lunedì 28 novembre 2016

Il re Sborone



Gianluca Vacchi, chi era costui? Ma sì, a modo suo, molto a modo suo, un filosofo: un filosofo del fancazzismo, ma un filosofo. Un filosofo del carpe diem, del carpe pecuniam e del carpe foeminas, la cui filosofia di vita sta in una parola sola: Enjoy. Estensivamente e pericolosamente simile allo “stai sereno” pronunciato da Renzi un attimo prima di inchiappettarsi qualcuno.


E io per questo ho scoperto della sua esistenza di cui molto volentieri avrei fatto a meno: perché è, in ordine di tempo, l’ultimo dei puttanieri che si sono schierati dalla parte del presidente del consiglio in questo scorcio di campagna referendaria.


Una sente alla radio che si è schierato per il sì, va a leggere le sue parole esatte - «Ormai non c’è più tempo per scherzare, per polemizzare tra opposti schieramenti, ognuno indifferente alle ragioni, se non addirittura alle stesse argomentazioni, dell’altro; o, nei casi peggiori, per difendere privilegi e/o poltrone. Oggi, in tema di referendum costituzionale, è tempo che emerga una posizione, sarei tentato di dire un’etica, volta a far prevalere un interesse superiore, un idem sentire collettivo, lontano da ogni logica e da ogni comportamento di appartenenza e di sudditanza a un partito o a uno schieramento» -, per di più con «un’etica» scritto in grassetto e, minchia!, come ho potuto in tanti anni non sapere dell’esistenza del noto politologoslahcostituzionalista?


Allora te lo vai a cercare: è indispensabile sapere quali conferenze ha tenuto sull’argomento e quali saggi ha scritto. Magari l’eminente studioso riesce a convincerti a cambiare idea. Franco Angeli, il primo editore che ti viene in mente è Franco Angeli. Poi Il Saggiatore, Laterza. Niente di niente. Nemmeno Disney libri: c’è Spyder-man, Aladino, Ratatouille, il re Leone, ma lui no. Eppure potrebbe essere un’idea: Il re Sborone.


Perché alla fine lo trovi, ma nelle cronache mondane. E scopri che è un tamarro cinquantenne pieno di soldi e di tatuaggi, palestrato e con capelli ossigenati, azionista al 30% dell’azienda di famiglia a cui forse dedica uguale percentuale di tempo, dovendo occuparsi per il restante 70% del cazzeggio sui social. Tanto che persino la sua famiglia ha vergogna di lui e un mese fa – per «evitare disinformazioni sulla vita aziendale» - lo ha scaricato con una nota ufficiale: «Gianluca è azionista di Ima ed è membro del cda, come più volte dichiarato dallo stesso», ma «non ha deleghe e non si occupa direttamente della gestione aziendale». E, come se non bastasse, ha precisato che non è vero che la società è stata fondata da suo padre.




Renzi non pervenuto: non sembra che si vergogni dell’endorsement del re Sborone, come del resto non si vergogna di quello di Briatore e nemmeno, soprattutto, di fare le riforme con Verdini. Del resto, fra tamarri sboroni ci si capisce. Magari alla fine li troviamo tutti a Ibiza a prendere il sole (preferibilmente a scacchi).

lunedì 21 novembre 2016

E se è una femmina si chiamerà Pleistocene

Ma che bestie siete? Che male vi ha fatto vostra figlia? E, soprattutto: noi saremmo la nazione civile rispetto alla Turchia che legalizza lo stupro attraverso il matrimonio riparatore?
Vi avverto subito: non ho nessuna intenzione né voglia di essere politicamente corretta - che poi in questo Paese di baciapile significa ipocrita -, perché questa vicenda chiama in causa tutti: dalle politiche per l’istruzione alle famiglie, passando per la stampa.
È una storia tutta sbagliata quella che arriva da Bari.
La storia è quella di una vita interrotta: la vita di una bambina di 12 anni che fa sesso con un compagnetto di scuola di poco più grande – come lei “colpevole” solo di ignoranza indotta -, resta incinta e partorisce. Ovviamente con il consenso dei genitori.
Prima trauma: restare incinta.
Secondo trauma: dirlo ai genitori.
Terzo trauma: pianti, disperazione dei genitori, discussioni più grandi di te se tutto va bene; urla, botte, scambi di accuse nell’ipotesi più realistica.
Quarto trauma: tu quello non lo vedi più.
Quinto trauma: essere risucchiati in un vortice di incontri fra genitori, visite al parroco (scommettiamo?), allestimento del corredino e rotture di coglioni varie che una eviterebbe volentieri anche a trent’anni - e quando il figlio ha scelto di farlo -, ma non si può perché i nonni ci resterebbero male. Perché comunque questo bimbo nascerà e andrà vestito. E se è una femmina si chiamerà Pleistocene.
Sesto trauma: pancia che cresce, gente per strada che ti guarda come fossi un animale strano (a meno che non abbiano deciso di segregarti per nove mesi), qualcuno ti addita, qualcun altro ridacchia. Per non parlare di chi a mezza bocca ti dà della zoccola.
Settimo trauma: un parto cesareo, un’operazione in piena regola, pesante, quando a quell’età il massimo che ti dovrebbe succedere è che ti tolgano le tonsille.
Ottavo trauma: nasce il bambino, se sono gentili te lo fanno vedere, ma un istante dopo te lo tolgono. Quel bambino non sarà mai tuo.
Ripeto le domande: che bestie siete? che male vi ha fatto vostra figlia? Scommetto che voi siete di quelli contrari all’educazione di genere nelle scuole. Scommetto che voi siete di quelli che “oddio, il gender che vuole fare diventare tutti froci”. Scommetto che voi siete di quelli che “fornicare” è peccato, ma abortire è ancora più peccato. Scommetto che voi siete di quelli che “sia fatta la volontà” del vostro dio del cazzo.
Sapete una cosa? È colpa vostra e di questa società bacchettona se quella povera bambina non ha capito niente di quello che le stava succedendo prima, durante e dopo. Ed è colpa vostra e di questa società bacchettona se d’ora in avanti la sua vita sarà quella di una bambina adulta, o di un’adulta bambina, di una persona comunque che non sa quanti anni ha e non sa quale sia il suo ruolo nel mondo, perché non è più piccola ma non è ancora grande, perché non è più solo figlia ma non è nemmeno anche mamma. L’unica cosa sensata (non dico indolore, ma sensata) che avreste potuto e dovuto fare per restituire a vostra figlia un barlume di normalità sarebbe stato di farla abortire, a tutela della sua salute fisica e mentale, ma probabilmente avete preferito ascoltare il parroco piuttosto che il buon senso. E non vi rende meno colpevoli il fatto che questo bambino lo alleverete voi. Io spero che viviate con il senso di colpa.
Però vorrei anche sapere come si sono comportati medici e magistrati. Le cronache non chiariscono. Ci raccontano invece (e qui arrivo al discorso che chiama in causa i giornalisti), come fossero comari in visita alla puerpera, che il bambino alla nascita pesava tre chili; ci riferiscono che il parto è avvenuto in una clinica privata di Bari; qualcuno parla di gravidanza «inusuale» (ohibò!) e addirittura – c’è da non crederci! – della «cicogna» che «ha fatto capolino»; infine precisano che la storia non è avvenuta in un contesto degradato ma che entrambi i «baby-genitori fanno parte di famiglie normali». Senza nemmeno uno straccio di virgolette ad enfatizzare un’assurda presunta normalità.
La stessa, a ben pensarci, che attribuite alle famiglie “per bene” dove un uomo “stimato professionista“, "accecato dalla gelosia" e colto “da raptus” ammazza la moglie che voleva separarsi e decidere della propria vita.


domenica 6 novembre 2016

Il muro del piscio

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Quanti cessi ci sono alla Oerlikon Graziano di Bari? La domanda non è stravagante, perché i padroni della fabbrica siderurgica hanno appena emanato una direttiva in base alla quale dal prossimo 14 novembre i lavoratori dovranno concentrare tutti insieme l’espletamento delle funzioni fisiologiche all’interno di sole due pause di nove minuti ciascuna. Vuol dire che se ti scappa pipì alle 9,30 e la prima pausa è alle 11, te la tieni per un’ora e mezza a rischio di farti esplodere la vescica. Oppure vai al lavoro con il pannolone. Giusto per fare l’esempio meno drammatico e non volendo tenere conto di chi ha la vescica debole o dei lavoratori maschi più anziani con la prostatite. Mettiamo, dunque, dei pisciatori medi. Pure così io me li immagino al momento del suono della campanella a correre e farsi gli sgambetti e guardarsi con odio per arrivare primi alla porta del cesso, a fare file interminabili, a contorcersi nell’attesa che gli altri abbiano finito, a sudare freddo e a lasciare andare qualche goccina un istante prima di essere riusciti ad abbassarsi le mutande. E non vorrei essere nei panni del quattrocentoventesimo. Già, perché i dipendenti della Oerlikon Graziano non sono poche decine ma, appunto, quattrocentoventi. Volendo fare un rapido calcolo e ponendo un tempo x per ogni pipì, mettiamo due minuti, per farla tutti di minuti ne occorrerebbero 840, molti di più dei nove previsti. Perché poi è realistico che se tutti se la tengono quando gli viene, alla fine saranno tutti ad avere bisogno di farla in quello stesso lasso di tempo.
E non oso pensare alla cacca: se uno invece di farla in un paio di minuti – ipotesi impossibile, a meno di un attacco di gastroenterite -, se uno ha qualche problema di stipsi e impiega dieci minuti consumando tutto il tempo che sarebbe occorso agli altri 419, che si fa? Arriva un controllore addetto alla cacca e lo blocca mentre la sta facendo? Alt, tempo scaduto. Ti multano? Lei deve pagare dieci euro ogni minuto in più utilizzato.
Però l’azienda è buona: ha previsto “la possibilità di interrompere l'attività lavorativa per esigenze fisiologiche improcrastinabili”. Com’è umano lei, direbbe il ragionier Ugo Fantozzi. Tutto bene allora, no? No, perché c’è una clausola, una postilla, come quelle scritte in caratteri illeggibili in fondo ai contratti con le compagnie telefoniche: la pausa extra ti viene garantita, però “previa autorizzazione del proprio responsabile”. Cioè tu ti stai cacando sotto a causa della peperonata della sera prima, vai dal tuo capo, accendi un cero alla madonna nella speranza che ti riceva subito, gli racconti i cazzi tuoi diciamo “intimi” e forse, dopo una decina di minuti e se non ha i coglioni girati per questioni sue personali, ti firmerà un “lasciacacare” grazie al quale potrai volare, leggero come una piuma, verso l’agognato cesso. Che realisticamente non ti servirà più. Altrimenti dovrai aspettare la famosa pausa e metterti in fila. A meno che i lavoratori non siano tutti maschi e per loro non venga costruito un apposito muro del piscio grazie al quale giocare a chi la fa più lontano come facevano da ragazzini.
Perché – e qui ripeto la domanda – quanti cessi vuoi che ci siano all’interno di una fabbrica? Escluso che ce ne siano 420 e che l’azienda decida di investire per aumentarne il numero per venire incontro alle esigenze dei lavoratori, mi sentirei di affermare che ce n’è uno solo: il padrone, in quanto categoria.