martedì 30 aprile 2013

Io ho fatto più pratica

Quattro volte di più in un decennio: questo decennio, quello della crisi globale e vorticosa che ti risucchia come le sabbie mobili. Nel 2000 in Italia le persone che usavano farmaci antidepressivi ogni giorno erano 8,18 su 1000; nel 2011 sono diventate 36,1 su 1000 e, secondo gli esperti, “il trend dell’utilizzo dei farmaci antidepressivi difficilmente vedrà un’inversione di tendenza”. E poi ci sono i suicidi "per motivi economici": negli ultimi quattro anni sono aumentati del 20-30%. Gli antidepressivi - spiega uno studio (il Rapporto Osservasalute 2012) diffuso all'indomani della sparatoria davanti a Palazzo Chigi - "vengono prescritti non solo per curare la depressione ma anche per affrontare le difficoltà, la crisi, l'ansia del domani". E c'è un particolare, che certamente non ci aspettavamo essendo le aree "depresse" per antonomasia (e quelle dove la disoccupazione sembra ormai irreversibile) quelle meridionali: a fare maggior uso di farmaci contro la depressione sono gli abitanti delle regioni più ricche, Piemonte e Toscana. Sarà che "Basta ca ce sta 'o sole,/ca c'è rimasto 'o mare" per farci sentire meno il peso della disperazione? No. Certamente no. Forse a spiegare come siamo noi del Sud serve "Come eravamo", con uno dei suoi dialoghi più significativi: - Tu non molli mai, eh?
 - Solo quando ci sono proprio obbligata. Però so perdere molto bene.
 - Meglio di me…
 - Io ho fatto… più pratica.

lunedì 29 aprile 2013

Porastella

Porastella. Nicole Minetti dice che non sta passando un bel periodo, che le manca il lavoro (lavoro?) e che potrebbe decidere di tornare a fare l'igienista ment... pardon, dentale. "Ho 28 anni e vedo la mia vita rovinata - ha detto in un'intervista a "Chi" -. La mattina mi sveglio e non so che cosa fare. Mi manca avere la testa occupata, mi manca il fatto di potere lavorare". Cara signora "rifattona" (come lei stessa ammette di essere), lo vada a dire a quel signore che di anni ne ha 49, che veramente un lavoro (e nemmeno un vitalizio per grattarsi i coglioni) non ce l'ha e che ieri per la disperazione si è messo a sparare come un pazzo contro due carabinieri incolpevoli. Prenda esempio da lui, si procuri una pistola e spari. Anzi, si spari. Magari la fanno curare da un'igienista mentale.

domenica 28 aprile 2013

Terrorista collettivo

C'è chi l'ha definito psicopatico, chi terrorista, chi demente (qualcuno, probabilmente, che si stava guardando allo specchio ed è stato preso da un raro momento di sincerità verso se stesso). Forse Luigi Preiti, muratore disoccupato, era "soltanto" disperato: talmente disperato da non aver il coraggio di ammazzarsi da solo e da sperare con quella sua provocazione/supplica - "Sparatemi, sparatemi!" - che fossero i carabinieri a farlo. Forse non ce l'aveva con i carabinieri, lavoratori sottopagati, tutti e due meridionali come lui, ma in loro aveva individuato qualcuno armato che potesse avere più coraggio di lui ad usare un'arma. Perché quando perdi il lavoro e poi perdi tutto il resto - tutto concatenato: la dignità, la famiglia, la speranza di risollevarti, la voglia di risollevarti - è una sola la cosa a cui pensi e cambia soltanto la modalità. Luigi Preiti - che, per quella che sperava essere la sua ultima apparizione in pubblico, si era messo il vestito buono - forse è soltanto l'ultimo di una lunga serie di disoccupati suicidi e aspiranti suicidi, vittima di una strage infinita compiuta da un terrorista collettivo che ti toglie il lavoro, la dignità, la famiglia, la speranza. Si è messo il vestito buono mentre quegli altri, che di vestiti buoni ne hanno tanti e fanno sfoggio di lusso senza alcun pudore, erano a pochi passi da lui - separati da spessi muri e arazzi preziosi dal resto del mondo - a spergiurare sull'articolo 1 della Costituzione.

domenica 21 aprile 2013

Solipsismo democratico

I dirigenti del Pd usano Facebook come i cani usano la strada: si fermano, depositano la loro cacca e se ne vanno, come se la cosa non li riguardasse più. Ho fatto un giro per i loro profili - Finocchiaro, Bersani, Letta, Franceschini - e la sonata è sempre la stessa, di una monotonia e di un'inutilità incommensurabili: scrivono (loro o chi è pagato da loro per prostituire il proprio cervello) una cazzata insignificante e se ne vanno, dimenticando che Facebook è un'agorà, un luogo dove ci si incontra e si discute, si interloquisce, accettando anche opinioni contrarie e rispondendo. Loro no: passano, depositano e non si preoccupano nemmeno di vedere di nascosto la puzza che fa. Semplicemente, fascistissimamente, se ne fregano. Del resto, la sintesi l'ha fatta qualche giorno fa la Finocchiaro (non nuova a sortite sprezzanti nei confronti della gente, come quella sulle bidelle) che, di fronte agli elettori del Pd che manifestavano per sostenere la candidatura di Rodotà alla presidenza della Repubblica, infastidita, prima ha chiesto "Non so che cosa vogliano questi signori" e poi, rispondendo a un giornalista che le faceva notare come quella fosse la base, ha aggiunto: "La base? Non l'ho sentita". Non l'ha sentita e non l'ha ascoltata se sulla sua pagina non solo ha scritto una serie di cazzate in fila - "Sono felice per la rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica. La sua riconferma al Colle è la certezza che il Paese saprà ritrovare, in questo difficile momento, la strada per quella rinascita che merita. Il suo rigore, la sua autorevolezza e la sua assoluta fedeltà alle istituzioni della democrazia e alla Carta costituzionale costituiscono una garanzia assoluta per tutti gli italiani" -, ma non si è degnata di rispondere neppure ad uno dei commenti. Che, tutti (e i più arrabbiati proprio da parte di ormai ex - per fortuna - elettori del Pd), la invitavano a vergognarsi e ad avere "la decenza di stare zitta", le riconoscevano "di aver sempre avuto una faccia paragonabile al suo fondo schiena, quindi in tutto questo casino, è una di quelle che mi ha stupito meno" e qualcuno evocava Berlinguer che, "a furia di rivoltarsi nella tomba, penso che a quest'ora sia in Australia". Ma lei niente, neppure un movimento involontario di un muscolo facciale. E, anzi, in un altro post solipsista, definisce Giorgio Napolitano "la personalità politica più amata e rispettata dai cittadini italiani", tanto che qualcuno si chiede se sia "completamente fuori di testa" o "completamente distaccata dalla realtà". In un iperuranio senza idee anche Bersani, secondo il quale "l'elezione di Giorgio Napolitano è un risultato davvero eccellente che parla da sé". Esticazzi, verrebbe da dire, se non fosse che a sintetizzare perfettamente ci pensa uno dei tanti post di protesta: "C'ho 40 anni e da 22 voto per voi. Ora basta. Mi avete fatto vergognare delle seguenti cose: 1. Aver convinto amici e colleghi a non disperdere il voto a sinistra. 2. Di essere stato un vostro ingenuo elettore. 3. Di essere italiano. Neanche berlusconi c'era riuscito. Complimenti. Ps. Col c.... che vi rivoto". Eppure, col cazzo che tutti quei "vaffanculo" e "avete la faccia come il culo" li inducano a una seppur fievole forma di autocritica. Sentite Franceschini: "A mangiare in una trattoria. Passano centinaia di grillini che mi vedono, mi filmano, mi insultano. Mi sono scusato con gli altri clienti". E poi l'apoteosi con Letta: "Grazie a Napolitano e al suo senso di servizio alle istituzioni. Ma la vergogna dei traditori di questi giorni è indelebile". Traditori? Chi li accompagna a fare i loro bisogni è pregato di armarsi di paletta e sacchetti e portare via gli escrementi dalla nostra piazza. Il più lontano possibile dalle nostre vite e dal nostro Paese.

giovedì 18 aprile 2013

Femminicidio, come un'esecuzione mafiosa

Ho sentito qualcuno dire che il 130° femminicidio circa dall'inizio dell'anno (non è una cifra esatta, perché l'andamento è così veloce da non riuscire a tenere il conto e ad aggiornarlo, e anche questo dà la misura di una tragedia incommensurabile come una guerra o uno di quegli attentati devastanti dei quali non si riesce mai a quantificare il numero delle vittime), quello di ieri ad Ostia, ha avuto le stesse caratteristiche degli altri. In realtà non mi pare. L'antefatto, gli antefatti, sicuramente: con tutte quelle denunce per maltrattamenti prese sotto gamba e per le quali forse, una volta per tutte, bisognerebbe prevedere qualche forma di punizione per chi le sottovaluta. Come un altro antefatto può essere rappresentato dalla professione del femminicida: una guardia giurata che, come spesso accade, ha usato la propria arma per tutt'altra ragione per la quale la deteneva. E anche in questo caso, forse, bisognerebbe riflettere sulla formazione professionale di chi, avendo in pugno una pistola, ha anche in pugno la vita degli altri. Le modalità però sono, se possibile, più raccapriccianti. In pratica, un'esecuzione mafiosa: l'inseguimento in auto fra le auto sulla via Ostiense, lui che l'affianca più volte come in un film e poi spara attraverso il finestrino sei colpi fino ad ucciderla. Sei colpi, non uno o due. Come in un'esecuzione mafiosa, appunto: la vittima designata deve morire, perché ti pagano per questo e, soprattutto, perché altrimenti il prossimo morto sei tu. Ma qui non c'è denaro da guadagnare e non c'è un altro killer pronto ad ammazzare te se fallisci: qui - come in ogni femminicidio - c'è odio, una quantità impressionante di odio. E una quantità spaventosa di indifferenza che diventa correità.

Franco I e Franco IV

Ma Bersani si è fatto pagare per fare tutto questo oppure, come Bocca di Rosa, lui lo faceva per passione? Ha accusato Ingroia di voler favorire Berlusconi e poi ha fatto fuori Rivoluzione civile e ridato linfa al vecchio pedofilo richiudendosi con lui in uno studio (ovale?) a prendere ordini. Ha accusato Renzi di fare il gioco di Berlusconi ed è finita che oggi Renzi appare molto meno odioso di quanto effettivamente sia e soltanto perché non puoi non dargli ragione quando boccia Marini (e la Finocchiaro) come inciucio. Con Grillo non ha voluto nemmeno parlarci e il risultato, oggi, è un comico miliardario (che, comunque, è sempre meglio di un miliardario comico) che fa la figura del grande statista per avere avuto l'intelligenza di appropriarsi di un nome come quello di Rodotà, che era nell'aria e nella rete. E in un colpo solo ha fatto strike, atterrando l'Italia, la democrazia, la (questione) morale, la sinistra, il centrosinistra e il suo partito. Un colpo da maestro, niente da dire. Con la benedizione, naturalmente, di santa romana chiesa. Da Francesco I a Franco I il passo è breve. Ora aspettiamo Franco IV. Ho scritto merda sulla sabbia.

lunedì 15 aprile 2013

Pipì stabile e sicura

Sono sicura che se decidessi di avviare una raccolta di firme a sostegno della legge di iniziativa popolare che ho in mente, ne otterrei una quantità infinita: certamente quelle di tutte le donne alte meno di un metro e sessanta. Una giustissima causa, dal momento che a ciascuna di noi è capitato - senza distinzione di razza, di lingua, di religione o di opinioni politiche - di dover esercitare il diritto costituzionale alla pipì usufruendo delle toilettes di un bar. Ora, il fatto è che già prima (cioè prima che, giustamente, una legge imponesse di adeguare i bagni per i portatori di handicap) eravamo costrette a farla all'impiedi per evidenti ragioni igieniche, ma ora la situazione si è aggravata. Molti proprietari di bar, infatti, per nulla intenzionati a spendere un centesimo in più del minimo indispensabile, non è che hanno aggiunto il wc per i disabili, no: hanno accorpato tutto, eliminando persino la distinzione fra "signore" e "signori", in un unico cesso alto quanto un grattacielo. Con la conseguenza che tutte noi al di sotto (o molto al di sotto, come nel mio caso) del metro e sessanta, non essendo munite di prolunga, oltre che all'impiedi siamo costrette a stare in punta di piedi che non ci riuscirebbe nemmeno Carla Fracci. Risultato? Io faccio un balletto strano: chiedo dove sono le toilettes, entro, constato l'impossibilità di scalare l'Everest, torno sui miei passi, saluto ed esco contorcendomi esattamente come quando ero entrata. Ma dico, già andare in un cesso pubblico non è che sia particolarmente esaltante e ci vai solo se ti scappa, in più ti devono punire? Cos'è, una specie di scuola di sopravvivenza? E alla fine - se sei riuscita a farla in piedi, in punta di piedi e pure facendo centro - cosa vinci, una pipì da seduta sul wc più pulito del mondo? In attesa che qualcuno mi chiarisca qual è il premio, io comincio la mia battaglia: per una pipì stabile e sicura.

sabato 13 aprile 2013

Raphaël Clouseau

Avete presente la pubblicità dell'antipulci Seresto? Una signora arriva al mercato delle pulci e non trova più niente, chiede informazioni e un tizio che parla italiano come l'ispettore Clouseau le spiega che "poi venuti signori con cani e gatti con collare Seresto" e "pulci sparite, anche zecche sparite, mercatino finito". Ebbene, è successo davvero. E' successo o, meglio, succederà a Catania, dove inconsapevoli visitatori della domenica - spesso in cerca di curiosità e di un diversivo più che di affari, in una città che non offre niente - da domani non troveranno più il mercatino nel luogo centrale dove si svolgeva da tempo: sparite pulci, sparito anche mercato. Deportato mercato, in un luogo irraggiungibile: un modo come un altro per farlo morire di consunzione. Il sindaco Stancanelli e i suoi assessori, più ridicoli (ma nient'affatto esilaranti) di Clouseau nella loro presunta e approssimativa caccia al crimine - che loro identificano, a quanto sembra, non in mafiosi o grandi evasori, ma nei lavavetri e in qualche migrante con la sua improbabile bancarella di cianfrusaglie - devono aver pensato che, a fronte di pochi esemplari che vendono certamente roba rubata, contro i tanti che magari cercano di far fronte alla crisi privandosi a malincuore del modernariato tenuto in casa, il modo migliore per dare la caccia all'illegalità fosse quello di ammazzarli tutti. E' come se di una pianta rigogliosa, anziché tagliare le poche foglie ingiallite che le tolgono linfa inutilmente, si tagliassero direttamente le radici. Raffaele Stancanelli sembra proprio Clouseau che insegue la sua valigia nella porta girevole. E non fa nemmeno ridere.

giovedì 11 aprile 2013

Abulia in technicolor

Sono nata fortunatamente abbastanza tardi per non guardare in faccia le macerie, la paura della fame e del fascismo, la miseria, ma fortunatamente abbastanza presto per cogliere nell'aria il ricordo delle macerie, della paura, della miseria, per avvertire la fatica della ricostruzione e della rinascita. Sono nata con le foto in bianco e nero, sono diventata adolescente con quelle a colori, di un colore fissato male e che ben presto si uniformava in una sfumatura ruggine, invecchio in un mondo nitidamente, indelebilmente e tecnologicamente a colori. Eppure ritrovo ciò che ho conosciuto attraverso i film, i tanti film in bianco e nero che a lungo ci sono stati maestri: ritrovo le macerie, la miseria, l'analfabetismo dei momenti di guerra, la paura dell'altro, la diffidenza. Non ci sono più le scarpe che si lucidavano, si spazzolavano, si risuolavano; non ci sono i cappotti che si rivoltavano, si rimodernavano, passavano di fratello in fratello, di sorella in sorella. Non c'è la guerra, non qui, non abbastanza vicino da occupare i pensieri di tutti i giorni; ma non c'è nemmeno la spensieratezza forzata e terapeutica del dopoguerra, del postfascismo, quella che serviva, doveva esserci, era obbligatoria per farci prendere per mano dalla vita e ricominciare con lei un nuovo cammino. Siamo ridiventati poveri, poveri di soldi, sì, ma soprattutto poveri di cultura, di idee, di moti di dignità e ribellione, di voglia di cambiare, migliorare, progredire. Non reagiamo: non respingiamo le ingiustizie (o, forse, peggio, nemmeno le riconosciamo); non ci indignano traccheggiamenti, inciuci, trame di potere che ci privano di un governo; non alziamo la voce contro l'arroganza. Semplicemente, scivoliamo. La nostra è un'abulia in technicolor, buia come la morte. Forse era meglio il bianco e nero, con la sua speranza di colore.

martedì 9 aprile 2013

Servizio (segreto) alla mafia

E così, dopo Berlusconi che se la prendeva con Gomorra e La Piovra che rendevano la mafia "più famosa che potente" e dopo Gianfranco Miccichè che non voleva si intitolasse l'aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino preferendo intestarlo a "figure positive" (e, se tanto mi dà tanto, vuol dire che per lui i due magistrati non lo erano), adesso eccone un altro. Dunque: oggi a Trapani c'è stata un'importante operazione della polizia che ha portato al sequestro di sei società degli imprenditori Morici e alla scoperta che una serie di appalti pubblici (fra i quali quello per la costruzione del porto, che avrebbe dovuto servire per l'America's cup del 2005 ma non è stato ancora completato) era stata affidata a loro grazie all'intercessione della mafia. Ebbene, cos'ha fatto il sindaco di Trapani? L'ex generale dei servizi segreti Vito Damiano (sponsorizzato nella sua campagna elettorale dal senatore del Pdl Antonino D'Alì, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa) ha telefonato al Questore e ha dato un colpo al cerchio e due - mortali - alla botte. Insomma Damiano prima si è complimentato con una serie di frasi di circostanza, ma poi "si è rammaricato tuttavia del negativo effetto mediatico che la notizia ha creato a livello nazionale", spiegando che quella che lui non chiama mafia ma "sacca di illegalità", è "un male che dobbiamo e possiamo contrastare con gli strumenti della legalità ma anche attraverso la proposizione di un'immagine positiva del nostro territorio e della nostra gente, prevalentemente onesta e laboriosa". Non nuovo, del resto, a simili uscite: già nel giugno scorso lo 007 de noantri aveva reso un altro servizio (segreto) ai boss sostenendo che "Non bisogna parlare di mafia. Perché le si dà importanza. E poi i giovani si spaventano". E allora, come si fa per gli agenti segreti, troviamole un nome in codice. Che so, magari zero zero. Nel senso dei cessi.

lunedì 8 aprile 2013

Piove povertà, governo ladro

Ma che cazzo è una manifestazione contro la povertà? Qual è l'obiettivo/interlocutore? Povertà è un sostantivo astratto, anche se concretissima è la disperazione che provoca. Con chi se la prende un Pd a un soffio dalla scissione (che non sarebbe un gran male: magari salta fuori che ancora là dentro c'è qualcuno di sinistra) e povero di idee che sabato prossimo manifesterà contro la povertà? Vorrei sommessamente ricordare al Pd che la povertà è frutto di un governo del quale ha fatto parte per circa un anno e che oggi diffonde dati su oltre un milione di persone licenziate, e dunque povere, come se la colpa non fosse solo sua. Siamo alla banalità del "piove, governo ladro". Anzi: piove povertà, governo ladro.

domenica 7 aprile 2013

Zaia il contadino

Se non bastassero i sindaci e gli albergatori della Versilia (e come se non ci fosse niente di meglio da fare), ora pure il "governatore" del Veneto, Luca Zaia, ce l'ha con il meteo. O, meglio, con i meteorologi. E in particolare con quelli non padani, ai quali attribuisce il calo delle presenze durante le prime vacanze di primavera e contro i quali scaglia - e che altro? - fulmini e saette. Insomma, sembra che la gente abbia prenotato ma poi ci abbia ripensato. Ufficialmente a causa delle previsioni che davano pioggia. Magari, chissà, nel frattempo gli è arrivata una bolletta non prevista, una multa inattesa, una tarsu da capogiro, e ha preso la scusa del meteo per disdire. Guarda caso, prima la gente partiva pure con la pioggia; ora, dal 2008 all'incirca (data presunta e orientativa dell'inizio della crisi), la gente parte meno. E compra meno vino. Oggi i dati che arrivano dal Vinitaly ci dicono che, sempre da quell'anno, il consumo in Italia è calato del 14%. Ma i produttori di vino non è che se la prendono con Giove pluvio o con il global warming che forniscono acqua in quantità, dandoci un'alternativa analcolica e a basso costo. Anzi: loro hanno innovato, hanno diversificato i prodotti, in qualche modo hanno corretto la rotta e, anche se gli italiani sono alla canna del gas, sembra che il loro fatturato sia aumentato notevolmente perché vendono all'estero dove la crisi - in quanto globale - c'è pure, ma evidentemente non hanno avuto governi di merda come quelli che sono capitati a noi negli ultimi anni e il cui obiettivo primario sembra sia stato quello di affamarci. Zaia invece, diplomato enologo e che ha anche fatto il ministro dell'Agricoltura, sembra come quei contadini che bestemmiano il cielo perché piove troppo o troppo poco, facendo marcire il raccolto o non facendolo maturare, ma di più non fa. Nemmeno sfiorato dall'idea che nel mare in tempesta si deve fare qualcosa per non affogare: magari ridurre i prezzi degli alberghi (e dei ristoranti, dei musei e di tutte quelle cose che fanno turismo) rendendoli alla portata degli esseri umani e non solo di sultani e califfi. Perché sul turismo italiano piove, sì, ma piove miseria. E quella i meteorologi non possono prevederla.

venerdì 5 aprile 2013

Bufala forever

Ma che cos'è questa frenesia della notizia a tutti i costi? Questo inseguire il mito dello scoop che poi si traduce in un "bufala forever"? Tralascio le patetiche due pagine - a quanto sembra, grilline e in quanto tali inutilmente urlate - che seminano il terrore su Facebook non tanto per le notizie tragiche (che, essendo chiaro a tutti ormai trattarsi delle bufale, non fanno paura a nessuno) quanto perché tutte quelle minchiate a raffica non si reggono proprio, e mi soffermo su quella che sembra diventata una nuova moda: prendere spunto da una notizia drammatica vera e drammatizzarla ulteriormente inventandone una drammatica falsa. Giusto per fare un esempio: nello stesso giorno della morte di Jannacci, un giornale online comunica "un altro lutto" e aggiunge che Maurizio Vandelli "ci lascia". Siccome c'ho la "tigna", prima di lasciarmi andare al dispiacere per un altro pezzo della mia adolescenza che crollava, sono andata a verificare su altri siti e soprattutto su tutte le agenzie di stampa. Vandelli stava benissimo, aveva solo deciso di ritirarsi dalle scene e io avevo una gran voglia di prendere a calci in culo gli improvvisati cronisti. Oppure: un sito francese, prendendo spunto dal fatto che qualche giorno fa è stato male o forse semplicemente dai suoi novantaecocci anni, oggi ci ha comunicato che Nelson Mandela era morto. E siccome eccetera eccetera, mi sono andata a controllare le agenzie. Non solo non era morto, ma c'era una dichiarazione rassicurante della moglie che parlava di miglioramento dello stato di salute. Mi viene in mente un aneddoto che si racconta a proposito della morte (presunta) di Pio XII. Era il 1958. Il papa era più di là che di qua e un giornalista assetato di scoop si mette d'accordo con qualcuno all'interno del Vaticano che dovrà chiudere una finestra come segnale (un'altra versione dice che il segnale consisteva nell'aprirla quella finestra, ma la storia non cambia). La finestra si chiude e il giornalista dà in anteprima mondiale la notizia della morte del papa. Ma la finestra si era chiusa per un colpo di vento e due ore dopo il Vaticano diede la smentita: il papa non era affatto morto, mentre quel giornalista, con la sua fregola da scoop, aveva sicuramente fatto una gran figura di merda. Io, fossi stata nei suoi colleghi, avrei confezionato in fretta e furia delle edizioni speciali per sputtanarlo urbi et orbi. E la finestra gliel'avrei chiusa io: in faccia e per sempre sulla sua cosiddetta professione.

giovedì 4 aprile 2013

Vendita delle indulgenze

Cari consiglieri regionali della Calabria di destra di sinistra di centro di sopra di sotto e di lato, sono una tartassata dell'Agenzia delle Entrate (tartassata non tanto perché loro siano particolarmente cattivi, ma perché se non paghi è normale che ti chiedano il dovuto più gli interessi) e vi scrivo per chiedervi se - una volta dimostrato che avete effettivamente fatto ciò che i magistrati vi contestano - vi offendete molto se vi dico che siete delle merde. Spero di no, non ce n'è motivo. In effetti come lo chiamereste voi uno che - avendo uno stipendio di tutto rispetto - si fa rimborsare il gratta e vinci, il caffè, i viaggi di piacere, le spese del ferramenta, le multe, il materiale elettrico e i pezzi del bagno? E uno che si fa rimborsare l'acquisto di immagini sacre per 1.200 euro come lo chiamereste? E quell'altro che per adempiere alle funzioni politiche ha assoluto bisogno di assistere agli spettacoli di lap dance pagati dalla regione? E che nome delicato vorreste attribuire, di grazia, a chi si fa dare i soldi per pagare la Tarsu e saldare i debiti con l'Agenzia delle Entrate? Da tartassata dell'Agenzia delle Entrate francamente non riesco a farmi venire in mente per voi nessun altro appellativo. Come immagino accada a tutti quelli che il caffè se possono se lo preparano a casa altrimenti niente perché quello del bar costa troppo, a chi i viaggi li ha già eliminati da tempo dalla propria vita, a chi si limita a considerare spettacolo i propri figli o i propri gatti o il mare sotto casa, a chi se si rompe la lavatrice i panni se li lava a mano. C'è gente che un santino, uno solo, vorrebbe comprarselo, se non altro per bestemmiarlo, ma non può; c'è chi vorrebbe sputtanarsi due euro nel gratta e vinci che gli può svoltare la vita, ma non gli sono rimasti nemmeno gli occhi per piangere. Dunque io per ora vi dico che siete delle merde. Poi, se la cosa vi offende, proporrei di liberarvi dell'appellativo soltanto dopo che i giudici vi avranno condannato al massimo della pena prevista per il reato di peculato ma con una pena aggiuntiva: che ognuno di voi rimborsi le tasse ad almeno dieci di quelli che non possono più permettersi di pagarle. Facciamo che è una specie di vendita delle indulgenze (di cui voi che acquistate santini a spese del contribuente dovreste intendervi): pagate le tasse a dieci poveracci che non ce la fanno più e smettete automaticamente, come per miracolo, di essere delle merde. Meglio di così.

mercoledì 3 aprile 2013

Coincidenze (e incazzature)

Avevo appena firmato la petizione contro il delitto che si sta compiendo ai danni dell'Isola delle correnti di Portopalo, la costruzione di uno stabilimento balneare con annesso corredo di incivile civilizzazione (turisti della domenica, cemento, rumori, confusione, sporcizia, musica a palla, rifiuti...), quando - coincidenza - mi è arrivata una mail da uno dei componenti della Banda Roncati. Mi diceva di aver trovato in bozza un articolo che avevo scritto su di loro sette anni fa, quando li conobbi appunto a Portopalo, e mi chiedeva se ne avessi una copia. Quell'articolo, che avrebbe dovuto essere pubblicato su Rinascita, purtroppo non uscì. Parlavo di un'incazzatura - coincidenza - che grazie a loro mi era passata. Lo pubblico qui adesso, senza cambiare una sola virgola, come piccolo contributo a questa battaglia per salvare uno dei posti più belli e selvaggi della Sicilia, per tutelare una di quelle sensazioni dell'anima che ti entrano nelle vene come l'ossigeno che alimenta il sangue e senza il quale rischi di soffocare. Spero che serva per indurre qualcun altro a firmare. E spero che l'estate prossima, quando tornerà di nuovo in Sicilia, la Banda Roncati riesca a farmi passare (a me e a tutti quelli che amano quel luogo in maniera del tutto naturale, istintiva e selvaggia) questa nuova incazzatura. http://www.activism.com/it_IT/petizione/l-isola-delle-correnti-e-un-bene-comune-e-di-tutti/43048 Portopalo di Capo Passero, la punta estrema della Sicilia dove si abbracciano lo Jonio e il Mediterraneo, è un posto magico. Non puoi fare a meno di tornarci in continuazione, dopo che l’hai conosciuta, e questo malgrado l’assoluta mancanza di professionalità della gran parte di albergatori e ristoratori e nonostante sia stato vittima di amministrazioni comunali di centrodestra che sembrano disprezzare il gioiello che hanno per le mani. Palazzine deturpate da bronzei cimiteriali infissi in alluminio anodizzato (grande Woody Allen che ne piazzerebbe l’inventore in un girone dell’inferno!), case costruite in spregio delle leggi e lasciate lì incompiute, spazzatura, nessuna attività culturale degna di tale nome e l’unica che c’era fino a qualche anno, il festival del cinema di frontiera, trasferito definitivamente a Marzamemi che prima lo condivideva con Portopalo. Eppure ci torni, tutte le volte che puoi. Io li ho conosciuti lì. Ero in piazza, la Terrazza dei Due mari, dove si preparava un deprimente spettacolo di varietà con ragazzine bardate come cavalli e bistrate come in un bordello di quart’ordine, pronte ad esibirsi sul palco del paese, coltivando il sogno sinistro (o destro?) di finire a starnazzare in qualche tv berlusconiana. Prima che cominciasse, prima di mettermi a urlare in preda a una crisi di nervi, me ne sono andata, rassegnata a fare “le vasche” per il corso Umberto, invaso da bancarelle di cinesi stracariche di roba scadente e a basso costo, più deprimenti delle ruspanti pretty babies. D’un tratto lo scenario è cambiato: qualche nota vaga nell’aria, la miopia che non ti aiuta, il terrore di imbattermi in qualche altra manifestazione da strapaese voluta dal Comune. Poi li ho visti: belli, sorridenti, divertenti, allegri, stavano in mezzo alla strada, con i loro ottoni, qualche tamburo, le nacchere, una di loro con un cappello in mano a sollecitare le ‘offerte’. A Portopalo c’erano andati in vacanza, ma non hanno resistito all’idea di travolgere gli altri con la loro passione. E’ la Banda Roncati, una marching band fra le tante che sono nate negli ultimi anni in Italia: loro suonano e camminano, tu balli e gli vai dietro, stregata, senza rendertene conto, effetto ‘pifferaio magico’. Nel loro repertorio, dalla più ‘bandesca’ “Rosamunda” alla “Tammurriata nera”, fino alle sigle delle trasmissioni tv riarrangiate in maniera ironica; nella loro storia, l’impegno nella marginalità sociale. I loro primi spettacoli, ormai 14 anni fa, si svolgevano con la proiezione di diapositive sui reparti psichiatrici e la lettura delle controindicazioni contenute nei foglietti illustrativi degli psicofarmaci. Il loro stesso nome deriva da “un’irruzione – racconta Vincenzo Vitullo – all’ospedale psichiatrico Roncati di Bologna” fatta da un gruppo di musicisti che lavorava ad Imola insieme a Giorgio Antonucci: “uno psichiatra sui generis” lo definisce Vincenzo, che già prima dell’approvazione della legge Basaglia aveva tolto le inferriate alle finestre e via via eliminato mezzi di contenzione e psicofarmaci, restituito le posate di acciaio, mandato i degenti a passeggiare nel parco. E gli aveva regalato la musica. Da allora, e da quei pochi elementi, la banda non ha smesso di esistere e di espandersi. Un numero assolutamente variabile di musicisti, nessun direttore, nessun requisito di professionalità: soltanto la voglia di trasmettere allegria, di stare vicini a chi è emarginato dalla società – non soltanto i malati psichiatrici, ma gli immigrati, gli omosessuali, i detenuti - e di tradurre in musica il loro impegno politico. “Siamo assolutamente schierati a sinistra”, spiega Vincenzo, mentre Cinzia aggiunge che per lei la banda è “la soluzione ideale” per coniugare la sua voglia di impegno politico e la necessità di trasmettere un messaggio non violento. Infatti li trovi alle manifestazioni della sinistra, alla marcia per la pace Perugia-Assisi, e “la nostra presenza – aggiunge Cinzia -, il fatto che noi suoniamo alle manifestazioni, serve a non alimentare lo scontro”. Di “progetto politico” che li unisce parla Gabriella, che aggiunge: “ho difficoltà a parlarti della mia esperienza nella banda senza raccontarti la banda stessa”. E’ una storia di affiatamento la loro, di amicizia, di decisioni collettive, di sguardi che si capiscono al volo, fra di loro e anche con le bande dello stesse genere, la Titubanda, gli Ottoni a scoppio, con cui si incontrano alle manifestazioni, suonano insieme, si scambiano le date. E anche quest’articolo è corale: Vincenzo racconta la ‘genesi’, Cinzia precisa di essere “la più impedita”, Piero manda le foto, Gabriella spiega che “chi conosce il pezzo lo insegna a chi non lo sa…a volte guardi le dita del tuo vicino: è una specie di autoapprendimento”, Gino che ha studiato al Dams e sa leggere la musica dice che loro hanno una capacità particolare, in situazioni di strada, di “cogliere il momento della festa”, come a Portopalo dove si sono fermati a suonare per la signora del ristorante (una dei pochi a capirli) che gli offriva il fritto di gamberetti, o sotto i ponti o ancora, qualche settimana fa, in una casa di riposo di Bologna dove si festeggiavano i novant’anni di una partigiana e “i vecchini erano felicissimi”. E anche lui ricorda come alle manifestazioni, quando sono preannunciate situazioni difficili, loro si mettono alla testa del corteo, fra i cordoni della polizia e i manifestanti: e le tensioni si dissolvono. Come le incazzature che ti prendi a Portopalo.