lunedì 27 settembre 2010

Iacp Catania, un pentolone nauseabondo

A leggere la relazione degli ispettori inviati circa un anno e mezzo fa dall’Assessorato regionale ai Lavori pubblici (in seguito a una serie di denunce e segnalazioni) per vedere cosa accadeva all’interno dell’Istituto autonomo case popolari di Catania, c’è da mettersi le mani nei capelli. E, più leggi e più ti ripeti che non è vero, che non può essere vero.
E invece sì e parlano le carte.
Uno e multipli di tre, per avere accentrato su di sé tutte le cariche dirigenziali -secondo quanto scrivono nella loro relazione i dirigenti regionali Cosimo Aiello, Aldo Gangi e Castrenze Marfia a conclusione dell’attività ispettiva che comunque per loro andrebbe ulteriormente approfondita ed estesa “almeno a un decennio dell’attività dell’istituto” -, il Direttore generale dello Iacp, Santo Schilirò, metteva le mani in tutti i settori più importanti dell’istituto e lo faceva perché, con la scusa che non c’erano in organigramma figure dirigenziali adeguate, si autonominava reggente. Ad interim, che in realtà significherebbe per un breve periodo e invece nel suo personalissimo vocabolario di latino significava “a vita”. E per di più con pieni poteri e senza oppositori, perché – a quanto sembra di capire – in questa gestione dittatoriale alcuni erano amici e complici, tutti gli altri avevano paura.
Gestione dittatoriale e familiare, sempre a giudicare da quello che scrivono gli ispettori, perché Schilirò l’istituto delle case popolari lo gestiva come fosse la sua casa (non popolare) ma certamente non con la diligenza del buon padre di famiglia. Anzi. Facendo favoritismi, discriminando alcuni impiegati evidentemente non allineati, truccando le carte, spendendo e spandendo: tanto che gli ispettori hanno detto che il risultato dei loro accertamenti andava inviato alla Procura di Catania e alla Corte dei Conti, perché si ravvisavano reati penali e danni all’erario.
E, giusto per dovere di cronaca, bisogna dire che di questa storia si sarebbe saputo poco se non fosse stato per i Comunisti italiani, che hanno tenuto una conferenza stampa in cui Orazio Licandro è arrivato con una carpettina piena di documenti serviti a scoperchiare quello che il responsabile nazionale Organizzazione del Pdci-FdS ha definito “un pentolone nauseabondo”.
Ma andiamo con ordine e vediamo di riassumere il contenuto della relazione degli ispettori, trasmessa al Dipartimento regionale dei Lavori pubblici il 9 marzo 2009. La premessa è che l’ispezione è stata disposta “a seguito di copiosa corrispondenza”: dopo di che i tre si sono messi a studiare centinaia di pagine e hanno ascoltato i dipendenti dell’Istituto traendone l’impressione che la cosa vada approfondita ulteriormente data la “notevole quantità di fatti e attività” venuti alla luce. E guardate un po’, per punti – prima di scendere nei dettagli (con l’avvertenza di assumere prima un gastroprotettore e un antiemetico) –, a cosa si riferiscono i “fatti di assoluta discrezionalità operati” da Schilirò ed elencati nella lettera di accompagnamento della relazione: “gestione di protocollo con inserimenti postumi di allegati; mancanza di registri di catalogazione per le delibere del Consiglio di Amministrazione; assegnazioni arbitrarie di alloggi, di locali in favore di parenti e sigle Sindacali per i quali non sempre è stato percepito alcun canone di locazione; pagamenti anomali per spese di economato; rinvio di pensionamento; assunzione di personale”.
Bene, se avete già preso le medicine, mettetevi comodi che vi spiego punto per punto a cosa si riferivano gli ispettori. Con l’ulteriore premessa che, già commissariato, Schilirò pretendeva di continuare a prendere decisioni, lui e il Cda, che – come sanno anche i bambini – quando arriva il commissario decadono e, inoltre, che il Direttore si era autonominato dirigente dell’Area contabile e amministrativa, del Servizio legale e dell’Area tecnica e in più anche Presidente del nucleo di valutazione e verifica del personale, segretario del Cda (incarico che può essere svolto da un funzionario qualunque, ma che – secondo i bene informati – avrebbe avocato a sé proprio per tenere sotto controllo la situazione)….insomma: lui se la cantava e lui se la suonava. E, proprio per cantarsela e suonarsela quando e come voleva lui, in base a quanto riscontrato dagli ispettori, nel Protocollo faceva lasciare alcuni numeri vuoti, così da metterci quello che voleva anche successivamente, e per di più in pratiche protocollate inseriva gli allegati con molti anni di distanza: allegati – come dire? – a cazzo di cane, perché spesso non c’entravano niente con l’oggetto della pratica. Poi non c’è traccia di molte delibere del Cda o di “determine e provvedimenti del Direttore”, mentre – altro che tracce! – le impronte digitali (metaforiche) di Schilirò sembrano macchiare i documenti di assegnazione di case popolari a gente che risultava proprietaria di appartamenti o che comunque non aveva i requisiti, come pure le carte grazie alle quali il figlio di Schilirò, Ettore, vinceva la lotteria di un locale commerciale in piazza Spedini, teoricamente in affitto, di cui il rampollo di questa famigliola esemplare (ancora non è finita: vedrete dopo) non solo non ha mai pagato il canone ma se l’è fatto ristrutturare a spese dello Iacp e da operai dello Iacp. E mentre ci siamo, vogliamo continuare a parlare della famiglia? Bene. La moglie di Schilirò, dipendente dell’Istituto, avrebbe dovuto andare in pensione nel 2006 ma il marito ha ritardato di anno in anno il pensionamento, fino al 2009, non senza avere un anno prima promosso la stessa signora caposervizio, inutile dire con quali benefici per la sua pensione. La nuora di Schilirò, invece, partecipò a un concorso nella cui commissione c’era il suocero, che si era guardato bene dal dichiarare la propria incompatibilità e, anzi, aveva fatto di più: aveva predisposto lui i quesiti da sottoporre ai candidati. Dal produttore al consumatore. Poi, famiglia estesa, ci sono gli amici: come quella dipendente a cui il Direttore ha fatto rimborsare delle spese legali senza nemmeno vedere la sentenza (che, infatti, non si trova) o quel sindacalista (Carlo D’Alessandro, segretario del Sicet, il sindacato della Cisl che dovrebbe tutelare gli inquilini, e componente del Cda Iacp) che si è fatto rimborsare le spese di numerosi viaggi in nord Italia solo sulla parola: perché, anche in questo caso, di ricevute, fatture, scontrini, pezze d’appoggio qualsiasi, nemmeno l’ombra. Per non parlare del fatto che lo stesso sindacato ha avuto assegnate della case dallo Iacp che non si è mai curato di chiedere il pagamento dell’affitto.
E quanto alle spese dell’Economato, gli ispettori scrivono educatamente che “in alcuni casi non sembrano attinenti all’attività dell’Ente”. Effettivamente, si tratta di giochi per pc, riviste di computer, una cuffia per ascoltare musica e perfino una irrinunciabile enciclopedia della casa.
Gli ispettori non hanno dubbi sul fatto che le carte debbano essere esaminate dalla Procura per gli aspetti penali e dalla Corte dei Conti per il danno alle casse pubbliche, ma – dopo che un giornale ha pubblicato stralci della loro relazione – il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, noto moralizzatore, oltre che riformatore, ha disposto un nuova ispezione. E sapete con quale obiettivo? “Al fine di accertare la fondatezza di quanto riportato da un periodico locale circa presunte irregolarità nell’assegnazione di alloggi popolari”. Ma perché, se va nella sede del Dipartimento Lavori pubblici della Regione di cui lui è presidente non gliele danno le carte?

giovedì 23 settembre 2010

Il silenzioso sacco di Catania

Da qualche tempo a Catania accadono cose strane. Da qualche tempo i catanesi vivono in una bolla – come il protagonista della pubblicità dell’Amplifon – e non solo non sentono, ma non vedono, non parlano, non reagiscono agli stimoli e nella bolla sembrano galleggiare senza mai toccare terra.
Della sporcizia al largo Paisiello – con corredo di piscio e puzza annessa, a cui ora si è aggiunta anche la merda debitamente spalmata sulle scale come Nutella – ho già parlato, come della mancanza di dignità di un’amministrazione comunale che ai turisti offre piazze sporche e maleodoranti come cessi pubblici. Ma almeno in questo caso, sia pure per inconsapevole istinto, i catanesi e i muscoli del loro viso quando passano da lì un minimo di reazione l’accennano, arricciando il naso e serrando le labbra.
Nessuna reazione invece – non solo da parte di “semplici” cittadini, ma soprattutto di magistratura, Soprintendenza, associazioni di tutela del patrimonio storico e architettonico, presunte opposizioni – di fronte a un nuovo, silenzioso, strisciante sacco di Catania.
Faccio qualche esempio: già da qualche anno, nella zona fra largo Rosolino Pilo e piazza Verga, antiche costruzioni (alcune anche di prestigio e già offese negli anni Sessanta e Settanta da un proliferare di funghi multicolori) vengono abbattute en un clin d’oeil per fare spazio a ben più redditizi futuribili edifici che somigliano molto da vicino a delle astronavi. L’ultimo episodio l’ho notato qualche settimana fa: in via Musumeci c’era un palazzetto degli inizi del Novecento in ottimo stato e con un’invidiabilissima terrazza. Sono passata e non c’era più: c’è una voragine adesso, come dopo i bombardamenti, e chissà quale miscuglio di acciaio e materiali altamente tecnologici andrà a deturpare una zona già saccheggiata nei decenni.
Ora, dato che non sembra che a Catania l’emergenza abitativa sia così grave, è realistico che lo scempio serva a fare uffici e studi legali da vendere a un miliardo a mattonella e per la cui costruzione servirà una semplice licenza edilizia dal momento che a Catania il Piano regolatore non esiste.
Ma è possibile che in questa città ciascuno possa svegliarsi una mattina e fare il suo dio senza che nessuno accenni a una minima protesta? E’ possibile che la magistratura non si accorga di quel che accade a due passi dal Palazzo di Giustizia? E’ possibile che da quelle parti non sia passato, per dire, un esponente di Italia nostra o di qualche altra associazione che abbia a cuore la tutela della memoria storica della città?
A volte ho il sospetto che i catanesi siano stati rapiti dagli alieni, lobotomizzati e rimessi in circolazione come automi senza pensieri e senza emozioni. Altrimenti c’è solo un’altra spiegazione: che siano esattamente uguali agli amministratori corrotti, corruttibili e inetti che d’altra parte hanno eletto; che la loro indifferenza sia funzionale al poter fare anche loro quello che vogliono passando attraverso la catena di montaggio dei favori e senza sottoporsi alle leggi; che il loro silenzio dipenda dal fatto che sono ricattabili.

mercoledì 22 settembre 2010

Sinistra? Ma de che?

Allora, vediamo di fare un elenco delle cose che piacciono ai dirigenti del Pd:

- Industriali (che già sono cattivi per definizione: loro li preferiscono cattivissimi)
- Banche e banchieri
- Uomini di potere in odor di mafia
- Congreghe segrete e loro filiali palesi (per intenderci, massoneria e club services)
- Appalti e gare truccate
- Potere
- Soldi
- Salotti buoni
- Gioielli e tacchi alti
- Alte cariche ecclesiastiche


No, nell’elenco i lavoratori non ci sono.
Ora, dato che in politica “sinistra” non è solo un’indicazione geografica, ma intende le forze che prima di tutto hanno a cuore la tutela dei diritti dei lavoratori e dei ceti sociali più deboli, perché il Pd si ostina a definirsi sinistra? E perché, soprattutto, gli elettori di sinistra continuano a votare un partito inequivocabilmente di destra? Non è che, in fondo, è comodo e fa chic essere di sinistra, ma solo finché non si toccano i privilegi?

P.S.: l’elenco è ovviamente incompleto perché dopo un po’ che penso alle cose peggiori del mondo mi viene da vomitare e mi devo fermare: si accettano integrazioni.

giovedì 16 settembre 2010

Matita blu

Il dottor Alberto Lomeo l’ha detto chiaro: quella di aneurisma all’aorta è una diagnosi grave.
Intervistato dal Tg regionale della Rai, dopo aver presentato un esposto alla magistratura di Catania, Lomeo – che è primario di Chirurgia vascolare all’ospedale Cannizzaro – ha spiegato che, se il paziente ha una cosa del genere, la sua attività è fortemente limitata e comunque va operato subito se non si vuole rischiare la rottura dell’aorta e la morte quasi certa.
Il fatto è che il paziente in questione si chiama Raffaele Lombardo ed è il “governatore” della Sicilia e che questa diagnosi, con tanto di referto (che Lomeo si sarebbe rifiutato di firmare), è stata fatta da un medico che lavora proprio in quel reparto di Chirurgia vascolare del Cannizzaro e risale proprio ai giorni in cui il presidente della Regione – secondo voci di corridoio – rischiava l’arresto nell’ambito dell’inchiesta su mafia e politica in cui è coinvolto insieme al fratello.
Ora qui i casi sono due: o il medico in questione dal punto di vista professionale è un cesso e (conseguentemente) un assassino, perché se fai una diagnosi di quel genere – a quanto capisco – devi preparare subito l’intervento chirurgico per evitare che il paziente esploda alla prima incazzatura (e per uno che fa politica non è difficile che accada) e che ti mettano sotto inchiesta per malasanità; oppure è un fuorilegge (la procura ha ipotizzato il reato di falso) o un suddito che dichiara una cosa che non è per collusione o per sottomissione.
In ogni caso, è interessante leggere la dichiarazione stizzita dello specialista in questione che – fingendo di incazzarsi per la violazione della privacy di Lombardo – sembra piuttosto voler parargli e pararsi il culo attraverso un uso smodato dei termini tutela e tutelare: il cardiologo infatti sostiene che queste notizie siano state diffuse “per fini certo diversi da quello della tutela della salute” e quindi avverte: “A tutela della mia onorabilità preannuncio fin d’ora che tutelerò la mia correttezza professionale nelle sedi opportune”.
Tre volte in poche righe è da matita blu.

lunedì 13 settembre 2010

Il partito del Fatto (nell'assenza dei partiti)

E così Il Fatto (quotidiano) si è fatto – scusate il bisticcio di parole – partito. Una volta erano i partiti a organizzare le feste dei loro giornali; ora è il giornale che organizza la festa – tre giorni in Versilia, comme il faut: con dibattiti politici, proiezioni di film, spazio libri e momenti di divertimento - del partito che gli è nato e cresciuto intorno quasi inconsapevolmente.
Una volta erano i partiti a scrivere le proposte di legge e portarle in Parlamento, ed erano i partiti e gli uomini di sinistra a fare quelle serie e importanti. Uno per tutti, Pio La Torre, di cui indegnamente e infangandone la memoria il Pd si proclama erede. La legge seria e importante – quella contro la corruzione - ora l’ha scritta il Fatto. Evento curioso ma onore al merito, dal momento che i partiti che stanno in Parlamento e certamente il principale (?) partito di opposizione (???) si guarda bene dal disturbare il manovratore mentre i veri partiti di opposizione che stanno fuori dal Parlamento – ormai afasici e depressi, spero non cronicamente - sembrano non riuscire a riemergere dalle sabbie mobili nemmeno con una legge di iniziativa popolare. Lodevole, dunque, l’iniziativa del Fatto, giornale ottimo, serio e combattivo (anche se alcuni suoi giornalisti – permettetemi un appunto – sconoscono l’uso della punteggiatura e a volte ti sembra di esserti imbattuto nell’oracolo della Sibilla cumana) e sicuramente preferisco il partito del Fatto al partito del fare (che poi sarebbe del farsi i cazzi propri, cioè quello di Berlusconi) e a quello dei fatti e strafatti, ma francamente preferirei tornare a quella cosa antica che si chiama “centralità della politica” e vorrei che quella cosa antica fosse gestita da quell’altra cosa antica, ma ancora sinonimo di democrazia, che sono i partiti. Partiti veri: non partiti-giornali, né partiti-persona (e ce n’è, ahimè, anche nel centrosinistra e nella sinistra), né tantomeno partiti-azienda.
Perché in tutti e tre i casi si rischia il qualunquismo. Ora, per esempio, oltre che le feste e le leggi, c’è una terza cosa che Il Fatto si è intestato al posto dei partiti: una cosa che non amo, come quasi tutto ciò che viene dall’America, ma ormai esiste, è realtà consolidata e bisogna farci i conti, e cioè le primarie. Sarà che non mi sento rappresentata da nessuno dei candidati proposti dal quotidiano – Bersani, Fini, Di Pietro, Grillo, Pannella e Vendola, perché dei primi due, uno è il leader di un partito che ha svenduto gli interessi dei lavoratori e il secondo è un fascista, mentre gli altri coltivano il culto della personalità e sono essi stessi “partito” -, ma mi sembra che in questo caso il giornale indulga all’antipolitica.
Certamente c’è da stare preoccupati a leggere i commenti di alcuni lettori che rispondono a quello che Il Fatto saggiamente chiama “sondaggio”. Vogliamo fare un esempio? Ce n’è uno, tanto per dire, che si cimenta nel gioco del governo, facendo i nomi di chi dovrebbe farne parte e ipotizza una sorta di monocolore democristiano – cioè Pd – con Bersani premier e qualche piccolissima concessione a esponenti di altri partiti (ammesso che Vendola possa essere considerato di un altro partito), dimenticando che il cosiddetto maggior partito di opposizione oggi è un po’ sopra il 20% e quindi c’è poco da fare gli “sboroni” e anzi sarebbe auspicabile un po’ di umiltà, magari ricordando a cosa ha portato l’autosufficienza veltroniana. Ma il lettore in questione dà il meglio (!) di sé quando assegna le deleghe e una in particolare, riproponendo una visione del mondo vecchia, maschilista e di divisione di ruoli. Insomma, secondo lui non solo alle Pari opportunità, ministero universalmente considerato minore, quasi uno zuccherino, è ovvio che debba starci una donna, ma per di più dovrebbe starci l’unico essere umano (a prescindere dal sesso) con i controcazzi che sia rimasto nel Pd: Rosi Bindi. Roba da far drizzare i capelli in testa.
Poi c’è un altro che propone una “Federazione di sinistra” fra “Pd, IdV e Vendola” e auspica da parte di quest’ultimo una leadership di colloquio con i giovani individuata in Debora Serracchiani. Vediamo di analizzare questa proposta: 1) il confuso lettore dimentica che esiste già la “Federazione della Sinistra” (Prc, Pdci, Socialismo 2000 e Lavoro e solidarietà) e infatti non ne parla proprio; 2) il Pd non è un partito di sinistra, per sua stessa ammissione e perché è nei fatti (qualcuno ricorda Calearo?); 3) è evidente che anche lui considera Vendola un partito (lo ribadisco: si chiama culto della personalità, che al diretto interessato non sembra dispiacere affatto); 4) Debora Serracchiani? Ma l’ha mai sentita parlare? Questa è una che si è fatta eleggere spacciandosi per “nuovo che avanza” e ha una terminologia da vecchio volpone della politica, per di più senza capire un cazzo di politica. Ma la gente dove vive?
Vogliamo continuare? Ma sì, vi annoio ancora per un po’. Giusto il tempo di notare che la gran parte di quelli che sostengono Vendola ha un’argomentazione comune e cioè che il governatore della Puglia parla bene. Cioè, è un grande affabulatore. Cioè, detta ancora più chiaramente: è bravissimo a prenderci per il culo. Poi ci sono quelli che sbavano per Grillo, chi definisce Bersani un ottimo leader e l’unica alternativa (scusate se mi sto scompisciando dalle risate) e infine chi lancia un nuovo candidato nell’agone e dichiara che “il sogno (non specifica di che genere) sarebbe la Finocchiaro”.
Infine qualcuno – drammaticamente – non lascia un commento, ma soltanto un nome e un cognome: Enrico Berlinguer. Appunto: perché partiti veri non ce n’è più e dirigenti politici nemmeno.

sabato 11 settembre 2010

Compagni e borghesi

Un mio amico ha lasciato la moglie perché ama un'altra donna. "Non mi andava - mi ha spiegato - di fare la cosa squallida dell'uomo sposato che ha l'amante". Questi sono i compagni, quelli che fanno le cose alla luce del sole e che tutelano la lealtà come un bene prezioso. Gli altri, anche se si definiscono compagni, sono solo merde borghesi.

giovedì 9 settembre 2010

Massimo D'Alema, Franco Basaglia e Napoleone Bonaparte

Diciamocelo chiaramente: il primo a parare il culo all’infimo dittatore non è stato Massimo D’Alema (che certamente rosicherà all’idea di perdere questo primato), ma un altro uomo di sinistra. E’ stato Franco Basaglia, che alla fine degli anni Settanta spiegò che era il momento di eliminare i matti ope legis (non è andata esattamente così: la legge l’hanno fatta e poi le hanno messo il suo nome, anche se lui non era d’accordo, ma tant’è). Solo che lui (a differenza di D’Alema) era in buona fede: lui davvero credeva che si potessero curare, che la società potesse farsene carico senza rinchiuderli e poi già allora erano passate abbondantemente di moda le patetiche barzellettine sui manicomi e sul solito, immancabile ospite che cammina avanti e indietro con la mano sotto la giacca altezza petto.
Che ne poteva sapere il povero Basaglia che un giorno quelle barzellette sarebbero tornate di attualità? Non poteva certo immaginare che nella realtà italiana una trentina d’anni dopo sarebbe apparso un ometto, un omuncolo che pensava di essere il padrone e di poter licenziare il Presidente della Camera e dare ordini al Presidente della Repubblica.

martedì 7 settembre 2010

Sei un cretino!

Ora l’indagato è il pilota. Sempre così: cade un aereo e l’indagato è il pilota (meglio se morto, così non si può difendere); un treno deraglia e l’indagato è il macchinista; un’auto arriva in picchiata sugli spettatori durante una gara e l’indagato è il pilota.
Atto dovuto, certo. Così anche per quello che è accaduto due giorni fa durante la cronoscalata Catania-Etna, dove è morto un ragazzo di 27 anni. Il pilota, sembra di capire, avrebbe perso il controllo della vettura. Ma il fatto è che quel ragazzo lì, su quel muretto insieme a tutti gli altri, non avrebbe dovuto starci perché si sapeva che era in una curva pericolosa e c’era pure scritto. Eppure nessuno si è preoccupato di non farli stare là.
In tv ho sentito un giornalista intervistare qualcuno. Due domande: alla prima – chi avrebbe dovuto impedire la presenza di quelle persone su quel muretto – quel qualcuno ha risposto correttamente, spiegando che avrebbero dovuto farlo gli organizzatori e le forze dell’ordine. Alla seconda – sul perché non l’hanno fatto – è arrivata la risposta sbagliata: fra il compiaciuto e il divertito, l’uomo al microfono ha infatti certificato che “noi siciliani siamo ingovernabili”.
Beh, sai che ti dico? Sei un cretino! Non mi interessa se sei un grande esperto di gare automobilistiche: chiunque tu sia e se anche fossi il Presidente della Repubblica, dopo che hai detto una cosa del genere sei solo un cretino.
E perché mai, di grazia, si può schierare l’esercito contro lavoratori in lotta per il loro futuro e non si può mandare via (anche con la forza, se necessario, visto che serve a salvargli la vita) una folla di tifosi? Cosa raccontiamo ai genitori di quel ragazzo di 27 anni, che loro figlio è morto perché “noi siciliani siamo ingovernabili”? Io, invece che il pilota, nel registro degli indagati iscriverei quello che ha detto una simile cazzata: atto dovuto, contro la stupidità.

lunedì 6 settembre 2010

Il comitatone d'affari

Dalle indagini sulla cricca dei Servizi sociali di Catania al libro dei favori: da questo pezzo, scritto per il numero in uscita di Casablanca, emerge chiaramente come in Sicilia la sudditanza a Lombardo non abbia colore politico e come la Prima Repubblica non sia mai finita


La verità è che – al di là degli scontri sul governo, delle discussioni su chi sia maggioranza e chi opposizione, delle rivendicazioni di paternità a proposito di riformismo, dei correntismi, degli spezzettamenti e delle ricomposizioni anomale; e da qualunque parte la si guardi e anche a costo di apparire qualunquisti – l’inchiesta sulla cricca catanese dei servizi sociali, con tutte le indagini correlate come quella sul famoso libro delle clientele di Lombardo o l’altra su presunti rapporti con la mafia, svela come, al momento di spartirsi la torta (non solo soldi, ma soprattutto voti e dunque potere), Catania e la Sicilia siano in mano ad un unico, enorme comitato d’affari che mette radici nella Prima Repubblica e continua a proliferare nella cosiddetta Seconda Repubblica.
Per accorgersene, basta spulciare i nomi dei 16 arrestati e dei 55 indagati dell’inchiesta che ha svelato l’esistenza di un vero e proprio “sistema” per aggiudicare agli amici gli appalti per servizi (che spesso non venivano nemmeno erogati) alle fasce sociali più deboli: uno a me e uno a te, uno a Lombardo e uno a Firrarello, uno all’Mpa e uno al Pdl - compreso qualche esponente di An -, e poi sindacalisti Cisl, candidati di presunte liste civiche/civetta legate al sindaco Stancanelli, qualche ex socialista magari non transitato in Forza Italia e nelle sue successive metamorfosi, ma certamente rimasto con le mani in pasta. Con ruoli determinanti, comunque, degli uomini di Raffaele Lombardo. Tanto che la procura di Catania, forse anche sollecitata da un video del giornalista Antonio Condorelli passato sul sito del quotidiano “Il fatto”, ha deciso di estendere le indagini e cominciare a esaminare anche il “libro delle clientele” saltato fuori all’indomani dell’elezione del presidente della Regione.
E’ del Movimento per l’autonomia, ad esempio, l’ex assessore alle Politiche sociali della giunta Scapagnini, Giuseppe Zappalà, arrestato perché secondo il procuratore aggiunto di Catania, Michelangelo Patanè, era il “referente politico” dell’ideatore della megatruffa ai danni dei più deboli: quell’Ubaldo Camerini (anch’egli finito in cella, ma per il tempo di un batter di ciglio), responsabile del settore amministrativo dell’assessorato oltre che del distretto socio-sanitario numero 16, non nuovo a quanto sembra a maneggi e dimostrazioni di arroganza di ogni genere, come dimostra un’altra inchiesta della magistratura catanese, dell’ottobre 2009, dalla quale è emerso che il direttore dei Servizi sociali e la sua banda avevano magicamente trasformato in premi di produzione per il personale oltre cinquanta dei poco più di settanta milioni di euro del progetto “Estate sicura” 2004 che prevedeva l’acquisto di condizionatori d’aria per i vecchietti. Ovviamente, se è vero quanto riferiscono alcuni dipendenti comunali, nella gamma delle manifestazioni di arroganza non poteva mancare l’isolamento e poi l’epurazione di collaboratori che avevano il grave torto di essere “persone per bene”.
Zappalà, come da copione, al momento dell’arresto è stato colto da malore (che gli viene sempre dopo, quando vengono beccati con le mani nella marmellata, e mai prima di compiere le loro porcherie) e così ha vinto una vacanza a casa. Anche se sembra che una casa non ce l’abbia, perché i magistrati avevano emesso anche nei suoi confronti (come in quelli di Camerini) un provvedimento di sequestro di beni e hanno scoperto che risulta nullatenente, povero in canna. Un’epidemia, quella del malore postumo, che ha colpito anche Nino Novello, avvocato e dirigente dell’Unione italiana ciechi, rappresentante legale della cooperativa “Città del Sole” (il cui nome rende omaggio all’opera di Tommaso Campanella “che – si legge sul sito della coop – propone un modello ideale di società di giustizia e di uguaglianza ed, insieme, l’utopia di un totale rinnovamento civile e spirituale” e che da quasi un ventennio è assegnataria di appalti e finanziamenti vari, da sola o nel ruolo di capofila, come è accaduto nel 2009, quando la Fondazione Sud stanziò trecentomila euro per un progetto di recupero dell’arte dei pupari da far conoscere anche a giovani non vedenti), dirigente regionale della Lega delle Cooperative, associazione che nelle ore successive all’operazione del Carabinieri (arrivata a conclusione di due anni di indagini) lo aveva sospeso dalla carica, “in ottemperanza al codice etico”, ma pochi giorni dopo lo ha reintegrato e rinnovato la fiducia motivando la decisione – si legge in un comunicato di sfida al senso del ridicolo – “alla luce degli sviluppi della vicenda giudiziaria di Catania”. Come se gli arresti domiciliari fossero una sentenza di assoluzione.
Emblematica la vicenda di Novello e della sua assoluzione per sentenza di Legacoop – che rappresenta le cooperative tradizionalmente etichettate “di sinistra” -, perché dà la misura di quel grumo di interessi trasversali che come un blob avvolge e soffoca la Sicilia impedendo qualunque sussulto di dignità a un popolo stremato: nella terra di Raffaele Lombardo e dell’opposizione che non fa opposizione, se vuoi lavorare ti serve la raccomandazione; se hai bisogno di un trapianto, ti serve la raccomandazione; persino se devi iscrivere il bambino all’asilo ti serve la raccomandazione. E’ questo quello che emerge dal libro delle clientele di Raffaele Lombardo, migliaia di clientes e di favori elargiti a destra e a manca; ed è questo che ha evidenziato fra le righe ma non troppo Sonia Alfano, durante una conferenza stampa tenuta nel maggio del 2008 dopo la scoperta di questo documento zeppo di nomi e di casi umani di ogni genere, oltre che di politici di ogni schieramento, quando chiedeva dove fosse finito “il capo dell’opposizione” siciliana e aggiungeva che quell’incontro con i giornalisti avrebbero dovuto indirlo “la senatrice Finocchiaro e il Pd siciliano”. Già, e come avrebbero potuto dal momento che (molto prima che persino Beppe Lumia decidesse inspiegabilmente di fare da stampella al “riformatore” Lombardo) i nomi di alcuni esponenti di quel partito figurano fra i questuanti? C’è bisogno di un grande lavoro di intelligence, per esempio, per scoprire chi è quel G. V., “deputato regionale e sindacalista” (ne parlava Antonio Condorelli in un articolo su Centonove) che chiede una docenza a Palermo per una laureata in Ingegneria?
Ma dal “libro” emerge anche il ruolo fondamentale dei Servizi sociali, settore che vive su fondi statali vincolati e che dunque non possono venir meno in caso di insolvenza del comune (come è il caso di Catania): referente il solito ex assessore Zappalà, fra le associazioni che chiedono un finanziamento (centomila euro) per un progetto redatto facendo riferimento alla legge 285, c’è per esempio la Muoversi per gli altri. Acronimo: Mpa.
Stupisce però – e secondo alcuni uomini di legge è difficile che si tratti di un fatto di prescrizione dei reati – che la magistratura catanese abbia limitato le sue indagini sulla cricca dei Servizi sociali a un periodo relativamente recente, trascurando invece quello in cui l’assessore era Forzese (della cui gestione “spregiudicata” parlano in molti, ricordando le convenzioni con case di riposo o di accoglienza dei minori “a costo pieno”: l’appalto prevedeva dieci e – a quanto si dice - veniva pagato per dieci, anche se gli assistiti reali erano tre) e soprattutto in cui accanto a un sindaco vanesio ed evanescente sedeva e comandava un vicesindaco molto potente: Raffaele Lombardo.

venerdì 3 settembre 2010

Beppe Lumia e la pozione magica

Qualcuno deve avere fatto un sortilegio a Beppe Lumia. Che so, di quelle cose che ti preparano un filtro d’amore e tu lo bevi proprio nel momento in cui passa la persona sbagliata. Lui la sua pozione l’ha bevuta mentre passava Raffaele Lombardo e da quello stesso istante si è convinto di avere a che fare con il miglior moralizzatore e riformatore del mondo.
Tanto da scrivere una lettera ai giornali – in questo perfettamente fedele alla linea di un partito in cui ognuno si alza una mattina e pensa di dover diffondere il (proprio) verbo urbi et orbi - che devi leggerla fino in fondo per capire e, quando hai finito, la rileggi e poi la rileggi ancora due, tre volte e ancora non sei del tutto certo di non avere le traveggole.
Già perché lui comincia con una denuncia da oppositore e per un attimo pensi che sia rinsavito rispetto a qualche mese fa quando era riuscito a far perdere la faccia persino al suo partito (che in questo non ha affatto bisogno di “aiutini”): “Da sempre – scrive l’ex presidente dell’Antimafia - la Sicilia è stata ostaggio di una classe politica che ha fatto dell’intermediazione burocratico-clientelare e affaristico-mafiosa la principale attività per la costruzione del consenso”.
Cazzo – pensi -, bravo compagno Lumia, bentornato nel mondo! E invece no, perché poi, in un altro passaggio della lettera, scopri che al senatore si sono intrecciate le idee: “Nella sanità, nei rifiuti, nelle energie alternative la classe politica al governo ha costruito dei centri di spesa formidabili attraverso cui coltivare clientele e affari: dal conferimento di un incarico nella sanità, all’offerta di un posto di lavoro, al grande appalto da far vincere magari a qualche impresa mafiosa. Ne sa qualcosa l’ex presidente della regione Totò Cuffaro, condannato in secondo grado per favoreggiamento aggravato per aver agevolato la mafia”. Quindi, se tanto mi dà tanto, quest’analisi si ferma a Cuffaro e non riguarda Lombardo, perché Lumia anzi – dopo avere invocato ed evocato “la stagione delle riforme, fortemente sostenuta dal Partito democratico siciliano – sentenzia che “sulla condivisione e il sostegno alle riforme di rottura (come la ripubblicizzazione del servizio idrico, l’abolizione degli Ato rifiuti, la riforma della Sanità) si rinnoverà il sistema politico siciliano per dare spazio alla buona politica, liberare il voto e perseguire finalmente il bene della Sicilia e dei siciliani”.
E già qui qualche preoccupazione sulla lucidità di Lumia ci permettiamo di nutrirla: quella della ripubblicizzazione del servizio è una balla grande quanto una diga e lo hanno capito pure le fontanelle e, quanto alla riforma della Sanità, ora è così che si chiama il Risiko giocato da Lombardo che ha già piazzato i suoi carri armati persino in Kamchatka espugnando le truppe clientelari dei suoi predecessori ed ex alleati solo per sostituirle con le proprie schiere di clientes?
Ma è sul finale che il senatore antimafioso dà il meglio di sé, magnificando l’apporto dato dal suo partito alle presunte riforme lombardiane: “E’ questa l’antimafia vera: quella dei fatti e non degli slogan e delle manifestazioni, che colpisce Cosa nostra al cuore dei suoi interessi e della sua rete di potere”. Minchia! Tutto va bene nel migliore dei mondi possibili, per dirla con Candide.
Qualcuno gli somministri al più presto un antidoto, per piacere!

Prevaricazione e sopraffazione

“Non è certo con la prevaricazione e la sopraffazione che si ottengono risultati positivi”. Belle parole, bellissime. Ma quanto sono bravi i nostri politici di destra a pronunciare parole alte: valori, morale, libertà, dio, patria, famiglia…ora pure questa: “Non è certo con la prevaricazione e la sopraffazione che si ottengono risultati positivi”.
L’ha detto il sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, con riferimento alla protesta degli operai della ex Cesame. E, francamente, a sentirlo ti scappa da ridere come quando Fini e suoi dicono che nei loro confronti – in occasione del discorso del presidente della Camera “alla nazione” (bum!) – la ministra alle autoreggenti sta organizzando gli squadristi: insomma, una specie di legge del contrappasso che si starebbe abbattendo sui fascisti.
Prevaricazione e sopraffazione? Vorrei sommessamente ricordare al sindaco di Catania che prevaricazione e sopraffazione non è mettere in atto una protesta per rivendicare i propri diritti – anzi, il primo e fondamentale: quello al lavoro -, come hanno fatto gli operai della ex Cesame: prevaricazione e sopraffazione è privare un uomo del lavoro e della sua dignità; prevaricazione e sopraffazione è privare un uomo della possibilità del futuro; prevaricazione e sopraffazione è prendere per il culo per cinque anni i lavoratori e le stesse istituzioni firmando protocolli per il ricollocamento degli ex operai negli enti locali e disattendendo puntualmente tutti gli accordi.
Prevaricazione e sopraffazione è ridurre la gente alla disperazione, in modo da costringerla ad elemosinare un lavoro purchessia e a pagarlo profumatamente con pacchetti di voti. E questo, forse, se non è peggio dell’olio di ricino poco ci manca.