla pizza. Invece sembra che per proiettare il film fosse necessario un permesso non meglio specificato da parte di un'apposita "commissione sui pubblici spettacoli composta da funzionari del comune, dell'Asl, dei vigili del fuoco e da un elettrotecnico", i cui componenti non è stato possibile convocare "per ritardi burocratici", come spiegato dal sindaco Matteo Cannella, esponente di una lista civica espressione del centrodestra ma sostenuta anche dal centrosinistra eletto con una valanga di voti nel 2010 contro un avversario esponente di una lista civica espressione del centrodestra ma sostenuta anche dal centrosinistra (no, non avete sbagliato voi a leggere né io a scrivere: tutte e due le cosiddette liste civiche erano espressione del centrodestra ma sostenute anche dal centrosinistra, praticamente un acquitrino).
Ora, escluso che la commissione dovesse operare una sorta di censura preventiva sul film (peraltro abolita nel 2007 e comunque di competenza del Ministero per i Beni culturali), se per il caso il teatro era cadente e bisognava certificarne l'agibilità forse lo sapevano già quando l'iniziativa è stata organizzata e se anche fosse crollato ieri, forse potevano decidere di farla altrove.
Non è che, per caso, è meglio che i discorsi sulla mafia anneghino in un pantano di adempimenti burocratici?

giovedì 1 marzo 2012

Furto di Futura

Mi capita spesso che giovani compagni o giovanissimi "amici" di Facebook mi chiedano di leggere i pezzi che stanno scrivendo per il giornalino di partito del loro comune o per quello della scuola e di dare loro il mio parere. Non mi sottraggo mai (anche se non mi ritengo una tale autorità in materia), ma li avverto subito che sono una gran rompicoglioni; che un "po'" con l'accento invece che con l'apostrofo o una virgola fuori posto mi fanno venire i capelli dritti tanto da somigliare all'omino delle matite Presbitero; che alla terza sgrammaticatura smetto di leggere perché mi girano a elica pure se hanno scritto la Divina commedia.
Però quando Selena mi ha mandato un messaggio su Fb per chiedermi di leggere l'articolo a cui stava lavorando le ho detto istintivamente di mandarmelo e ho dimenticato l'avvertimento: forse perché, dalle poche parole scambiate, avevo notato che in questa prateria sconfinata in cui ciascuno apre bocca e dà fiato - immolando la lingua italiana sull'altare della cosiddetta spontaneità - lei è una delle poche persone che sappiano dove si mettono le virgole e dove gli accenti e che all'inizio di una frase si usa la maiuscola. L'istinto non mi aveva ingannata: non c'era bisogno di avvertimenti né di avvertenze prima dell'uso. Il pezzo era buono: c'erano insieme contenuti e rispetto delle regole grammaticali (oltre che di quelle giornalistiche).
Perché scrivo di lei? Perché Selena (Selena Futura, anzi, e bisognerebbe tenerne conto di questo secondo nome per rendersi conto di quanto i suoi genitori abbiano puntato su di lei fin dalla nascita: Futura - oggi glielo devo - come la canzone di Lucio Dalla che dal 1980 ha accompagnato la nascita di tanti bimbi) è una ragazza di diciassette anni, frequenta il penultimo anno del liceo classico "Spedalieri" di Catania, sogna di fare l'avvocato ed è figlia di una coppia di lavoratori licenziata in tronco dalla Elco - insieme ad altri quasi duecento compagni di lavoro - dopo oltre vent'anni senza una motivazione valida (il presunto fallimento è solo presunto) e praticamente senza nemmeno il pagamento del Tfr.
Sentite cosa mi ha detto: "I figli dei Signori adesso sono studenti delle migliori università d'Italia, mentre io fino a questa estate non sapevo nemmeno se sarei riuscita a continuare i miei studi". E sentite cosa ha scritto, fra l'altro, con lucidità terribilmente matura, in una lettera aperta ai signori Ferlito, proprietari della Elco: "... sono quindi una giovane che tra non molto si affaccerà sul mondo del lavoro, e grazie a Voi ho avuto un'anteprima, sebbene amara, di quello che potrebbe aspettarmi". Ecco, per questi "Signori", per questi padroni che licenziano senza motivo e tolgono a ragazzi come Selena la possibilità di iscriversi all'università e l'illusione di pensare al lavoro come diritto, io vorrei che nel codice penale fosse introdotto un reato gravissimo da punire con il massimo della pena: furto di futuro. E di Futura.

http://patriziamaltese.blogspot.com/2011/11/il-settore-tira-la-elco-licenzia-le.html
http://patriziamaltese.blogspot.com/2011/12/lavoratori-elco-diritti-rate-e-zitti.html
http://patriziamaltese.blogspot.com/2011/12/futuro-un-cazzo.html