Ai funerali c’è sempre qualcuno che dice una battuta
ironica e un altro che diventa paonazzo nel tentativo di non ridere in maniera
scomposta; ho visto gente ridere inebetita ai funerali di genitori molto amati.
È un modo per esorcizzare la morte, persino la propria morte.
Quelli di Charlie Hebdo, i pochi che sono rimasti, l’anno
scorso, subito dopo l’attentato alla loro redazione da parte di integralisti
islamici, subito dopo essere stati ammazzati, hanno riso sulla loro stessa
morte, per vincere la paura, per costringersi a raccattare brandelli di corpi
disseminati qua e là, riattaccarseli alla meno peggio e ricominciare vivere. È
un giornale satirico, la satira è il suo linguaggio, spesso fa un male cane e
arriva al centro della questione, a volte non fa ridere come quando un
cantautore che ha sempre scritto canzoni bellissime per un attimo perde la vena
o uno scrittore da Nobel partorisce un romanzo che fa cacare. Li vogliamo lapidare
per questo?
Quelli di Charlie Hebdo un paio di giorni fa hanno riso di
nuovo sulla morte, sulla nostra morte questa volta, e hanno fatto una vignetta (oggettivamente brutta) sui
terremotati del centro Italia che ha fatto incazzare il nostro piccolo mondo
incapace di chiedersi se c’è vita non su Marte ma in un diametro che superi
quello del proprio ombelico. Vorrei tentare un’esegesi di quella vignetta
satirica – l’unico codice linguistico, forse è il caso di ripeterlo, per quanto
possa fare male, che un giornale satirico abbia a disposizione –: quel disegno
con i morti tipo sandwich e condimento “sauce tomate” non era satira contro i
morti, ma contro i vivi che li hanno ammazzati. Messi a strati nelle case,
nelle scuole, negli ospedali che avrebbero dovuto essere antisismici e
antisismici non erano perché ci si sono presi le mazzette sulla costruzione di
quegli edifici. A strati in quelle case, in quelle scuole, in quegli ospedali i
morti di Amatrice e di Accumoli non ce li ha messi Charlie: ce li hanno messi
politici e funzionari corrotti che hanno concesso le licenze edilizie e chi non
ha mai attuato in maniera seria il piano nazionale per la prevenzione del rischio
sismico. Ma noi italiani ce la prendiamo con Charlie. Che infatti ha dovuto
replicare con un’altra vignetta e, visto che siamo scemi, ha dovuto spiegarci
che le case agli italiani non le ha costruite Charlie, ma la mafia. Vogliamo dargli
torto? In Italia non solo le case, ma le strade, i ponti, gli ospedali e
persino le carceri e i tribunali vengono costruiti da mafiosi e paramafiosi, il
cemento depotenziato è una nostra specialità come l’arancino per i siciliani e
la bagna cauda per i piemontesi, e noi ce la prendiamo con Charlie? Charlie fa
il suo mestiere, ride su tutto e se è il caso pure sulla morte; lo ha fatto per
la propria, lo ha fatto per la nostra. E forse più che indignarci sui
vignettisti che ancora una volta cercano di sconfiggere la paura attraverso la
risata, dovremmo incazzarci con noi stessi quando diamo fiducia a politici che
fanno affari con faccendieri, palazzinari e maneggioni. Quelli che ridevano sei
anni fa dopo il terremoto dell’Aquila, pensando quanto ci avrebbero guadagnato,
non erano vignettisti ma trafficanti di
denaro: fiumi di denaro con cui arricchirsi sulla morte degli altri. Eppure noi,
da integralisti italici quali siamo, ci indigniamo con Charlie.
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