sabato 31 agosto 2013

Chiacchiere da bar

Voi lo sapevate che in Italia c'è un garante per l'infanzia e l'adolescenza? Io no. Lo ammetto: devo essermi distratta e questa notizia mi è sfuggita. O finora la sua esistenza non ha avuto modo di palesarsi. Insomma io l'ho scoperto da un paio di giorni, grazie a (i soldi che sta tirando fuori per) uno spot radiofonico che ti rimanda a un sito. Anzi, ti invita proprio ad andarci, se hai più di tredici anni. Che già, detta così, fa pensare a un film vietato ai minori. E comunque io ne ho molti di più e ci sono andata. Il film effettivamente c'è. E l'oscenità sta nel fatto che per realizzarlo - il solito, banalissimo mosaico di facce giovani e di colori diversi che ti raccontano come vorrebbero il futuro - avranno certamente pagato fior di quattrini ad un pubblicitario di professione quando avrebbe potuto farlo una classe di studenti liceali ai primi approcci con una telecamera. E questo è tutto. Anzi, quasi tutto in un sito che più "under construction" e minimalista non si può. Ma non poteva mancare la frase che tutti i potenti usano (e i potenti Usa soprattutto quando stanno per fare un'altra guerra, ma questo è un altro discorso) un attimo prima di renderti oggetto di sodomia: "I have a dream". Con Martin Luther King che si centrifuga nella tomba. L'onirica letterina - una quindicina di righe in tutto - prosegue spiegando che il garante vuole sensibilizzare sul tema dei razzismi del nostro Paese, raccogliere le istanze dei giovani e in qualche modo fare da intermediario con le istituzioni. Full stop. Point final. Punto e basta. Insomma, mi sono andata a documentare: il garante (democristiano abilmente spalmato su tutto l'arco costituzionale e con l'aspetto da studente salesiano) è stato nominato nel novembre del 2011, durante il governo dei banchieri, dai presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, qualche mese dopo che l'Autorità era stata istituita, su sollecitazione dell'Unione europea, in pieno governo pedofilo e mentre i parlamentari della maggioranza si stracciavano le vesti per dimostrare le parentele altolocate della minorenne favorita del principe. Praticamente inattiva per un anno perché non c'era un regolamento organizzativo e soprattutto non c'erano ancora i soldi per farla funzionare. E' partita - si fa per dire - soltanto nell'ottobre 2012 quando fu stanziato un milione e mezzo di euro l'anno per il funzionamento, poi ridimensionato a un milione. Ma sempre un botto di soldi è. Da cui prendere lo stipendio del Garante, che - ci dicono - non può superare i duecentomila euro l'anno. A quasi un anno di distanza (in coincidenza - precisa il Garante - del cinquantennale dello storico di MLK), l'Autorità lancia la sua martellante campagna invitando i ragazzi a mandare file video o audio per parlare dei loro sogni. Dunque, da quello che si intuisce, nell'anno intercorso da quando sono stati trovati i soldi ad oggi, l'Autorità ha affidato l'incarico di creare un sito internet; ha affidato l'incarico di aprire una casella di posta elettronica; ha affidato l'incarico di confezionare il video contro il razzismo; ha affidato l'incarico di realizzare lo spot radiofonico; ha affidato l'incarico di mandarlo a tappeto sulle radio. E il garante cosa ha fatto durante questo stesso anno in cui ha preso lo stipendio? Ha esternato. Ha detto che i tagli lineari hanno penalizzato l'attività dell'istituzione, ha lamentato la chiusura di ospedali pediatrici, si è compenetrato nei problemi dei bambini costretti a vivere in carcere con le loro madri, ha accusato (e su questo possiamo sottoscrivere ad occhi chiusi) la ministra Fornero di essersene fottuta. Sembra che abbia anche tenuto dei discorsi in Parlamento in difesa dei bambini. E poi dichiarazioni tipo: l'Italia non è un Paese per bambini oppure l'Italia non tutela i migranti. Inutili chiacchiere da bar, insomma, che servono solo ad alimentare altre inutili chiacchiere da bar come quelle che faccio io su questo blog.

giovedì 29 agosto 2013

La forza del destino

E' ufficiale: nell'estate 2013 vanno di moda le figlie. Dopo quella di Totò Riina, intervistata da una tv svizzera al solo scopo di magnificare le doti di buon cristiano e onorare l'uomo d'onore come da comandamento divino, oggi a esternare è la pargola diciassettenne di Matteo Messina Denaro, latitante da vent'anni. Concepita, come si conviene ad ogni figlio di madre illibata, per virtù dello spirito santo, la ragazzina - secondo l'Espresso - oggi fa "una scelta rivoluzionaria" chiedendo alla madre di vivere lontano dai familiari del padre. Bene, direte. Sì, ma c'è qualcosa che non quadra. Perché a un certo punto l'adolescente figlia di boss (a proposito: "figlio di boss" credo che potrebbe essere un insulto molto migliore del più diffuso e maschilista "figlio di puttana"), parlando del padre ma senza nominarlo, afferma: "Quanto vorrei l'affetto di una persona e, purtroppo, questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino...". Ah, ora si chiama destino? Il fatto che tuo padre sia un bastardo pezzo di merda che ha ucciso tante persone quante in una guerra si chiama destino? Il fatto che non lo arrestino perché forse non lo vogliono arrestare si chiama destino? Ascolta, ragazzina: non so cosa ti abbia raccontato tua madre per giustificare il fatto che tuo padre il modo per materializzarsi - il tempo di farsi una scopata - lo ha trovato circa 18 anni fa e poi non ha fatto niente per starti vicino, ma qui il destino non c'entra niente. Come non c'entrano niente, del resto, né il destino né le presunte divinità nelle scelte degli uomini. A meno che la tua non sia la solita sceneggiata per avvalorare la tesi che tuo padre - perseguitato dallo Stato - chissà dove si nasconde e invece (magari, forse, probabilmente, ma io sono malpensante e non faccio testo) vive comodamente e indisturbato insieme a tutta la famiglia in una lussuosa villa costruita con il traffico di droga.

lunedì 26 agosto 2013

Un curioso paradosso

Dodici vignette. Dodici come i mesi dell'anno. Praticamente un calendario, solo che qui le donne (e anche gli uomini) invece di essere con il culo di fuori sono con il culo per terra. Andare in banca e trovare un po' di fila ti fa fare delle scoperte interessanti. Perché nell'attesa ti metti a leggere quello che trovi: brochures, depliants. Io stamattina mi sono fermata a leggere un'affiche e ho scoperto che la banca - non la mia in particolare, ma l'entità banca alla quale ci si rivolge invocando il miracolo - sente il bisogno non tanto di dimostrare la propria esistenza quanto di giustificarla. Le stesse entità - per intenderci - per salvare i culi dorati delle quali gli ultimi governi lo hanno rotto alla maggioranza degli Italiani. Lo slogan sul muro vorrebbe solleticare la curiosità con quello che definisce "un curioso paradosso": "chiedersi come sarebbe la nostra vita se la banca non ci fosse...." E intanto viene da chiedersi come sarebbe (bello) se nella vita non ci fosse questo spreco di puntini. Che uno invece di buttarli così potrebbe metterli in banca e farli fruttare. Poi ti chiedi perché la banca ha bisogno di vendersi e pubblicizzarsi (che poi, se sei lì, vuol dire che ancora non hai deciso di nascondere i soldi nel materasso). Excusatio non petita, spreco di puntini. Ti chiedi se forse non siano stati costretti al tentativo di autocelebrazione dal fatto che la gente sta cominciando ad accorgersi che la banca non è come la telefonata che ti allunga la vita davanti al plotone di esecuzione: la banca è il plotone di esecuzione. E comunque, accetti il suggerimento e vai a procurarti la famosa brochure con i "12 disegni per sorridere e riflettere su come sarebbe il mondo senza le banche". Sicché ti trovi fra le mani un'opera commissionata da un committente maschilista ed eseguita da un disegnatore misogino o viceversa. Cambiando l'ordine dei fattori, la donna resta sempre la casalinga con il piumino in mano che chiede soldi al marito oppure la cretina svampita e ingioiellata che nasconde il bracciale in giardino sotto le azalee per essere certa che non glielo rubino. In mezzo, una serie di patetici luoghi comuni: il maschio che acquista l'auto nuova, la cassiera ovviamente femmina alla cassa, l'usuraio mellifluo, la zia da spolpare per completare i lavori a casa. Tutti che, se non ci fosse la banca, sarebbero sommersi dai problemi e dalle banconote che traboccano da ogni dove (se ne deduce, dunque, che i soldi ci sono e che la crisi - come ebbe a dire un noto pregiudicato - è più percepita che reale). Alla fine cercano di convincerti che le banche fanno finanziamenti alle imprese per aiutarle ad uscire dalla crisi e vengono incontro alle famiglie in difficoltà: visto che i disegni non fanno sorridere, provano a farti ridere sparando minchiate.

Chiuso per disoccupazione

Un mio amico insegnante è entrato di ruolo a 58 anni. Fino a quel momento, ogni anno, per trentacinque anni, per lui l'inizio dell'anno scolastico è stato un devastante alternarsi di sentimenti di speranza e di sconforto, euforia e smarrimento. L'avvicinarsi di settembre per un disoccupato o per chi ha un lavoro precario a tempo indeterminato è uno dei momenti più difficili. Anno dopo anno, ad agosto, fingi di essere in ferie come gli altri: vai al mare, leggi un libro allungandoti sulla sdraio, fai perfino una gita di un giorno. Poi gli altri cominciano a pensare che "uff, si torna al lavoro" e tu non hai mai smesso di pensare - neanche quando provavi a concentrarti sulla trama del più intrigante dei polizieschi - che anche per quest'anno settembre sarà come la ceralacca sul tuo certificato di inutilità. Facciamo al contrario. Ai maniaci sessuali travestiti da bacchettoni che oggi invocano la riapertura delle case chiuse, contrapponiamo invece la chiusura del mese aperto, il più aperto, il più soggetto agli spifferi e perfino ai tornado esistenziali che ti risucchiano e ti scagliano tramortito a chilometri di distanza. Chiudiamolo settembre, chiudiamolo per disoccupazione, così ci eviteremo tutte le minchiate sulla ripresa che, nel gioco delle parti, ci riproporranno politici servi dei padroni, economisti stipendiati dalla finanza internazionale, sindacalisti embedded: la ripresa del lavoro, la ripresa del mercato, la ripresa della ripresa, la ripresa - perfino - dell'autunno caldo. Che non ci sarà, come non c'è stato gli anni scorsi, perché un popolo sfiancato come un condannato rinchiuso dentro una vergine di Norimberga non ce l'ha più la forza di lottare, ma ha un solo desiderio: che il supplizio finisca prima possibile. Preferibilmente prima che arrivi settembre.

sabato 24 agosto 2013

Fischietti rossi

Fra gli esemplari di fauna da solarium c'è un vecchio bavoso che corteggia spudoratamente una signora molto più giovane di lui, incurante dell'indifferenza della sua vittima e della presenza del marito della preda. Pallido come un bruco, con due zampette da pollo e la pancia simile a un cocomero, strabordante e sporgente come un balcone, l'ho sentito presentarsi come consigliere comunale del Pdl e millantare soluzioni di problemi insormontabili, tanto che i suoi vicini di telo loro malgrado (ovviamente il bruco è anche una zecca che gli si appiccica addosso appena li vede) hanno cominciato a chiamarlo "assessore". E lui se lo piglia tutto, gonfiando ulteriormente il suo ventre da rana che vuole diventare bue. Fino ad oggi ho pensato che potesse benissimo essere un mitomane, anche se i "requisiti" per essere un berlusconide c'erano tutti, compreso il baciamano e le barzellette (e i miei conati di vomito), ma questa mattina ho avuto la conferma. A un certo punto, l'ho sentito esclamare indignato: "Nemmeno a mare si può più venire!" E, ai suoi vicini allarmati che gli chiedevano cosa fosse successo, alzando ulteriormente il tono della voce: "I vigili. Ora stanno esagerando". Ci mancava che invocasse punizioni esemplari, ma certamente lo avrà pensato. Ebbene, sì: i vigili stavano facendo il loro dovere cercando di fare rispettare la legge. Roba da attentato alla libertà; roba da far scrivere un pezzo a Giuliano Ferrara contro i "fischietti rossi" che mettono a rischio l'incolumità del "faccioilcazzochemipare"; roba da ipotizzare una legge in base alla quale i vigili non vengono assunti per concorso ma per chiamata diretta da parte di Silvio Berlusconi. Adesso ne ho la certezza: il vecchio bavoso è veramente un consigliere comunale del Pdl.

giovedì 22 agosto 2013

Candidata a mia insaputa

E va bene, vorrà dire che mi farò "giustizia" da me. No, niente paura: non intendo tirare fuori una Colt dalla fondina su musiche di Ennio Morricone. Voglio soltanto ridare ai fatti il loro valore e rendere l'onore che merita alla mia professione sempre più spesso stuprata da chi spaccia le balle per notizie, sia pure nascondendosi dietro il paravento delle ipotesi. Dunque, ieri mattina un giornale on-line locale mi informava - in un pezzo sui possibili candidati catanesi alle prossime elezioni europee - che fra questi ci sarei anch'io. Motivazione? Riporto testualmente (compresa la virgola che separa il soggetto dal verbo e un po' di confusione sui generi): "mentre sul fronte comunista il neo segretario provinciale Patrizia Maltese, appare essere parecchio attiva". Sono andata sulla sezione dedicata ai commenti e (senza dire nemmeno una parolaccia, per la prima volta in 56 anni!) ho scritto: "E io non se sapevo niente? Grazie, ma io sono attiva 'a prescindere' e non per ambizioni elettorali". O qualcosa di simile: non posso riportare esattamente le mie parole perché il mio commento finora non è stato pubblicato. Lo sono stati altri, lasciati nelle stesse ore di ieri, che evidentemente sono stati ritenuti più affidabili del mio (firmato con nome e cognome: che vergogna nell'epoca della delazione e della calunnia!) forse perché scritti nascondendosi dietro un nick. Ora non è che ci sia niente di male nello scrivere un pezzo da ombrellone, giusto per assecondare il cazzeggio agostano, e non c'è niente di male nemmeno ad ipotizzare una candidatura: a parte l'uso dell'indicativo, cioè il verbo della certezza, nella frase "la lunga lista dei catanesi che tentano di conquistare uno scranno per Bruxelles" e a parte che il mio numero lo conoscono tutti i miei colleghi e sarebbe bastato fare una telefonata per verificare la presunta "notizia", c'è di male nell'attribuire un attivismo finalizzato a qualcosa ad una persona "parecchio attiva" fin da quando aveva 13 anni e mezzo; e c'è di male nel non permetterle di smentire. E allora lo faccio qui: ribadisco che sono (per molti stupidamente, mi rendo conto) attiva a prescindere. E aggiungo che l'unica volta che mi candidai fu parecchi anni fa alle elezioni provinciali e la mia fu una candidatura di servizio, cioè per non essere eletta. Può sembrare strano a chi vive di carrierismo, ma è così. Inoltre credo che se proprio uno deve fare carriera politica nelle istituzioni dovrebbe cominciare ad imparare come si fa, partendo dal basso: consiglio di circoscrizione, consiglio comunale, provinciale, eccetera. Ma sono anche convinta che si debba cominciare intorno ai trent'anni e non quando ci si avvicina (a passo sveltissimo, ahimè) ai sessanta. Dunque, sono fuori tempo massimo. Se non bastasse, non ho le caratteristiche del candidato: non mi ricordo mai i nomi delle persone (potenziali elettori); quando uno (altro potenziale elettore) dice una cosa su cui non sono d'accordo o mi sta sulle balle, posso anche decidere, diplomaticamente, di tacere ma la mia faccia - poco diplomatica - ce l'ha scritto in faccia quello che penso; se uno (come sopra) fa qualcosa che reputo eticamente riprovevole, gli tolgo il saluto senza fermarmi un attimo a pensare alla quantità di voti che sto perdendo. E poi c'è un'altra ragione - raccapricciante per i cinici - che mi impedisce di fare qualcosa che mi faccia rischiare di stare lontano da casa per più di mezza giornata (altro che Bruxelles!). Questa ragione si chiama Ernesto ed è il mio gatto diciottenne, da due anni malato di cuore, al quale devo dare tutti i giorni la medicina per farlo vivere ancora. Perché ho quest'idea "perversa" dell'assunzione di responsabilità, non importa se verso un figlio, un partito o un gatto. Comunque, se dovessi (malgrado l'età) candidarmi a qualcosa sceglierei sicuramente la circoscrizione: perché mi piace stare in mezzo alla gente, parlare con la gente, sentirmi raccontare i suoi problemi, condividerne le preoccupazioni, essere gente in mezzo ad altra gente. E Bruxelles tutto mi ispira, tranne che vicinanza alla gggente. Senza contare che il mio partito al momento ha una forza elettorale tale da non poter candidare nessuno nemmeno all'assemblea di condominio. Ecco, se me l'avessero permesso l'avrei spiegato. Ma hanno preferito dare spazio al sensazionalismo dei portatori di nickname, a titoli gridati e puntini di sospensione a non finire.

mercoledì 21 agosto 2013

Un tossico mancino che si faceva con la mano destra

E' un caso di scuola: nei romanzi gialli, ma anche nelle indagini vere, se una coltellata assassina è stata inferta con la mano destra, il presunto omicida viene scagionato immediatamente appena si scopre che è mancino. Del resto, chi è solito usare una mano sola lo sa bene che l'altra è poco più di un pezzo di carne inutile: ci puoi sollevare un sacchetto della spesa, ma non certo fare un lavoro di precisione, non colpire un uomo a morte e nemmeno infilarti una siringa di eroina. A quanto sembra però questa regola non vale per il mancino Attilio Manca. I suoi genitori e suo fratello da anni cercano di dimostrare che l'urologo fu ucciso dalla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto per eliminare il testimone diretto della presenza di Bernardo Provenzano in una clinica di Marsiglia. Costretto ad operare il boss alla prostata, secondo i familiari, e poi fatto fuori con la messinscena della siringa nel braccio. Nel braccio sinistro. Ma oggi un giudice ha deciso che Attilio Manca era soltanto un tossico e, come se non fosse sufficiente, a suggello della sua teoria ha prosciolto i cinque barcellonesi accusati dell'omicidio condannando invece una donna romana accusata di avergli ceduto la droga. Mi hanno insegnato che le sentenze non si commentano, ma stavolta mi viene difficile. Perché se c'è un'eccezione per un mancino contorsionista che si può fare da sé un'iniezione nel braccio sinistro (e che ha anche il tempo, prima di morire, di cancellare le proprie impronte dalla siringa) forse si può fare un'eccezione all'essere comunque dalla parte della magistratura e pensare che questo giudice, anche concedendogli il beneficio della buona fede, possa avere sbagliato. Sarebbe cecità molesta. Come lo sarebbe pensare che lo Stato o una parte di esso non tratti con la mafia o non la favorisca in qualche modo, anche soltanto per inettitudine. Che però diventa colpa grave quando, appunto, sei lo Stato e non un comune passante. E la rabbia diventa incontenibile perché oggi, nello stesso giorno in cui un giudice ha condannato come tossico Attilio Manca, un altro pezzo dello Stato - quella Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che dovrebbe essere uno degli avamposti della lotta alla mafia e nelle cui mani è custodita l'applicazione della legge voluta da Pio La Torre - ha fatto un favore ai boss mettendo in vendita la tenuta di Suvignano, oltre 700 ettari nel comune di Monteroni, in Toscana, che la Regione qualche anno fa si era impegnata a recuperare e utilizzare a fini sociali. Ma lo Stato ha deciso diversamente: bisogna fare cassa e vendere al miglior offerente. E chi potrebbe offrire di più se non l'azienda italiana con il maggior fatturato?

Terra promessa o Likud?

"Però, però, io sono come Tommaso e non ci credo finché non ci metto il naso", faceva il ritornello di una canzoncina dello Zecchino d'oro quand'ero bambina. What's the matter? The matter è quella gabbia di matti chiamata Pd: da giorni si affannano e fanno a gara a chi lo dice più volte al giorno che faranno decadere da senatore il pregiudicato principe degli evasori fiscali. Però io finché non lo vedo, non ci credo. Lo ripetono come un mantra, come la formula magica che dovrebbe d'incanto risolvere un problema insormontabile. Come quando ripeti mentalmente all'infinito le cose da non dimenticare assolutamente mentre vai a fare la spesa ma poi arrivi al supermercato e non te ne ricordi nemmeno una. O come quando qualcuno tira fuori con larghissimo anticipo il nome dell'unico candidato in grado di risollevare le sorti di un partito o di un Paese ma il risultato è quello di bruciarlo. Gabbia di matti o animali in gabbia, tigri da circo possenti e imponenti ma private della libertà, che si aggirano nervosamente dentro la loro prigione, di tanto in tanto si azzuffano fra di loro, prendono a testate le sbarre, ma non sanno come uscirne. E in realtà, diversamente dagli animali da circo, loro da quella prigione chiamata potere non sembrano avere nessuna voglia di uscire. Tanto che il chierichetto Enrico, ancora sotto l'influsso del meeting di copulazione, corruzione e masturbazione, fingendo di parlare al Pdl perché nuora intenda, usa parole che più cattoliche non si può: "Dare la spallata al governo, proprio adesso che la terra promessa dell'uscita dalla crisi è a portata di mano, sarebbe paradossale". In effetti, dalla crisi non sembra si uscirà e non certo perché cade un governo inutile, ma è probabile che si arrivi a un unico, indistinto Likud. A meno che Letta non si riferisse alla Terra promessa di Ramazzotti: "Siamo ragazzi di oggi, pensiamo sempre all'America"...

sabato 17 agosto 2013

A Sharm come nella casa del Grande fratello

C'è - come in ogni tragedia - un aspetto divertente anche in questa guerra egiziana che uccide migliaia di persone e infligge ferite forse non sanabili a biblioteche cariche di storia. E' la prigionia dei forzati della vacanza: gli italiani medi e mediocri, quelli che Sharm El Sheik la chiamano confidenzialmente Sharm per fare capire che ci vanno con la stessa frequenza con la quale io vado da Catania ad Acicastello. Prima la Farsesina ha cominciato a dirgli di non allontanarsi troppo; ora gli hanno spiegato che è meglio se restano chiusi nei resort. Come in una sorta di contrappasso dantesco, ominicchi e donnicciuole da film dei Vanzina, che non vedono al di là del loro villaggio turistico e ai quali della biblioteca di Alessandria non importa una mazza, sono condannati al Grande fratello: segregati nella "casa" per accedere alla quale si sono indebitati per i prossimi undici mesi, al termine dei quali andranno nuovamente a chiedere un prestito ad una finanziaria per recarsi ancora una volta a "Sharm" del quale forse non sanno nemmeno che si trovi in Egitto. Perché lo charme di "Sharm" è "Sharm", capitale della burinitudine, e chi se ne frega se Al Cairo la gente muore a grappoli. C'è una cosa che non mi è chiara, però, essendo una che va solo da Catania ad Acicastello: quando sarà il momento di ripartire, essendo sconsigliato tassativamente di uscire dal resort, l'aereo atterrerà direttamente sul villaggio turistico e se li riporterà in Italia ancora in costume da bagno?

martedì 13 agosto 2013

Bastardo

Mi dispiace che ti sei sparato, bastardo. Hai ucciso tua moglie davanti al vostro bambino di quattro anni. Il tuo egoismo e il tuo odio (no, non è amore uccidere la donna che ti vuole lasciare: amore sarebbe stato lasciarla andare, restituirle la vita) ti hanno accecato al punto da non porti nemmeno il problema di quello che si porterà dietro tuo figlio finché vivrà. Perché non c'è un'età e non ci sono psicanalisti che tengano per cancellare un trauma come quello di vedere il proprio padre che uccide o anche tenta soltanto di uccidere la propria madre. E quel bimbo l'ha visto talmente bene da dare lui l'allarme, con la lucidità di un cinquantenne: "Papà ha ucciso la mamma". Conosco gente adulta che se le porta dietro da sempre quelle immagini e mi dispiace che ti sei sparato, bastardo. Avresti dovuto vivere fino a quasi novant'anni e sapere che l'unica cosa che ha pensato tuo figlio o tua figlia al momento della tua morte è stata: "Adesso non potrà più farle del male". Avresti dovuto vivere fino a quasi novant'anni ed essere roso dal rimorso di avere ucciso, insieme a tua moglie, anche tuo figlio di quattro anni. Ma sei un vigliacco e ti sei sparato. Mi dispiace che ti sei sparato, bastardo, perché avresti dovuto vivere fino in fondo, nella merda, la tua vita di merda. E sapere che tuo figlio avrebbe preferito essere un bastardo, piuttosto che avere un padre come te.

giovedì 8 agosto 2013

Il genio dell'ipod

Caro Francesco, sono giorni che ci penso e te lo devo dire: l'altro giorno hai detto un sacco di cazzate, con tutte quelle menate sulla sinistra in cui non ti ritrovi, i No Tav, i ciclisti e la decisione di non votare più. Roba da pestarti a sangue incontrandoti per strada (e magari ti schermiresti: "Guarda che non sono io"...). Come spesso capita ai vecchi (invecchiati) borghesi di sinistra, hai sciolto le briglie e lasciato che il vecchio reazionario cresciuto silenziosamente in te corresse libero come l'aria. Senza preoccuparti del male che può fare fra la folla un anziano cavallo imbizzarrito. Avevo deciso di chiudere definitivamente con te. Ma stamattina devo avere sfregato il mio ipod un po' troppo energicamente e ne sei uscito tu. Insieme a oltre quarant'anni di vita. Uno dei (pochi, ahimè) ricordi belli del mio ex matrimonio: un viaggio da Catania a Reggio Calabria in treno (e in terza classe si viaggia male, fidati) per ascoltare te e Lucio Dalla in Banana Repubblic. Voi dentro lo stadio a suonare; noi squattrinati fuori, con le orecchie incollate al muro dello stadio ad acchiappare al volo le note e farci un concerto self-made. Poi un altro stadio: quello di Letojanni, con mio figlio piccolissimo (doveva essere l'82) che ballava sul prato. E qualche anno fa alla Favorita di Palermo: eravate in quattro a raccontarmi la mia vita quella volta. In quell'occasione - in uno scenario ormai da sinistra irrimediabilmente rosée - qualcuno mi disse: "Sei stata una dei pochissimi coraggiosi". Coraggiosi, disse proprio così. Cos'avevo fatto di così eroico? Niente di speciale. Io sono come il cane di Pavlov: appena sento "l'Italia che resiste", sollevo il pugno chiuso. Esco allo scoperto irresistibilmente come Roger Rabbit con "ammazza la vecchia". E tu oggi non mi puoi venire a raccontare che "sono tutti uguali" e non mi convincerai a restare chiusa dentro casa quando viene la sera, ma non riuscirai nemmeno a farmi recidere il mio legame con te. In fondo tu per me sei come mia madre. Anche lei è una vecchia reazionaria, con la differenza che la sua non è soltanto una condizione anagrafica, ma congenita: dice di essere di sinistra, ma è da sempre oggettivamente fascista. E io da sempre - almeno da quando ho acquisito la ragione - la mando affanculo tutti i giorni tre volte al giorno. Però poi sfrego qualcosa e lei si materializza come il genio della lampada; così come ti materializzerai tu ogni volta che sfregherò l'ipod.

lunedì 5 agosto 2013

L'ombra

"Mi segue sempre dalle vetrine dei negozi, sparisce nei muri, riappare, mi perseguita, mi bracca, ma non so chi sia. Non so di chi siano quegli occhi al buio. Non so di chi siano quelle labbra spioventi. Non so cosa voglia dirmi e se veramente vuole dirmi qualcosa o soltanto darmi il tormento. Non so cosa voglia da me. Se solo bastasse un sasso per mandarla in frantumi!" La sconosciuta era lì, sempre più spesso. Le camminava accanto, un passo lei e un passo l'altra; lei si riavviava i capelli con la mano, l'altra si riavviava i capelli con la mano; lei abbassava leggermente gli occhiali per leggere qualcosa, quell'altra le faceva il verso. Una stalker. Insopportabile, fastidiosa, irritante e terrificante. Non riuscire a liberarsene le provocava un senso di smarrimento. C'era solo una differenza fra loro due: lei non aveva ancora quarant'anni e aveva un gran voglia di amare, baciare, ballare, partire; quell'altra era una novantenne che puzzava di morto. E, malgrado ciò, la seguiva tenendosi al passo con l'andatura veloce della più giovane. Un'ombra con occhi, naso e labbra. "Forse dovrei ignorarla", pensò, "magari si stufa e se ne va". Cominciò a camminare guardando dritto davanti a sé, senza mai voltarsi verso le vetrine. Ma sapeva che era lì, avvertiva il suo sguardo ossessivo, riusciva a sentirne quell'orribile puzzo di cadavere. La nausea montava come una marea e stava per travolgerla. A un certo punto, aveva pensato persino di non uscire più di casa, barricarsi dentro pur di non vederla più. Ma non voleva dargliela vinta. Dentro si sentiva in trappola, fuori si sentiva braccata. Stavano rifacendo la pavimentazione nella strada che percorreva ogni giorno e per terra c'era una montagna di sanpietrini. Si sforzava di concentrarsi su quei lavori quando si girò verso una vetrina e la rivide, si spostò all'altra vetrina e lei era sempre lì e così davanti ad ogni vetrina: un passo lei e un passo l'altra; lei si riavviava i capelli con la mano, l'altra si riavviava i capelli con la mano; lei abbassava leggermente gli occhiali per leggere qualcosa, quell'altra le faceva il verso. Denunciarla? Nessuno le avrebbe dato retta. D'un tratto si mise a correre, raccolse tutti i cubetti di porfido che poteva e spaccò le vetrine una per una. Era finita. Non c'erano vetrine in quel posto dove la portarono, ma soltanto sbarre. E le sembrò un sollievo.

sabato 3 agosto 2013

S'i fossi foco

Io per un giorno vorrei essere il comandante dei vigili urbani della mia città per disporre il sequestro e la rottamazione immediata di auto posteggiate in seconda fila, sui marciapiedi, sugli scivoli per i disabili, sulle piste ciclabili. Con particolare attenzione ai suv degli evasori fiscali. Io per un giorno vorrei essere il Direttore generale della Rai per licenziare tutti i leccaculo e i raccomandati (sì, lo so: non ne resterebbe nessuno, ma forse si potrebbe ripartire da lì). Io per un giorno vorrei essere eletta presidente di un consiglio comunale, provinciale o di quartiere, per provare la soddisfazione di non pronunciare quell'ipocrita frase del cazzo - "Sarò il presidente di tutti" - e dire invece: "Non sarò il presidente di tutti: sarò il presidente di quanti si comporteranno correttamente, ma sarò acerrima nemica di quanti, a prescindere dalla collocazione politica, cercheranno di fare intrallazzi, porcherie e inciuci". Io per un giorno vorrei essere il Presidente della Repubblica per accogliere Berlusconi o chi per lui, quando verrà a chiedere la grazia, prendendolo a calci in culo fino a Palazzo Grazioli. Dev'essere per questo che io non sarò mai nemmeno per un giorno comandante, presidente di un consiglio comunale, direttore della Rai o Presidente della Repubblica. S'i fossi foco... ma voi siete voi e io non so' un cazzo. E preferisco così.

giovedì 1 agosto 2013

Senza respiro

Sì, certo, morire a ottant'anni è normale. Non lo è se gli ultimi quaranta hai avuto una vita di merda, soffrendo come un cane. L'asbetosi a F. - che per 15 anni ha scaricato sacchi di amianto alla Sacelit di San Filippo del Mela, addetto alla produzione di tubi di eternit - l'hanno diagnosticata quando era un giovane uomo nel fiore della vita. Certamente più usurato di un coetaneo che insegni all'università o lavori in un ufficio, ma comunque uno che ha diritto di pensare al futuro come a una cosa bella. F. è morto ieri a ottant'anni e i suoi ex colleghi di lavoro hanno raccontato che gli ultimi dieci erano stati per lui anni d'inferno, durante i quali ha avuto come compagne di vita le bombole di ossigeno perché la malattia non lo faceva respirare. E toglie il respiro dover pensare, ancora una volta, che per lavorare devi morire. Per vivere devi morire. E toglie il respiro dover pensare che chi l'ha ammazzato forse, se tutto va bene, si beccherà solo qualche anno di galera. Mentre dovrebbero chiuderlo a vita in una fabbrica di eternit, senza pietà con un tubo in bocca a farlo nutrire soltanto di fibre di amianto.