sabato 29 agosto 2015

Umanità naufragata

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Non so se sia giusto o no pubblicare sui social network le foto dei bambini naufragati durante la migrazione forzata. Oggi sembra sia questo l'argomento: l'opportunità della pubblicazione, piuttosto che la morte di quei bambini. Chi lo fa rivendica il dovere di cronaca, chi non lo fa invoca rispetto.
Io non riesco a guardarle. Le riconosco dal bordo superiore, come si riconosce una canzone malinconica dalle prime note, e mi precipito oltre. Mi aiuta la miopia: prima di aver messo a fuoco, le mie dita hanno già fatto scorrere in giù la pagina. Lo stesso con le immagini di animali seviziati, alcune talmente raccapriccianti da farti odiare quello che le ha messe in rete come se fosse egli stesso l'autore del massacro. Non le guardo e non le condivido: non per indifferenza, ma per proteggerli. Come si fa quando si coprono con un lenzuolo, per evitare loro anche la violenza dello sguardo, pietoso o morboso che sia. Del resto, un lenzuolo piccolo piccolo ti stritola il cuore allo stesso modo perché sai cosa copre anche se non lo vedi.
Credo che la questione - se si debba o meno mostrare quelle foto sia pure con l'evidente e nobile intento di suscitare indignazione e raccapriccio - sia mal posta e mal interpretata. Mal posta perché, nei social come nella vita, genericamente si potrebbe dividere il mondo in due categorie, i sensibili e gli insensibili, e perché - nei social come nella vita -, esclusi alcuni incontri irrilevanti e di poco conto, ciascuno di noi si accompagna ai propri simili. Dunque, per quanto mi riguarda, a persone politicamente e umanamente sensibili alla questione, la cui sensibilità politica e umana non ha bisogno di immagini per avere chiaro il livello di crudeltà. Dalla mia pagina è molto difficile che un qualunque contenuto venga condiviso con fascisti, leghisti o cattolici sensibili all'infanzia soltanto quando serve a soddisfare le loro voglie schifose e del resto sono convinta che fascisti, leghisti e quei cattolici di cui sopra anche vedendole non proverebbero il minimo sentimento di pietà.
Ma la questione è mal interpretata, credo, per un altro "dettaglio" che dettaglio non è: che questa diatriba sull'utilità di pubblicare quelle foto avviene esclusivamente all'interno della categoria dei "sensibili", alcuni dei quali però non riescono a fare a meno di dare lezioni per di più urlando e insultando. Sicché si sprecano le maiuscole, i commenti lividi, le parole sprezzanti. Non contro chi ha fatto sì che dei corpicini appena un po' più grandi di una bambola galleggiassero senza vita in un mare spaventosamente grande, ma contro chi cerca di dire come la pensa e di motivare la scelta di non pubblicare. E il rischio è che - per questa aggressività mal riposta - la nostra umanità e la nostra indignazione per quei bambini uccisi da politiche di rifiuto finiscano in fondo al mare, come migranti naufragati.

martedì 25 agosto 2015

Geishe 2.0


In Giappone hanno inventato le coccole in condivisione e hanno aperto pure un bar o, se volete, cuddle coffee, dove i clienti pagano per dormire con qualcuno che li tratti amorevolmente.
Niente sesso (siamo giapponesi?), specificano, ma quello che balza immediatamente agli occhi leggendo i diversi articoli che ne parlano è che il locale - Soneya si chiama - "affitta ad ore le proprie dipendenti". Dunque geishe 2.0, artiste delle tenerezze, qualcosa di molto simile a delle prostitute, almeno nell'idea che ne abbiamo noi occidentali, con l'aggravante che si tratta di vendere non il corpo ma un surrogato di affetto. Non si parla dei "propri dipendenti". Quindi prostituti - sia pure delle coccole - non è contemplato, a quanto pare. Termine escluso del resto anche dal computer, che infatti lo sottolinea come errore. Mentre sono sicura che si genufletterebbe ammirato se la parola fosse gigolò.
Né del resto è contemplato, evidentemente, che una donna bisognosa di affetto decida di farsi smanettare, a pagamento per di più, da un tizio mai visto prima. Forse perché le donne sono più esigenti o forse perché di rapporti fasulli ne subiscono già fin troppi nella vita reale.
C'è pure un tariffario, da mezz'ora a una notte intera. Ma non è chiaro chi controlla - una telecamera nascosta? - se, nel chiuso della stanza e con l'andare delle ore, i due co-sleepers - esaurita la razione di abbracci e carezze - non si mettano a fare sesso, consenzienti o meno.
Statemi a sentire: ci sono alcune cose nella vita che non si possono fare per soldi. Le prime due che mi vengono in mente sono l'amore e la politica, altrimenti è merda. E se proprio soffrite la solitudine e di essere umani disposti a regalarvi affetto non riuscite a trovarne, rivolgetevi al regno animale. Prendete un gatto. E' gratis: sia il gatto che le coccole. E d'inverno ha anche il vantaggio di farvi risparmiare sul riscaldamento.

venerdì 21 agosto 2015

Licenziate il portiere

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Ve lo dico sinceramente: a me che il pezzo di merda mafioso Vittorio Casamonica sia stato fatto entrare in chiesa da morto (e presumibilmente soprattutto da vivo) non importa e non mi stupisce. Non m'importa, perché non è casa mia e anzi mi fa un tale schifo da tenermene il più lontano possibile; e non mi stupisce perché il fatto che all'interno di quella comunità ci siano tre mosche bianche controcorrente, e il fatto che i vertici abbiano assunto uno per inventarsi gli slogan che piacciono alla gente e rilanciare il business non sposta di una virgola e non rende meno grave che la chiesa abbia sempre intrattenuto amicizie più che affettuose (e continui a farlo) con boss, potenti e prepotenti. C'è bisogno di ricordare Pio XII e il fascismo, i rapporti del Vaticano con il bastardo assassino Pinochet o, scendendo più in giù, don Stilo prete ndranghetista o "padre" Agostino Coppola, celebrante delle nozze fra Totò Riina e Ninetta Bagarella? E il "non sapevo chi fosse" del parroco, traduzione simultanea dell'omertoso "nenti sacciu", ne fa di diritto un prete di mafia.
Quello che mi importa, invece, è sapere perché questi possano girare impunemente e fare i gradassi nelle strade di una qualunque città del mio Paese, cioè a casa mia. Voglio sapere perché i vigili urbani gli hanno fatto il servizio d'ordine, voglio sapere perché prefetto e questore non hanno fatto niente per impedire che le strade di Roma di riempissero di merda mafiosa (eppure dovevano immaginare qualcosa, visto che al figlio di Casamonica, agli arresti domiciliari, era stato dato il permesso di partecipare al funerale), voglio sapere chi ha autorizzato l'elicottero a sorvolare il nostro spazio aereo. Nei condomìni dove ancora ci sono i portieri, se il portiere si gira dall'altra parte e fa finta di non vedere quando passa un ladro (figuriamoci un assassino), quindi è complice, si fa una cosa semplicissima: si licenzia. E qui i portieri da licenziare sono tantissimi a quanto pare. A partire da quella  sottospecie di ministro che dovrebbe dare le direttive e invece si limita a fare una parodia di voce grossa dopo che i buoi sono scappati e i boss sono stati sepolti con tutti gli onori. Ha l'indignazione postuma lui.
Tornando alla chiesa cattolica (che è un po' come il Pd: pochissime persone per bene e molti delinquenti, che siano criminali comuni o politici), mi aspetto che i pochi onesti che stanno lì dentro, di fronte a questa goccia che dovrebbe far tracimare la diga, decidano di uscire dal partito.
Importante, comunque, che tutti questi baciapile non si arroghino il diritto di spiegare l'etica agli altri. Chi tollera quanto accaduto ieri a Roma è complice e se non s'indigna e non reagisce di fronte alla totale subalternità dello Stato alla mafia, moralmente è colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa.

lunedì 17 agosto 2015

So' stressata


E dunque gli americani, che fanno ricerche scientifiche pure sul perché se pesti una merda bestemmi in barba al fatto che ti hanno raccontato che porta fortuna, hanno scoperto che essere gentili riduce l'ansia.
Due psicologhe sociali, Jennifer L. Trew e Lynn E. Alden, secondo quanto riporta Huffington Post America, "hanno diviso 115 studenti delle superiori con autodiagnosi di “fobia sociale” in tre gruppi. A un gruppo è stato chiesto di provare a combattere l’ansia facendo piccoli favori e gentilezze nei confronti di amici e familiari. A un altro gruppo è stato detto di fronteggiare l’ansia in modo diretto, lanciandosi in conversazioni e partecipando a eventi. Al terzo gruppo, invece, è stata affidata la funzione di controllo: tenere traccia dei loro sentimenti quotidiani durante il mese dell’esperimento".
Risultato: "i giovani impegnati nella pratica della gentilezza hanno riportato stati d’animo meno ansiosi, e la loro vita sociale è migliorata". Di più: "Diversi studi hanno dimostrato che essere gentili ci rende più felici (bastano solo poche parole gentili), meno stressati e addirittura più longevi".
Ora, io sono un tipo ansioso, molto ansioso, ma sono anche - almeno credo - molto gentile: saluto sempre, mi sposto per strada per fare passare un'altra persona, cerco di essere sempre disponibile, se mi chiamano rispondo, dico sempre grazie e prego. E però evidentemente su di me questa terapia non funziona: perché se uno non risponde al mio saluto, non si sposta per farmi passare, non dimostra disponibilità, mi ignora se lo chiamo, non dice né grazie né prego, m'incazzo e pure di brutto. Non smetterò per questo di praticare gentilezza a casaccio, ma se la gente non la smette di propinare atti di maleducazione privi di senso poi non vi meravigliate se do di matto. Eh, so' stressata.

mercoledì 12 agosto 2015

Ho il cervello alto


Chiariamo subito un paio di cose: 1) a dare del sessista ad Andrea Scanzi non c'è gusto, tanto se lo dice da sé e francamente non so se non sia meglio uno che ammette il proprio sessismo rispetto ad uno che si proclama femminista e tratta la propria compagna come si trattavano i neri nelle piantagioni di cotone; 2) a me le infradito piacciono, mi sono sempre piaciute: mi piacevano quelle che una volta si trovavano solo a Positano, essenziali e raffinatissime nella loro semplicità, due striscette a croce latina e il cinturino dietro, a terra che più a terra non si può.
Però su una cosa, se la mettiamo solo sul piano estetico, Scanzi ha ragione: le infradito su un piede brutto fanno schifo. E infatti io, che ho dei piedi orribili, mi limito a guardarle in vetrina - sbavando, lo ammetto - e non le ho mai portate se non, al mare e da bambina, quelle di gomma da trecento lire che nei primi giorni ti procuravano piaghe che manco in guerra e, quando ti eri abituata, sbullonavano costringendoti a trascinarle come se ai piedi avessi un paio di pattine.
A Scanzi, d'altra parte, bisogna riconoscere che riserva lo stesso trattamento ai maschi in ciabatte in città: che fanno schifo come la canottiera di Bossi o come lo spacco del culo - maschile o femminile, magro o lardoso - che sgorga dai pantaloni a vita bassissima come la lava dal vulcano.
Invece, sul tacco basso e sui sandali alla francescana (che secondo lui sarebbero "anticoncezionali" - e a ben guardare non sarebbe poi così male - ma forse voleva dire anticopula) non sono d'accordo. Perché, come sempre, bisogna fare dei distinguo: io, che sto in fissa con le scarpe basse e le porterei anche a una cena di gala se solo fossi solita frequentare le cene di gala, sono alta un metro e uno sputo e sono convinta che se mi mettessi a camminare sui trampoli oltre che sembrare un patetico clown e oltre che fare un torto alle mie caviglie, lo farei anche alla mia figura che mi dicono essere - pur nella categoria lillipuziana - abbastanza armoniosa.
Detto ciò, dal piano estetico passo a quello razionale e gli dico altre due cose: 1) le scarpe basse - Scanzi se ne faccia una ragione - sono comode e siccome le donne, che gli piaccia o no, non sono manichini da esporre dietro la vetrina di un negozio ma corrono dalla mattina alla sera per stare dietro al lavoro, ai figli, ai compagni, ai cani e ai gatti, rivendico per la categoria il diritto a camminare pure scalze e pure con dei piedi orribili come i miei; 2) non me la prendo perché so che la sua era una provocazione estiva e perché Andrea Scanzi ha un merito - per me irrinunciabile - che la gran parte dei giornalisti non ha e cioè quello di scrivere bene in Italiano e dunque, come Virna Lisi, con quella penna può dire (quasi, non esageriamo) ciò che vuole, però se per venirgli voglia di scopare ha bisogno di vedere una bambola gonfiabile issata su un tacco 12, sta messo male. Per quanto mi riguarda (e lui, consapevolmente affetto dalla mia stessa malattia, mi perdonerà la presunzione), io preferisco sedurre un uomo perché ho il cervello alto.

domenica 9 agosto 2015

Quasi


Io non so se la ragazza a cui era destinato si è resa conto di quanto sia fortunata. Lo spero, per lei e per lui.
C'era un disegno su un muro, fatto per lei, bello, luminoso, di una perfezione solare nella sua imperfezione. Fatto da un giovane uomo che è (immagino che sia) quello che ciascuna di noi vorrebbe per sé: un uomo che non si crede un dio, capace di creare il sole e chissà cos'altro, né si crede Van Gogh. Un uomo degno di tale appellativo perché consapevole dei propri limiti.
Attorno a quell'immagine gialla e verde, un po' sole e un po' fiore, lui ha scritto la dedica: "Un quasi raggio di sole per te". Quasi.
Quasi a volersi scusare per la pretesa di voler disegnare un raggio di sole senza quasi; ma anche quasi a voler dire: non sono il massimo, ma ti offro tutto quello che so fare.
E lo ribadisce: "Non sono un artista, ma ci ho provato". Ecco, noi giovani e vecchie ragazze (e così, volendosi bene, dovrebbero fare le ragazze che invece si fanno ammaliare da denaro e potere) non sappiamo che farcene di uno spaccone che ci promette il sole, la luna e l'altre stelle ma non ha nemmeno un centimetro quadrato dei suoi pensieri da riservarci. Anzi, non sappiamo che farcene di un uomo che ci promette una cosa qualsiasi: ne vogliamo uno che un giorno (o una notte), sentendosi inadeguato e tenendo i piedi per terra, si arma di pennelli e colori, se ne va in giro per le strade e ci regala un quasi.

martedì 4 agosto 2015

Quando eravamo gentili


La nonna mezza rincoglionita della mia amica rispondeva sempre: "Buonasera". E aggiungeva: "Quant'è gentile 'sta signorina: mi saluta sempre!"
La signorina era - e chi altri sennò? - una delle "signorine buonasera": quando la Tv si guardava soltanto di sera e non oltre una certa ora e quando la Rai era gentile ed educata. E ci insegnava l'educazione. L'annunciatrice (e lo so che qui bisognerebbe fare tutto un discorso sui soli lavori a quel tempo "concessi" alle donne che poi sono più o meno quelli concessi oggi, con la differenza che allora le Cercato e le Orsomando andavano di voce e sorrisi e non di tette e culi) annunciava i programmi degli unici due canali e poi un triangolino "di cortesia" cominciava a lampeggiare per segnalarti che stava iniziando il programma sull'altro canale e quindi, se preferivi, potevi cambiare.
Quando faceva caldo, la Tv si guardava in balcone e qualcuno in balcone ci restava pure a dormire, sulla sdraio e con le lucciole che ora non ci sono più come le signorine buonasera. I televisori girati verso l'esterno proiettavano riflessi in bianco e nero e, nel momento in cui tutti erano davanti alla Tv, spuntava un viso amichevole: "E' estate, le finestre sono aperte. Per evitare di infastidire i vostri vicini, abbassate il volume del televisore". Di tanto in tanto qualche ombra si salutava da un balcone all'altro, ci si scambiava un sorriso, ci si diceva qualcosa.
Adesso di rivolto verso l'esterno ci sono solo i condizionatori d'aria: porte e finestre sono sbarrati e la città sembra popolata da fantasmi. Oggi ho sentito una signora dire molto soddisfatta che, appena rientra a casa dal lavoro, accende il condizionatore, preme su "speedy", che sarebbe non solo velocemente ma anche "a palla", e chiude tutto. Come se fossimo in guerra, come se ci fosse il coprifuoco. E gli unici rumori che sento ormai soltanto io, unica ostinatamente con i balconi aperti, praticamente una specie di panda estivo, sono quelli delle macchine che passano: tutte con i finestrini sbarrati, l'aria condizionata a palla e dentro persone come pesci in un acquario che nemmeno si parlano fra di loro, troppo prese a non perdere nemmeno un soffio di aria condizionata e troppo disabituate a comunicare.
Al più, innervosite dal caldo, dal traffico, dalla pioggia, da qualunque cosa, litigano furiosamente e si mandano reciprocamente affanculo: come del resto vedono fare in Tv.