lunedì 27 settembre 2010

Iacp Catania, un pentolone nauseabondo

A leggere la relazione degli ispettori inviati circa un anno e mezzo fa dall’Assessorato regionale ai Lavori pubblici (in seguito a una serie di denunce e segnalazioni) per vedere cosa accadeva all’interno dell’Istituto autonomo case popolari di Catania, c’è da mettersi le mani nei capelli. E, più leggi e più ti ripeti che non è vero, che non può essere vero.
E invece sì e parlano le carte.
Uno e multipli di tre, per avere accentrato su di sé tutte le cariche dirigenziali -secondo quanto scrivono nella loro relazione i dirigenti regionali Cosimo Aiello, Aldo Gangi e Castrenze Marfia a conclusione dell’attività ispettiva che comunque per loro andrebbe ulteriormente approfondita ed estesa “almeno a un decennio dell’attività dell’istituto” -, il Direttore generale dello Iacp, Santo Schilirò, metteva le mani in tutti i settori più importanti dell’istituto e lo faceva perché, con la scusa che non c’erano in organigramma figure dirigenziali adeguate, si autonominava reggente. Ad interim, che in realtà significherebbe per un breve periodo e invece nel suo personalissimo vocabolario di latino significava “a vita”. E per di più con pieni poteri e senza oppositori, perché – a quanto sembra di capire – in questa gestione dittatoriale alcuni erano amici e complici, tutti gli altri avevano paura.
Gestione dittatoriale e familiare, sempre a giudicare da quello che scrivono gli ispettori, perché Schilirò l’istituto delle case popolari lo gestiva come fosse la sua casa (non popolare) ma certamente non con la diligenza del buon padre di famiglia. Anzi. Facendo favoritismi, discriminando alcuni impiegati evidentemente non allineati, truccando le carte, spendendo e spandendo: tanto che gli ispettori hanno detto che il risultato dei loro accertamenti andava inviato alla Procura di Catania e alla Corte dei Conti, perché si ravvisavano reati penali e danni all’erario.
E, giusto per dovere di cronaca, bisogna dire che di questa storia si sarebbe saputo poco se non fosse stato per i Comunisti italiani, che hanno tenuto una conferenza stampa in cui Orazio Licandro è arrivato con una carpettina piena di documenti serviti a scoperchiare quello che il responsabile nazionale Organizzazione del Pdci-FdS ha definito “un pentolone nauseabondo”.
Ma andiamo con ordine e vediamo di riassumere il contenuto della relazione degli ispettori, trasmessa al Dipartimento regionale dei Lavori pubblici il 9 marzo 2009. La premessa è che l’ispezione è stata disposta “a seguito di copiosa corrispondenza”: dopo di che i tre si sono messi a studiare centinaia di pagine e hanno ascoltato i dipendenti dell’Istituto traendone l’impressione che la cosa vada approfondita ulteriormente data la “notevole quantità di fatti e attività” venuti alla luce. E guardate un po’, per punti – prima di scendere nei dettagli (con l’avvertenza di assumere prima un gastroprotettore e un antiemetico) –, a cosa si riferiscono i “fatti di assoluta discrezionalità operati” da Schilirò ed elencati nella lettera di accompagnamento della relazione: “gestione di protocollo con inserimenti postumi di allegati; mancanza di registri di catalogazione per le delibere del Consiglio di Amministrazione; assegnazioni arbitrarie di alloggi, di locali in favore di parenti e sigle Sindacali per i quali non sempre è stato percepito alcun canone di locazione; pagamenti anomali per spese di economato; rinvio di pensionamento; assunzione di personale”.
Bene, se avete già preso le medicine, mettetevi comodi che vi spiego punto per punto a cosa si riferivano gli ispettori. Con l’ulteriore premessa che, già commissariato, Schilirò pretendeva di continuare a prendere decisioni, lui e il Cda, che – come sanno anche i bambini – quando arriva il commissario decadono e, inoltre, che il Direttore si era autonominato dirigente dell’Area contabile e amministrativa, del Servizio legale e dell’Area tecnica e in più anche Presidente del nucleo di valutazione e verifica del personale, segretario del Cda (incarico che può essere svolto da un funzionario qualunque, ma che – secondo i bene informati – avrebbe avocato a sé proprio per tenere sotto controllo la situazione)….insomma: lui se la cantava e lui se la suonava. E, proprio per cantarsela e suonarsela quando e come voleva lui, in base a quanto riscontrato dagli ispettori, nel Protocollo faceva lasciare alcuni numeri vuoti, così da metterci quello che voleva anche successivamente, e per di più in pratiche protocollate inseriva gli allegati con molti anni di distanza: allegati – come dire? – a cazzo di cane, perché spesso non c’entravano niente con l’oggetto della pratica. Poi non c’è traccia di molte delibere del Cda o di “determine e provvedimenti del Direttore”, mentre – altro che tracce! – le impronte digitali (metaforiche) di Schilirò sembrano macchiare i documenti di assegnazione di case popolari a gente che risultava proprietaria di appartamenti o che comunque non aveva i requisiti, come pure le carte grazie alle quali il figlio di Schilirò, Ettore, vinceva la lotteria di un locale commerciale in piazza Spedini, teoricamente in affitto, di cui il rampollo di questa famigliola esemplare (ancora non è finita: vedrete dopo) non solo non ha mai pagato il canone ma se l’è fatto ristrutturare a spese dello Iacp e da operai dello Iacp. E mentre ci siamo, vogliamo continuare a parlare della famiglia? Bene. La moglie di Schilirò, dipendente dell’Istituto, avrebbe dovuto andare in pensione nel 2006 ma il marito ha ritardato di anno in anno il pensionamento, fino al 2009, non senza avere un anno prima promosso la stessa signora caposervizio, inutile dire con quali benefici per la sua pensione. La nuora di Schilirò, invece, partecipò a un concorso nella cui commissione c’era il suocero, che si era guardato bene dal dichiarare la propria incompatibilità e, anzi, aveva fatto di più: aveva predisposto lui i quesiti da sottoporre ai candidati. Dal produttore al consumatore. Poi, famiglia estesa, ci sono gli amici: come quella dipendente a cui il Direttore ha fatto rimborsare delle spese legali senza nemmeno vedere la sentenza (che, infatti, non si trova) o quel sindacalista (Carlo D’Alessandro, segretario del Sicet, il sindacato della Cisl che dovrebbe tutelare gli inquilini, e componente del Cda Iacp) che si è fatto rimborsare le spese di numerosi viaggi in nord Italia solo sulla parola: perché, anche in questo caso, di ricevute, fatture, scontrini, pezze d’appoggio qualsiasi, nemmeno l’ombra. Per non parlare del fatto che lo stesso sindacato ha avuto assegnate della case dallo Iacp che non si è mai curato di chiedere il pagamento dell’affitto.
E quanto alle spese dell’Economato, gli ispettori scrivono educatamente che “in alcuni casi non sembrano attinenti all’attività dell’Ente”. Effettivamente, si tratta di giochi per pc, riviste di computer, una cuffia per ascoltare musica e perfino una irrinunciabile enciclopedia della casa.
Gli ispettori non hanno dubbi sul fatto che le carte debbano essere esaminate dalla Procura per gli aspetti penali e dalla Corte dei Conti per il danno alle casse pubbliche, ma – dopo che un giornale ha pubblicato stralci della loro relazione – il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, noto moralizzatore, oltre che riformatore, ha disposto un nuova ispezione. E sapete con quale obiettivo? “Al fine di accertare la fondatezza di quanto riportato da un periodico locale circa presunte irregolarità nell’assegnazione di alloggi popolari”. Ma perché, se va nella sede del Dipartimento Lavori pubblici della Regione di cui lui è presidente non gliele danno le carte?

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