mercoledì 11 maggio 2016

Sono tornati i cucchiai d'oro


La prima cosa che ti colpisce guardando una foto è la collezione di crocifissi che campeggia sul petto - come da copione villoso - e il suo patetico aspetto da play-boy di provincia. Il piissimo Giovanni Cocivera, dirigente del reparto di Ginecologia dell'Ospedale Piemonte-Papardo di Messina, nonché ex consigliere comunale del Pdl allegramente transitato al Pd che lo ha candidato alle ultime elezioni amministrative perché i voti della Sanità in Sicilia sono tanti e non puzzano (e, anzi, se non puzzano non se li prendono), è uno dei due medici arrestati oggi con l'accusa di avere praticato aborti clandestini. L'altro è Giuseppe Luppino, primario di Anestesia nella stessa struttura ospedaliera. Secondo la procura, con l'abusato stratagemma dei tempi lunghi delle strutture pubbliche, i due convincevano le donne che avevano bisogno di abortire a farlo in uno studio privato, quindi a pagamento, che - come se non bastasse - faceva schifo ("in ambienti privi dei requisiti igienici", scrivono i giornali) e per di più usando farmaci che venivano dall'ospedale.
Cucchiai d'oro li chiamavamo ai nostri tempi questi medici da strapazzo facevano i soldi sulla pelle delle donne (che spesso la pelle ce la lasciavano in seguito ad un aborto praticato da qualche macellaio in qualche letamaio) e noi rivendicavamo una legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, arrivata poco meno di quarant'anni fa.
Ecco, la prima cosa che ti viene in mente è che abbiamo fatto un triplo salto mortale all'indietro di quarant'anni e per un attimo pensi che le nostre battaglie sono state inutili. Perché poi hanno trovato il trucchetto dell'obiezione di coscienza: medici tutti casa e chiesa in pubblico; tutti soldi a palate (sporchi di sangue) in privato e chi se ne fotte della coscienza. A Messina, a quanto sembra, su venti medici diciotto sono obiettori; in quasi tutte le regioni italiane gli obiettori superano l'80%, con rarissime eccezioni. I cucchiai d'oro sono tornati, o forse non se n'erano mai andati.
L'ho pensato anch'io, l'ho pensato ed è perfino legittimo con questi numeri pensare per un attimo che le nostre battaglie siano state inutili. Ma solo per un attimo, perché una sana incazzatura è molto meglio della rassegnazione. È solo che, in questo caso come in quelli dei politici che ci rubano la vita (e spesso, come si vede, coincidono), preferiresti che non fossero i giudici a cacciarli via ma un popolo consapevole.

martedì 3 maggio 2016

Questione di desinenze e di potere


Avete presente Qui, Quo e Qua? Ecco: io ho un amico non immaginario, una specie di alter ego, con cui siamo talmente in sintonia che pensiamo una cosa, ce la trasmettiamo telepaticamente e forse persino geneticamente, muoviamo le labbra e la diciamo all'unisono con le stesse parole e persino con la stessa punteggiatura, ciascuno di noi ventriloquo dell'altro.
Però c'è una cosa su cui proprio non riusciamo a metterci d'accordo ed è la mia ostinazione a voler declinare al femminile le professioni esercitate dalle donne. Ogni volta è una battaglia e lui, che pure non mette in discussione il termine femminicidio e la sua valenza di genere (come invece fa questo stronzo del mio computer che me lo segna in rosso) e che è molto politicamente corretto, perde la bussola. Stamattina, per esempio, io ho pronunciato la parola "architetta" e me lo sono subito detto da me che non si può sentire con tutti gli sbavamenti fantozziani che il termine può suscitare in una mente maschile, ma lui non si è lasciato sfuggire l'occasione per ribadire la sua idea: "Lo vedi quanto può essere idiota questa presa di posizione... Inutile tra l'altro". Gli ho detto che può essere inutile per lui e - sottinteso - i pochissimi altri cresciuti a pane e femminismo, ma è indispensabile per farlo entrare in zucca a tutti quelli che pur di negare dignità e parità alle donne si taglierebbero le palle a cui tengono tanto, palle che nel loro retropensiero occorrerebbero ad una donna per assurgere al rango di ministro, con la "o"; oppure che sfidano il ridicolo e persino le leggi della natura affermando che "il ministro è incinta". Quindi, se tanto mi dà tanto, "incinto", come Marcello Mastroianni con annesse nausee e doglie in una commediola francese degli anni Settanta.
Il mio amico mi ha chiesto di scrivere qualcosa ed è per questo che cincischio da un po' su questo foglio cercando di fare un discorso articolato per non ripetere le cose che dico sempre e cioè che per certi mestieri considerati minori - maestra, infermiera, segretaria - a nessuno ormai verrebbe in mente di negare la desinenza al femminile, mentre sulle professioni "superiori" si esercita una sorta di censura: un modo come un altro per negarne l'esistenza. In fondo, a pensarci bene, è l'altra faccia della medaglia del discorso sulla mafia: chi ne nega l'esistenza, lo fa per farci affari ed esercitare il potere proprio grazie alla sua esistenza; chi invece nega l'esistenza di una professione declinata al femminile, lo fa per non perdere potere. Sempre questione di potere è. E quindi dovresti essere d'accordo con me. Per quanto poi certe ministre che ci sono capitate in sorte negli ultimi tempi, appunto per il modo prevaricatorio e classista con cui esercitano il potere, meriterebbero di essere chiamate ministri.
E comunque mia nipote è architetta, fatevene una ragione e smettetela di sbavare. E Qua si chiama Qua anche se è un maschio.

domenica 1 maggio 2016

Io mi chiamo G


La signora G., anzianeggiante segretaria in uno studio medico - laddove l'anzianeggiare è condizione mentale più che anagrafica -, scrive al computer alla velocità del bradipo. Monodattilo per la precisione. Il medio, per la precisione. E non sono del tutto sicura che la scelta non sia dovuta all'odio per quello strano strumento che si è intrufolato contro la sua volontà nella sua vita catalettica. Con la meticolosità di un antico viaggiatore su una carta nautica, lei scruta attentamente per un tempo indefinito l'orizzonte della tastiera, individua la lettera, la punta dall'alto come farebbe un rapace con la sua preda e alla fine, zac, la colpisce con l'unghia. Tralascio che fra una lettera e l'altra passa un tempo snervante, che neanche alla moviola e neanche in un parlamento anglosassone in pieno filibustering, e passo direttamente al punto. Il punto è che due giorni fa la signora G. si metteva a sbuffare e urlare tutte le volte che squillava il telefono ed era tutto un rincorrersi di "basta!", "non ce la faccio più!", "non ne posso più!", come se a telefonare fosse uno stalker e non i pazienti dello studio medico. E francamente io, che anche quando facevo un lavoro che non era il mio e non mi piaceva cercavo di sorridere e comunque di essere gentile, avrei voluto ricordarle che rispondere al telefono rientrava fra le sue mansioni e che avrebbe dovuto baciare la cornetta del telefono e quel computer che odia e la sedia su cui sta seduta perché lei un lavoro ce l'ha. Ma a un certo punto non sapevo più da che parte stare.
Perché in fondo quel giorno (ma solo quello) la signora G. un po' di ragione l'aveva, dal momento che quasi tutti quelli che telefonavano - interrompendo il faticoso, tormentato e accidentato tragitto del dito verso la tastiera e costringendola a ricominciare tutto dall'inizio - lo facevano per chiedere un certificato medico che giustificasse un arbitrario e anticipato ponte per la festa dei lavoratori. Magari sono gli stessi che il lavoro lo hanno avuto leccando il culo - non per stringente necessità ma per congenita vocazione zerbinesca - a qualche politico o garantendogli i voti della famiglia fino alla settima generazione e che sbuffano ogni mattina perché "devono" andare a lavorare. Ecco, io che - come ormai la maggior parte in Italia - al lavoro ci vorrei andare e ci andrei (e ci andavo, in effetti) anche con la febbre a 40, auguro a tutti un buon primo maggio. Ma non a tutti allo stesso modo: a quelli che al lavoro ci credono, ai precari, a chi lavora qualche ora "grazie" al caporalato dei voucher e poi si prende un calcio in culo, a chi viene licenziato perché non si piega, a tutti questi un abbraccio circolare. Agli altri invece, a quelli che hanno ottenuto il lavoro svendendo il proprio voto e il proprio cervello, a quelli che una volta erano dalla parte dei lavoratori e adesso occupano un posto di potere per avere svenduto il lavoro e averlo privato dei diritti, ai mafiosi e a quelli che passeggiano sottobraccio ai mafiosi che ci tolgono il sole e la terra, vorrei rivolgere un gesto tangibile del mio apprezzamento nei loro confronti: un gesto amorevole come quello che la signora G. rivolge ai tasti del suo computer. Con la stessa lentezza, così lo vedete bene:  F   U   C   K     Y   O   U.