sabato 31 maggio 2014

Mi faccio sentire io


Cara Signora Giovanna, lei è la seconda volta che mi scrive e io non le ho ancora risposto.
Anzi, sa, non se l'abbia a male, non ho niente contro di lei, ma io le sue lettere le strappo: non perché abbia qualche motivo di risentimento personale nei suoi confronti, ma perché così non mi capitano sotto gli occhi ogni due minuti e non mi girano i coglioni.
Non ci crederà, ma io sono una di quelle persone che - malgrado tutto (e questo tutto è troppo anche per chi ha molta pazienza) - il canone della Rai vorrebbero pagarlo. E vorrebbero pagare, in generale, anche tutte le tasse che ci sono da pagare e grazie alle quali i nostri figli vanno a scuola, gli insegnanti vengono pagati (poco), i medici ospedalieri ci curano, le strade sono illuminate e tutte quelle cose alle quali servono le tasse e su cui non credo sia necessario dilungarmi con lei. Dunque, mi girano i coglioni quando non posso farlo e quando c'è qualcosa - come le sue lettere - che mi ricorda che non posso farlo e che, tecnicamente, sono equiparata a un qualunque evasore di merda.
Insomma, signora, lei mi scrive da Torino, da parte dell'Agenzia delle Entrate, la prima volta per ricordarmi che il termine è già scaduto e rischio sanzioni e interessi di mora, la seconda per specificare che, se non faccio in fretta, la somma subirà l'iscrizione a ruolo e dopo - come dire? - sono cazzi (più di così?).
Ora, io lo so che lei non c'entra ma magari potrebbe suggerire al signor AgenziadelleEntrate - invece di scrivere a me, applicarmi sanzioni e interessi di mora, iscrivermi a ruolo, eccetera, ché tanto se non ho quelli di base si figuri se avrò mai quelli che ci caricate sopra -, potrebbe suggerigli, dicevo,  di usare i soldi in maniera più proficua: per esempio, per sapere chi non paga per necessità (non so se ha presente un disoccupato decennale) e chi non lo fa perché è uno stronzo. E a lui, solo a lui (ai tanti lui di questo Paese di evasori), fargli il culo una volta per tutte in modo che non se lo scordi finché campa. Magari togliendoli tutti i beni malamente accumulati, ma pure lo stipendio. Altrimenti è troppo comodo.
Quanto a me, appena (?!) troverò un lavoro, quando cioè la smetteranno di dirmi "mi faccio sentire io", mi faccio sentire io. Io però mi faccio sentire davvero.

giovedì 29 maggio 2014

Da grande


Ieri sono andata a trovare una mia "nipotina" che si sposa. "Lavoro?", le chiedo. "Sto facendo le domande per l'insegnamento, in attesa di fare il mio lavoro vero, che sarebbe quello di archeologa. Ma non mi faccio grandi illusioni".
Ora, a parte che togliere le illusioni a una ragazza meno che trentenne (che per di più ha affrontato studi impegnativi) è da galera, mi ha fatto pensare a un mio amico ultracinquantenne, insegnante, che di sé dice: "Da grande vorrei fare l'ingegnere".
E quanti ne ho conosciuti! Architetti, ingegneri, giornalisti, costretti a "ripiegare" sull'insegnamento in attesa - da grandi - di fare il lavoro che gli piace. Insegnanti bravi, ma rassegnati. Gente che ha studiato prima e che continua a studiare, si impegna, dà il meglio di sé, ci mette il cuore e l'anima, sa di fare un mestiere bellissimo e di grande responsabilità, ma rassegnata.
E' questo che dev'essere la scuola? Un ricettacolo di gente rassegnata che trasmette rassegnazione? E che cittadini consapevoli potranno essere quelli che imparano la rassegnazione? Poi ci stupiamo se il 50% non vota o vota per uno qualunque o per l'uomo qualunque.
Quando il nostro Paese credeva nel futuro, accadeva che un ragazzo decidesse di iscriversi all'università e persino di sfidare la sorte, la vita, il futuro e la condanna classista a seguire certi studi e non altri, scegliendo Filosofia: grazie a una giovane insegnante non rassegnata che a lui - studente di istituto tecnico - quella materia non l'aveva mai insegnata, ma gliel'aveva fatta amare.
Oggi alla mia "nipotina" che si sposa auguro - certo - buona vita, ma soprattutto buon lavoro da archeologa non rassegnata. Ora, non da grande.

giovedì 22 maggio 2014

Un macigno sulle nostre teste


Ogni volta che c'è un anniversario, cerco una foto da mettere su Facebook. Le parole mi sembrano banali, trite, retoriche. Cerco, minuziosamente, non una foto qualunque, giusto per far sapere che me ne sono ricordata, ma una che dia il senso dell'avvenimento da ricordare o che, in quel momento in cui le sto analizzando, esaminando, sfogliando, mi suggerisca una chiave di lettura o un'emozione nuova.
Ho fatto lo stesso stamattina, per contribuire nel mio piccolo a marchiare a fuoco nella nostra memoria quel 23 maggio 1992. Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antino Montinaro, Rocco Dicillo. Le ho guardate e riguardate quelle foto. Ce n'era una che riprendeva dall'alto lo svincolo per Capaci, come se ci fossero lavori di sbancamento per un'autostrada ancora da costruire. C'era la lapide con i nomi. C'era quell'altra con i cartelli autostradali ben in vista, per dire che era successo proprio lì e sottolineare l'enormità dello sventramento.
Pugni nello stomaco, che si ripetono da 22 anni.
Poi mi è capitata sotto gli occhi quella dell'auto di Falcone. Chissà quante altre volte l'avrò vista. Eppure stavolta mi ha detto qualcosa in più. Non è stata l'auto sbrindellata, squarciata, accartocciata, i vetri in frantumi, gli sportelli divelti a colpire la mia attenzione questa volta, ma il cumulo di pietre sul tetto della vettura, come un unico grande macigno.
Ecco: volevano metterci un macigno sopra. E oggi ho la sensazione che stiano continuando ad ammassare macigni: su quell'auto e sulle nostre teste.

mercoledì 21 maggio 2014

Rabdomanti elettorali


Fanno tenerezza, come due vecchietti in cerca di futuro. Da qualche tempo si incontrano la mattina presto, sempre sulla stessa panchina, a parlare di politica. Smarriti.

"Ma sai che non mi dispiace il nuovo capo di quel partito?"
"Io so che è un destro".
"Ieri a Tribuna elettorale non sembrava"
"Non l'ho visto: ho cambiato per sentire quel cazzone degli 80 euro".

Così, tutte le mattine. Mentre parlano, ciascuno di loro con il proprio bastone traccia dei segni sulla terra, come un rabdomante in cerca dell'acqua, in attesa della vibrazione.
E un giorno l'attenzione si concentra sul fascio che si è candidato con i compagni e l'altro sul compagno che si è candidato con i fasci; un altro si parla di quel partito che per le amministrative si è diviso in tre; finché arriva il giorno che uno dei due esprime una quasi certezza: "Io sono orientato per...". Però sta' attento a non piazzare la bussola nel bel mezzo di una tempesta magnetica.

Cresciuti a pane e voto, il dovere civico che ti fa battere il cuore e tremare le gambe, ma il mondo che avevano conosciuto non esiste più; i residui dei partiti del mondo che avevano conosciuto non esistono più; i residui dei residui dei partiti del mondo che avevano conosciuto si dimenano scompostamente: all'interno dello stesso residuo ognuno dà un'indicazione di voto diversa e nemmeno se arriva Rubik con il suo orrore ungherese i colori tornano al loro posto. Altro che rompicapo!

"Dice che qualcuno ha intenzione di andare e annullare la scheda"
"Sì, lo so, ma non mi convince: mi sentirei come quei ragazzini che disegnano minchie sui muri dei cessi della scuola. E non c'ho più l'età. Mi sa che non vado: vengo qui, mi piazzo sulla panchina, apro il giornale e aspetto".

E manco io c'ho più l'età. Allora ci vediamo domani ai giardinetti, eh! E anche dopodomani e per i prossimi tre giorni. Naturalmente anche lunedì: così commentiamo i risultati.




martedì 20 maggio 2014

Nemmeno per scherzo


Renzi è il classico tipo che mi dà sui nervi prima ancora che apra bocca, a prescindere, è una specie di Frankenstein a metà fra Grillo e Berlusconi, lo vedrei bene con il berrettino rosso e giallo in testa a distribuire beveroni per cerebrolesi, però no, la lupara bianca no. Nemmeno per scherzo.
Non è la prima volta che Beppe Grillo in campagna elettorale "alza i toni" per fare audience - che, in questo caso, significa anche percentuali di voto - usando termini che attengono alla mafia.
Non m'importa che siano - come ha tentato di giustificarsi - espressioni inventate dai giornalisti: mi importa, mi fa male, mi fa incazzare come una jena che la mafia e le azioni della mafia vengano usate per fare colpo sull'elettorato e soprattutto mi fa imbestialire che vengano usate come boutade da cabaret.
L'ultima volta in Sicilia il grillo parlante è venuto a spiegarci che la mafia non strangola le sue vittime e lo Stato invece sì; adesso ci viene a dire che Renzi perderà le elezioni e svanirà nel nulla proprio come alcuni morti ammazzati per mano mafiosa.
No, Grillo, non te lo permetto. E se anche non avessi altre mille ragioni per non votarti (perché sei un fascista, perché sei un qualunquista, perché - a quanto pare - saresti anche un evasore fiscale e per me gli evasori fiscali sono da considerarsi al pari dei mafiosi, cioè merde), questo tuo scherzare sulle questioni di mafia, questo usarla con leggerezza per le tue battute da guitto e dunque minimizzarne la gravità sarebbe già sufficiente per mandarti dove tu mandi tutti gli altri.
Perché, sai, io in questa terra di mafia ci vivo: io sono quell'impasto informe di pianto e di rabbia che si ripresenta ogni volta che un giudice salta in aria o che un bambino viene sciolto nell'acido; io sono questa terra violentata costretta ad allontanare i suoi figli per tutelarli da forme moderne di tratta degli schiavi; io sono il respiro affannoso e il sangue alla testa ogni volta che qualcuno si rivolge a un "amico" per ottenere un favore, perché so che ogni favore ottenuto è la strage di mille diritti; io sono l'apnea quotidiana delle sabbie mobili di chi vive in una regione dove non hai scampo perché la mafia è al bar, in panetteria, nello stabilimento balneare, sul marciapiedi, nello stessa frazione di secondo in cui ci sono io.
E io nemmeno per scherzo e nemmeno a un mafioso augurerei di finire per lupara bianca.

domenica 11 maggio 2014

Il genio dell'ipod

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A volte incontro una canzone.
Beh, certo, nella mia vita non è una cosa strana: a casa c'è una radio costantemente accesa che scandisce le mie giornate; di domenica entra in scena il giradischi con il rito della pulizia del disco e della misurazione millimetrica del punto esatto su cui adagiare la puntina; se sono fuori, c'è l'ipod che mi accompagna.
E' stato lì che ci siamo incontrate, nell'ipod: mi ha sorriso, mi ha salutata, mi ha chiesto come sto. E come sto? Sto esattamente come dici tu. Che me lo chiedi a fare. Altrimenti non saresti qui.
Già - mi dice -, hai ragione: arrivo quando ce n'è bisogno, come il genio della lampada.

Sì, lo so, non è normale, chiamate pure la neuro, ma io con le canzoni ci parlo. Grandi chiacchierate sugli amori perduti, sul senso profondo della vita, sui sogni ad occhi aperti.
Di solito, non la scelgo io la canzone con cui parlare: è lei che sceglie me, senza bisogno di sfregare l'ipod. Scorrono l'una dietro l'altra e all'improvviso - pouf! - viene fuori lei, quella giusta per quel preciso momento, pronta ad ascoltarmi, a condividere i miei pensieri, ad assecondare i miei desideri, perfino a mettermi sul suo tappeto volante e portarmi proprio lì dove una volta è successa quella cosa che vorresti rivivere esattamente allo stesso modo.
C'è solo un problema, anzi due: le cose non tornano e la canzone dopo quattro minuti finisce.

lunedì 5 maggio 2014

Tsipras in bikini

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Fosse per me vieterei il bikini in spiaggia. Per violazione dell'articolo 3 della Costituzione italiana - se i cittadini sono uguali davanti alla legge, perché donne e uomini non potrebbero essere uguali davanti al sole? - e per crudeltà mentale. Cos'è, infatti, se non cattiveria pura quella che costringe le donne a stare immobili per ore a pancia in giù e a non riconoscere loro il diritto di farsi una bella chiacchierata di mezz'ora, all'impiedi come i maschi, senza rischiare di ritrovarsi con un'orribile abbronzatura a stelle e strisce?
Fatta questa premessa, e sgombrato il campo da un mio possibile attacco di baciapilismo molesto, credo di poter dire qualcosa sulla "trovata" pubblicitaria della portavoce della lista Tsipras che, per protestare contro l'oscuramento della coalizione da parte dei media, ha pensato bene (?) di farsi fotografare in bikini spiegando che si tratta di un'iniziativa ironica e che in campagna elettorale lei è disposta a usare "qualunque mezzo".
Ora, io non ho niente contro il bikini, se non il fatto che è troppo e non troppo poco, ma francamente per usare "qualunque mezzo" ne avrei preferito uno che non assecondasse la linea della berlusconiana esibizione dei corpi e conseguente bava maschile (di destra, di centro e di sinistra) e autocompiacimento della protagonista. Non sono così sicura che, se fosse stata una cozza, avrebbe scelto questa forma di comunicazione.
E comunque avrebbe potuto inventarsi qualunque altra cosa: coprirsi interamente con un burqa, per esempio (sì, lo so, avrebbe fatto incazzare gli integralisti islamici e forse non sarebbe stato male), oppure organizzare un flash-mob di fantasmi o di finti celerini con il volto coperto dal casco o mille altre cose carine e divertenti che ho in mente ma non vi dirò perché non ho nessuna voglia di fare un favore alla lista Tsipras, che meriterebbe di essere lasciata in mutande dopo le mille cazzate che ha fatto.
Però una ve la dico: si potrebbero mostrare in bikini lo stesso Tsipras e tutti i candidati maschi. Pensa come sarebbero carini!