sabato 31 dicembre 2016

Certificato di esistenza in vita

Sarà per una decennale pratica con l’ombrello di Altan, sarà perché – come sostengono di me in famiglia – sono nata storta, ma io sono dietrologa. E quindi non m’illudo. Non m’illudo che la Rai, da cui Renzi voleva cacciar fuori tutti i partiti tranne il proprio, quello che sta facendo lo faccia per spirito di servizio. Parlerei piuttosto di spirito di servizietto.
Insomma, Renzi si è alzato dalla sedia da perdente, ci ha lasciato sopra un cappello di nome Gentiloni e vuole tornare a sedersi da vincente. Ma per vincere avrebbe dovuto fare cose buone e non le ha fatte. L’unica che può utilizzare (e infatti la utilizza a proposito e a sproposito) è la legge sulle unioni civili. Che è solo un contentino, ma rispetto al nulla precedente è come quando nel deserto in mancanza dell’acqua bevi pipì: ti pare champagne.
Come quello che viene stappato nelle feste di matrimonio nella bella trasmissione di Rai3 che ogni sera racconta le storie di coppie omosessuali che finalmente hanno il loro riconoscimento legale: con tanto di sindaco o delegato dal sindaco, fascia tricolore, testimoni, fedi, parenti, parrucchiere, fiori, confetti, vestito buono. Bella, sì, la trasmissione «Stato civile. L’amore è uguale per tutti». È lecito pensare che qualcuno della dirigenza Rai forse avrebbe voluto farne uno spot elettorale, ma gli è venuto male. E invece – qualunque cosa ne pensino baciapile e omofobi che stanno scaricando sui social tutta la loro frustrazione - gli è venuta bene la cronaca o, meglio, il “docureality”, che ricostruisce in maniera seria, senza fronzoli o stucchevolezze e senza trattarli come fenomeni da baraccone, le vite reali di queste coppie: giovani e vecchi (commoventi gli ultrasettantenni, innamorati ed emozionati come bambini), raffinati e tamarri, colti e ignoranti, politicizzati e qualunquisti, perché nella vita reale si innamorano tutti.
Fra di loro c’è qualcuno che è stato male, molto male, e che in ospedale non ha potuto avere vicina l’unica persona che avrebbe voluto, considerata da una società ipocrita come un signor o una signora nessuno e invece era quella o quello con cui per decenni, tutti i giorni, tutti i minuti, aveva riso e pianto, litigato e fatto pace, condiviso le preoccupazioni per le bollette da pagare, la disperazione per un licenziamento o la gioia per un successo sul lavoro. Per loro quella cerimonia nuziale che conclude la trasmissione è il riconoscimento di tutti quei decenni, di tutti quei giorni, di tutti quei pianti, risate, preoccupazioni, soddisfazioni. E di tutti quei parenti. Parenti e amici.
È su questi ultimi che mi sono soffermata guardando ogni puntata. Ero curiosa di vedere le loro reazioni. Ho scrutato le loro facce pensando: forse qualcuno fa buon viso a cattivo gioco; forse qualcuno «non era di buon umore», come in Virginia il signor Brown. Invece erano tutti felici, persino la nonna e persino il padre burbero e tradizionalista. Forse dipende dal fatto che quelli più ostili non ci sono nemmeno andati, per marcare la distanza, per non rischiare di essere “contagiati” da quella che ritengono una malattia o per paura di provare un’emozione. Peggio per loro: non sanno che si sono persi.
Perché, al netto degli sciacallaggi e dei raggiri elettorali renziani, le emozioni sono il nostro certificato di esistenza in vita.


domenica 18 dicembre 2016

La corrispondenza (cazzeggio domenicale)

Stamattina rispondevo alle mail. No, non nel senso che intendete voi, digitando sulla tastiera delle risposte a domande o comunicazioni: io ci parlavo proprio. Ad alta voce.

Ho dato degli stronzi a quelli di Amazon. Al sesto libro di uno dei miei giallisti preferiti che mi proponevano di acquistare - dopo avere detto per cinque volte «no, grazie» o «mi piacerebbe, ma non posso» – gliel’ho urlato: ma allora siete proprio stronzi! Lo sapete che non me lo posso permettere, no? E poi sei, sette tutti in una volta, sicché se anche potessi acquistarne uno sarei messa di fronte al grande dilemma sul titolo da scegliere. Vi potrei anche denunciare per crudeltà mentale. Lo sapete, vero?

Poi ho parlato col papa, che di questi tempi sembra intrattenga rapporti epistolari con cani, porci e sindaci. E, a quanto pare, anche con me. Mi voleva vendere un calendario dei preti. Non ho capito bene se nudi come si conviene a modelle e modelli da calendario o in modalità «chiedilo a loro». Gli ho chiesto come cazzo ti permetti, non lo sai come la penso? Domanda cretina. Primo perché, per quanti poteri soprannaturali possa avere, dubito che mi abbia sentito; e poi perché quando mai glien’è importato niente alla sua azienda di come la pensano gli altri: loro prendono gli indirizzi (non so come) e spammano come tutti gli altri che ti vogliono vendere qualcosa. Anzi, direi che loro hanno il copyright dello spamm: non fai nemmeno in tempo a nascere che cominciano a importi cose che non compreresti mai.

A Twoo – dopo avermi proposto per l’ennesima volta, non richiesto,  un arrapato alla ricerca di femmine da scopare il cui range anagrafico va dai venti agli ottant’anni - ho consigliato di farsi vedere da uno bravo. Ma davvero pensate che c’è chi creda che nella frase “scopo affettuosa amicizia” la prima parola sia un sostantivo e non un verbo?

La lettera successiva me l’ha mandata Groupon (e continuo a non capire come cazzo fate ad avere il mio indirizzo): sono passata sopra alla stanza d’albergo a 59 euro a Parigi, trattenendomi dal dirgli che mi mancavano i 259 per arrivarci; ho sorvolato sulle due fedine tamarre All The Love illuminate da tutto un rincorrersi diabetogeno di cuoricini e swaroskini che sembrava Brooklyn by Night; ho evitato di informarli che in vacanza sulla neve non ci vado neanche se mi pagano loro, perché sono freddolosa; ma il dosatore per spaghetti a due euro e novantanove (fino a 81% di sconto!), quello proprio no: «Io la pasta me la misuro con le mani» ho urlato «per chi mi avete preso?» e ho cominciato ad elencare, sempre ad alta voce, tutta una serie di cose che faccio in cucina “a occhio” e che mi vengono benissimo. Stavo per sfidarli a duello, ma ho preferito non sporcarmi le mani e passare a qualcosa di più serio.

Nella mail di Freelancer, fra le varie offerte di lavoro, qualcuno cercava un traduttore dall’inglese al cinese. Ho pensato: «Potrei dirlo a Serena». E c’è mancato poco che non le telefonassi. Serena, come tutti sanno (beh, proprio tutti no: diciamo alcuni che condividono le mie stesse frequentazioni) ha studiato cinese, è stata in Cina a lungo per la sua tesi di laurea e le fa comodo fare delle traduzioni da casa in modo da occuparsi anche della bambina. Chi meglio di lei? C’è un piccolo problema: Serena non esiste. Se non sullo schermo tv, mezz’ora scarsa al giorno, dal lunedì al venerdì, come protagonista di Un Posto al sole.


Su, smettetela di guardarmi con quelle facce. Vorreste farmi credere che anche voi non fate le stesse cose?

sabato 17 dicembre 2016

Qualità della vita, ma senza la vita

E poi dicono Udine. Bella città Udine. Città da visitare Udine. Ci sono foto che ti fanno venire voglia di prendere il primo aereo. Ci fanno pure i titoli dei giornali: Udine nella top ten della qualità della vita. La classifica del Sole 24Ore la mette al nono posto fra le città italiane e prima della regione Friuli Venezia Giulia.
Indicatori presi in esame? Naturalmente numero di imprese, tasso di disoccupazione, criminalità, e poi ancora ambiente, famiglia, welfare, integrazione, reddito.
Tutto a posto allora, tutto perfetto. E invece no, se proprio a Udine una ragazzina di scuola media è svenuta in classe perché non mangiava da due giorni e perché a casa non c’è l’acqua calda per fare la doccia: in una città dove negli ultimi quindici giorni le temperature sono andate da meno due a cinque.
Senti la notizia e pensi a una di quelle città del Sud dove - oltrepassato il centro, dietro le quinte del teatro, oltre la grande sceneggiata della città piena di turisti - c’è la miseria e la disperazione: come la mia città, dove il sindaco ridicolmente si vanta di quel posto conquistato risalendo da uno degli ultimi posti a uno degli ultimi posti. Senti la notizia e immagini dietro i bei monumenti di Udine, esattamente come dietro i bei monumenti di Catania, un tugurio con gli infissi quasi inesistenti e gli spifferi che ti gelano il cervello, dove magari vivono in dieci in due stanze, dove si alzano nel cuore della notte per fare la fila dietro la porta dell’unico bagno prima di uscire per qualche lavoro in nero che oggi c’è e domani chissà.    
Il preside ha detto che non è un caso isolato, che anche a Udine, città da top ten, ci sono bambini che si lavano con l’acqua fredda e non hanno i soldi per i buoni pasto della mensa scolastica. Anzi, ha aggiunto che negli ultimi anni i casi sono sempre più frequenti e che le famiglie non si affidano ai servizi sociali perché nemmeno sanno di avere questa possibilità. Ti si para davanti la scena di un film ambientato in un nebbioso sobborgo londinese dell’Ottocento, poveri a strati, malattie, cenci sdruciti al posto dei paletot, ma non è fiction: è la realtà di un Paese dove ci raccontano di una ripresa che non c’è e dove sembra che il problema principale di un governo sia la laurea di una ministra e non invece di essere la prosecuzione di un esecutivo di destra che ha fatto solo gli interessi dei padroni; è la realtà di un Paese governato da una forza politica che avrebbe voluto rimuovere la Costituzione pur di non rimuovere gli ostacoli economici e sociali come da articolo 3. Un Paese dove la vita è un lusso.
E dove, a guardar bene, ti accorgi che fra gli indicatori presi in esame dal Sole 24Ore o da chiunque si cimenti in questo genere di classifiche sulla qualità della vita ne manca uno: la vita stessa. Che è altro rispetto ai numeri.