martedì 30 aprile 2019

La festa della mamma

Quando fui licenziata avevo quarantotto anni. Da allora, solo qualche lavoretto: collaborazioni giornalistiche a pochi euro ad articolo quando mi andava di lusso, qualche editore che mi chiamava per propormi l’assunzione salvo poi sparire dai radar senza lasciare in fondo al mare neppure una scatola nera; oppure mestieri che non c’entravano niente con la mia professione, sottopagati o in nero, o sottopagati e in nero. Inframmezzati da lunghi periodi in cui non uscivo più da casa, ferma a fissare il soffitto o a scavare disperatamente nella rete alla ricerca di improbabili e assurdi annunci di lavoro. Troppo vecchia, quattordici anni fa, troppo vecchia. Cominciai a raccoglierli quegli annunci sessisti, sgrammaticati, offensivi, volgari – cercando almeno di cogliere l’aspetto ironico della questione – e alcuni diventarono un pamphlet e poi uno spettacolo teatrale. Ma se ne accorsero in pochi. Cominciai a scrivere libri. Ma se ne accorsero in pochi. Provai a reinventarmi un mestiere con i libri, bello, bellissimo. Ma se ne accorsero in pochi. E di quelli che se ne accorsero solo pochi pensavano realmente che il lavoro per essere lavoro, per avere dignità, deve essere retribuito: c’era chi scroccava un posto a teatro e chi pensava che il libro dovessi regalarglielo in virtù di qualche presunta autorità o autorevolezza. Nessuno che si sia accorto che non mi si vede più in giro e, di quelli che se ne sono accorti, nessuno che abbia collegato la mancanza di un lavoro retribuito (a meno che non si pretenda di definire retribuzione poche decine o un paio di centinaia di euro al mese) con l’impossibilità di fare le cose normali di chi ha un lavoro e uno stipendio normali. Nessuno che si sia mai chiesto come facevo a campare: i giornalisti e gli scrittori nell’immaginario collettivo sono ricchi, per grazia ricevuta. E nessuno che sembri rendersi conto del fatto che ormai la gran parte dei giornalisti e degli scrittori e in generale la gran parte dei professionisti è costretta ad accettare lavoretti del cazzo retribuiti con elemosine. Parto da me, ma parlo di molti. Io sono fortunata: mi aiuta mia madre. La dignità me la sono giocata da un pezzo, ma se non fosse per lei chissà da quanto sarei finita a dormire sotto i ponti. Non sono sola: il paradosso di cinquantenni e sessantenni ancora (o di nuovo) a carico di mammà è più diffuso di quanto non si pensi. Dunque, invece di quelle feste cretine per regalare cioccolatini, profumi e gioielli in nome di cristi e madonne, inventate per sancire lo strapotere di chiesa e capitalismo, proporrei – in un paese in cui il lavoro non c’è più per nessuno (e non puoi nemmeno prendertela con quelli che comandano ora e con i loro stupidi redditi di cittadinanza perché sono il frutto di quelli che comandavano prima e le loro odiose leggi contro il lavoro e contro i lavoratori) –, di eliminare l’ipocrita festa del lavoro. E magari, anticipando di qualche giorno rispetto al calendario delle madonne, di sostituirla con la festa della mamma, o del papà per chi ne ha avuto uno decente, o dei genitori, degli zii, dei fratelli, degli amici, insomma di quelli che la dignità del lavoro non possono dartela ma fanno in modo da garantirti almeno di sopravvivere. Che comunque non è vivere. 

venerdì 26 aprile 2019

Furgiuele, l'ultras cattolico

«Dalla destra sociale proviene anche il segretario della sezione calabrese della Lega-Noi con Salvini. Si chiama Domenico Furgiuele, un passato nella Destra di Storace, e, ora, candidato alla Camera. Di mestiere fa il geometra, a tempo perso lavora nella tv locale di famiglia. Le sue passioni, il calcio e la storia. Quando era un ultras del Sambiase ha collezionato un Daspo, che la Questura affibbia solo ai tifosi più agitati. Sulla storia recente ha le sue idee. Ritiene, per esempio, il neofascista Stefano Delle Chiaie, fondatore della fuorilegge Avanguardia Nazionale, “più una vittima che un carnefice”».
Quello che avete appena letto è un brano di un articolo pubblicato sul settimanale «L’Espresso» nel febbraio del 2018, riguardante trasformisti e fascisti nelle liste di Salvini, firmato da Giovanni Tizian e Stefano Vergine.
Perché ve lo propongo? Perché sappiate chi è l’«onorevole» (sì, nel frattempo è stato eletto, ahinoi) primo firmatario di una proposta di legge che mira a incrementare i matrimoni religiosi fra giovani che abbiano meno di 35 anni, attraverso una «detrazione del 20 per cento delle spese connesse alla celebrazione del matrimonio religioso». Cioè, spiega il testo, calcolato un costo di ventimila euro, la detrazione sarebbe di quattromila euro sulle spese per «ornamenti in Chiesa, tra cui i fiori decorativi, la passatoia e i libretti, gli abiti per gli sposi, il servizio di ristorazione, le bomboniere, il servizio di coiffeur e di make-upe, in fine, il servizio del wedding reporter», che altri non sarebbe se non il fotografo. In pratica, quattromila euro di minchiate che, a voler essere pignoli, non è che c’entrino granché con la fede. Ora, a parte che evidentemente il fascista Furgiuele non sa che un matrimonio in chiesa costa molto di più dei ventimila euro ipotizzati e a parte che evidentemente il fascista Furgiuele non sa che i giovani sotto i 35 anni in Italia non si sposano (né in chiesa né altrove) perché non hanno un lavoro stabile, ci sarebbe da chiedersi se il fascista Furgiuele conosce la Costituzione italiana («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», eccetera, ha presente?) e se sa che l’Italia – almeno sulla carta – è uno stato laico. E ci sarebbe anche da chiedersi se questa proposta di legge – un'operazione che dovrebbe costare sessantacinque milioni di euro per il 2019, settantacinque milioni per il 2020 e ottantacinque milioni dal 2021 – non derivi dalla necessità di onorare qualche debito elettorale. Usando soldi degli italiani che potrebbero essere destinati a qualcosa di più serio.
Comunque è divertente notare come la pdl parli di «matrimonio religioso» e non di matrimonio cattolico. E se, per assurdo, ad accedere al beneficio alla fine fossero i musulmani? Mi piacerebbe vederlo diventare nero di rabbia. Di più, sempre per assurdo: pensate se a chiedere gli sgravi fiscali dovesse essere qualche seguace di una religione che consente la poligamia. Dieci matrimoni, quarantamila euro di sgravi? Oppure cifra piena per la prima moglie e poi a scalare? Insomma, sconti per comitive? Offre Furgiuele, ultras cattolico. 

lunedì 15 aprile 2019

Il business della disperazione

Quanto può essere disperata una persona per decidere di farsi spezzare una gamba o accettare il rischio di finire per sempre su una sedia a rotelle? Quanto può essere disperato un migrante per scegliere di rischiare la vita due volte, la prima su un barcone e la seconda facendosi fare a pezzi per pochi spiccioli? Che pacchia, eh! Hanno scelto i più deboli fra i deboli – disoccupati, ragazze madri e immigrati – i bastardi che a Palermo avevano avviato il fiorente business della disperazione rompendo braccia e gambe per incassare il premio assicurativo di poveretti a cui lasciavano solo le briciole e a volte nemmeno quelle. Truffa alle assicurazioni, l'hanno chiamata, ma era una truffa alla vita. Mille euro per una gamba, cinquecento per un braccio. Era il tariffario degli «spaccaossa» (quarantadue quelli arrestati oggi, ma l’inchiesta coinvolge ben duecentocinquanta criminali, fra i quali anche alcuni medici e un avvocato), che le ossa le rompevano davvero ma poi i soldi non glieli davano. Un business da due milioni di euro l’anno per gli organizzatori; qualche centinaio di euro, quando andava bene, per le loro vittime anche se restavano menomate a vita o la vita la perdevano, come Hadry Yakoub, un tunisino che per lo troppe fratture c’è morto ed è stato lasciato in mezzo a una strada per simulare un incidente.
Una vicenda raccapricciante, e un film dell’orrore in cui venivano usati pesanti dischi di ghisa per provocare le fratture, che non può essere considerata «soltanto» come il frutto della perversione di pochi, ma affonda le proprie radici nello stato di prostrazione in cui sono state artatamente gettate le persone più povere delle regioni più povere del nostro paese, per asservirle e renderle manipolali. Che siano politici che ti promettono un posto di lavoro in nero a pochi euro e senza tutele o i mafiosi che ti assumono come manovalanza per lo spaccio di droga oppure i bastardi spaccaossa, la storia non cambia: ti vendi il cervello, la coscienza, la dignità, un braccio, una gamba, la vita stessa perché tanto non hai alternative e perché tanto non hai più voglia di crederci nella possibilità di avere un’alternativa. Perché, tanto, senza la possibilità di un futuro decente, la vita più merdosa di così non può essere. E ne uscirai sempre con le ossa rotte.