giovedì 21 giugno 2018

Via Raffaella Carrà, a Catania

«Scusi, signora», «Scusi, signora». Ci sta un po’ a girarsi, a capire che sto parlando con lei. Forse nessuno l’ha mai chiamata signora. Puttana, troia, zoccola, al massimo «ehi, tu», o «au!» visto che ci troviamo a Catania. Chi vuoi che chiami signora una schiava del racket, nera per di più, costretta a vendere il proprio corpo per fare arricchire gli assassini di umanità che l’hanno portata fin qui con il miraggio di un lavoro? Lavoro di merda. Per pagarsi il viaggio su un barcone a rischio naufragio e mandare qualcosa ai parenti rimasti nel paese d’origine. Notte e giorno, estate e inverno, con quaranta gradi e il sole che ti brucia il cervello o sotto la neve, seminuda a quell’angolo di strada, seduta su una seggiolina sbilenca, all’ingresso di un quartiere popolato da prostitute, immigrati, trans, ultimi degli ultimi, disperati e, da qualche tempo, da giovani donne e uomini che provano a far qualcosa per loro e con loro. Il quartiere San Berillo, un ghetto in pieno centro.
Finalmente si gira verso di me. «Scusi, signora. Via Carro?». «Via?». «Carro». «Via Carro? Forse Via Carrà». E lo ripete due volte. Mi scappa un sorriso: Raffaella Carrà è talmente un’icona del movimento Lgbt che deve aver pensato che le abbiano dedicato una strada proprio in quel rione dove, d’altronde, c’è un murales con la faccia di Fabrizio De Andrè, che gli hanno messo un’aureola dietro la testa e lo hanno pure fatto santo: San Fabrizio dei vicoli.
Comunque no, non lo sa. Grazie, prego. «Provi a chiedere a quella incinta». No, nemmeno lei chiama signora un’altra donna come lei, per quanto incinta.
Via Carro – lo scopro qualche secondo dopo - è ad appena una ventina di metri da quell’angolo sulla strada grande in cui lei sta seduta, ma lei non lo sa. Mi viene da pensare che abbia l’ordine di non muoversi da quell’angolo neanche per fare per pipì, che a San Berillo non ci abiti, che sia solo il suo luogo di lavoro. Ma, chissà com’è, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a immaginarla come un’impiegata che arriva a una certa ora, striscia il cartellino, si fa le sue ore di lavoro, alla fine timbra e se ne torna a casa (e chissà se ce l’ha una casa): penso che i suoi aguzzini la caricano, la portano lì e se la riportano via quando ha finito, per non perderne il controllo nemmeno per un  istante. E l’unica immagine che riesco a vedere è quella di un vitello squartato, caricato in spalla da un uomo con le mani insanguinate, depositato sul bancone, fatto a pezzi e, quando non resta più niente, un po’ di  ossa lanciate ai cani. Mentre uno sciacallo diventato statista si avventa sulla carcassa.

martedì 19 giugno 2018

Salvate la soldatessa Elisa

Vi ricordate Veronica Lario, quando – avendo perso tutte le speranze – si rivolse agli amici di Berlusconi chiedendo loro di aiutarlo perché malato? Ecco, non so perché ma oggi mi ha fatto pensare a lei leggere che Elisa Isoardi, fidanzata stiratrice di Matteo Salvini, ha scritto un post su Istagram per chiedere a una certa “madonna dei nodi” di sciogliere i suoi. Lo ha fatto dopo che il ministro delle interiora aveva annunciato un prossimo incontro con il papa, peraltro subito smentito dal Vaticano. Che se non gli ha dato del fanatico, poco c’è mancato.
Anche lei, come Veronica e come milioni di italiani, deve avere pensato: «Quest’uomo è malato». Sicché ha preso dita e tastiera e ha pubblicato questa preghiera sibillina rivolta a quella che chiama “la mamma di tutte le mamme”: «Madre le cui mani lavorano senza sosta per i tuoi figli tanto amati, perché sono spinte dall’amore divino e dall’infinita misericordia che esce dal tuo cuore, volgi verso di me il tuo sguardo pieno di compassione, guarda il cumulo di ‘nodi' che soffocano la mia vita. Tu conosci la mia disperazione e il mio dolore. Sai quanto mi paralizzano questi nodi e li ripongo tutti nelle tue mani».
Ora, forse Isoardi non si è resa conto, ma si ha la sensazione che il nodo di cui parla e che non riesce a sciogliere sia quello che la lega a un uomo cattivo e frustrato, violento, malato di protagonismo, che pur di emergere manderebbe davanti al plotone di esecuzione la propria madre e che non esita a fare retorica sui propri figli e sul suo essere padre (che poi, a dirla tutta, non è che per essere padre ci voglia molto: bastano una bottarella e un preservativo rotto). E dunque qualcuno dovrebbe spiegarle che la madonna ha già i suoi cazzi, con quel suo figlio “buonista” che se la fa con tutti e se lo sa Salvini sai come s’incazza, e che a sciogliere i propri nodi – se anche fossero quelli del filo del ferro da stiro – ci deve pensare da sola. Magari, visto che ormai è anche esperta di cucina, preparando per il suo fidanzato qualche pietanza che lo costringa a stare sul cesso e lontano dalla tv per molti giorni. O magari facendo come Melania, che quanto a maschi stronzi non scherza neppure lei, dichiarando la propria contrarietà alle politiche fasciste del marito.
Faccia il primo passo e noi – donne, rom, neri, migranti, ebrei, omosessuali, meridionali, comunisti… - saremo tutti con lei. Al grido di «Salvate la soldatessa Elisa». Prima che muoiano tutti, in questa assurda guerra contro l’umanità.

venerdì 15 giugno 2018

Vandeani da tastiera

Io li conosco alcuni di quelli che hanno votato 5Stelle e ora sono strenui sostenitori del governo Salvini (sì, governo Salvini, avete letto bene). 
Alcuni li ho conosciuti personalmente: erano quelli che un giorno bussavano alla sede di un partito comunista, e prendevano la tessera, presentandosi come vittime di soprusi con lo scopo di vedere tutelato qualche tornaconto individuale. Insomma, per capirci, pensate a un impiegato pubblico che timbrava e andava via per andare a curare i propri privatissimi interessi. Di quelli che quando venivano licenziati si ergevano a perseguitati politici mentre curavano la loro azienducola evadendo le tasse e sfruttando i dipendenti. E quando capivano che dalla loro scelta politica opportunistica non potevano cavare un ragno dal buco, diventavano più barricaderi del barricadero. 
Perseguitati politici perché devono pagare le tasse grazie alle quali se finiranno in ospedale troveranno un medico a curarli; perseguitati politici perché qualcuno gli ha fatto notare che se hai un impiego pubblico è là che devi stare a lavorare; perseguitati politici perché un dipendente della sua azienda sfruttato sottopagato e licenziato gli ha fatto la vertenza. Il mondo all’incontrario. A un certo punto il sedicente perseguitato politico comincia a odiare, vede nemici dappertutto. Lo incontri un giorno, scambi due chiacchiere e all’improvviso gli vedi gli occhi iniettati di sangue perché si è avvicinato un ragazzo dalla pelle scura che cerca di sopravvivere vendendo piccoli oggetti di artigianato. Non ha dubbi il perseguitato politico: è tutta colpa di quel ragazzo. È colpa di quel ragazzo se lui deve pagare le tasse, è colpa di quel ragazzo se i suoi figli non trovano lavoro, è colpa di quel ragazzo persino se le strade sono dissestate o se piove e lui è uscito senza ombrello. In Sicilia si chiama «muru vasciu», ringhi contro uno più debole perché non hai abbastanza coglioni per prendertela con chi ha creato questo sistema o per ammettere che il sistema sei tu stesso, che tu sei uno di quelli che cercano le raccomandazioni e se non ottengono quello che speravano si trasformano in oppositori. Ma non sono rivoluzionari: sono vandeani. Sicché il perseguitato politico intravvede come unica àncora di salvezza altri che come lui vedono nemici dappertutto. O, meglio, altri che fingono di vedere nemici dappertutto perché è il solo modo per reclutare adepti per la loro setta. Si incontrano in rete, si caricano a vicenda, ciascuno fomenta l’odio, incita gli evasori di tutto il mondo a fare fronte contro lo Stato cattivo, convoca rivolte contro i vaccini, vede complotti dappertutto. Chi spara più cazzate sul sacro blog ha un’ottima chance di scalare i vertici del movimento, addirittura di essere eletto o di governare il Paese. E, una volta raggiunto l’obiettivo, di farsi da solo – come in un self-service della corruzione - quei favori che da nessuno era riuscito a ottenere: un appalto qua, una mazzetta là, un posto di lavoro per tuo figlio. 
È il risultato del reclutamento di attivisti e candidati attraverso un click, senza averli mai visti in faccia, averli guardati negli occhi, sentito la loro voce. Ma c’è un problema: se la selezione avviene come in un sito di incontri erotici e tutto si risolve – absit iniuria verbis – in un cazzo e una fica, cioè in tutto ciò che può stare all’interno di una quindicina di pollici dello schermo di un computer, non puoi sapere se i legittimi proprietari dei due organi citati sono delle persone di cui puoi fidarti, con un cuore e un cervello.
A scopare siamo bravi tutti: è fare l’amore che richiede impegno.