venerdì 31 ottobre 2014

Legittima difesa


Lettera a una Picierno purtroppo nata (mentre sarebbe stato mille volte meglio un aborto terapeutico).
Disoccupata da anni, da anni non vado a manifestazioni che non siano raggiungibili a piedi da casa mia. Come molti disoccupati, come molti lavoratori sottopagati o a rischio licenziamento, per i quali scioperare è un lusso che non possono permettersi. Questa volta no: questa volta la situazione si stava facendo troppo grave per non andare a Roma il 25 ottobre, per non fare sentire forte la nostra voce contro il governo del fascistello in camicia bianca. Ma - Picierno sarà delusa - il pullman non me l'ha pagato la Cgil. La Cgil ha avviato una sottoscrizione per quelli che volevano partire in treno e sono stati tantissimi quelli che, pur non potendo partire, hanno voluto dare il loro contributo per consentire ad altri di farlo. Lo posso testimoniare perché, nel mio piccolissimo, ho fatto da tramite fra la Cgil della mia città e i miei compagni.
Io sono andata in aereo (come da allegata pezza d'appoggio), con i miei soldi, prendendo un biglietto a 50 euro con un mese d'anticipo, appena indetta la manifestazione ma quando ancora le questioni organizzative non erano forse nemmeno in discussione. Dovevo esserci e l'ho fatto. Ryanair - ha presente, Picierno? -: quelle specie di diligenze dove da un momento all'altro ti aspetti di vedere spuntare Calamity Jane e che di solito, invece di atterrare, fanno un tuffo carpiato con triplo salto mortale. Dovevo esserci, ho preso cinquanta euro del mio inesistente bilancio e ho fatto il biglietto. Anche se questo significherà aggiungere privazioni a privazioni. Ho fatto la mia valutazione politica e non mi ha pagato nessuno.
E mi sento offesa. Di più: potrei dire (ma non lo farò) che non accetto lezioni di morale dalla discepola del re delle clientele. Potrei dire (ma non lo farò) che Picierno è una stronza. Posso dire a testa alta che non mi ha mai pagata nessuno per pensare. Posso dire a voce alta - nella speranza che qualche magistrato lo senta - che nelle parole dell'ultras renziana non c'è alcun diritto di cronaca o di critica ma soltanto diffamazione, reato penale che commette chi colpisce l'onore e la reputazione delle persone e per il quale è previsto il carcere. Diffamazione non soltanto verso Susanna Camusso o la Cgil, ma verso tutti noi - un milione, fatevene una ragione - che eravamo a Roma il 25 ottobre. E quindi se io dico (non: "potrei dire", ma "dico" perché non sono una vigliacca) che Picierno è una stronza, la mia è legittima difesa.





mercoledì 29 ottobre 2014

Eventualmente

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C'è una stronza - non vedo in che altro modo definirla - che su subito.it ha pubblicato un'offerta di lavoro con la quale cerca qualcuno che vada a casa sua per fare il doposcuola a suo figlio, alunno di scuola media. Dice che bisogna stare là tutti i pomeriggi dalle 15,30 finché non ha finito i compiti, dunque almeno tre ore al giorno, e che lo stipendio - si fa per dire - sarà di cento euro mensili. Aggiungendo che si farà una settimana di prova, "eventualmente" retribuita. Dunque, eventualmente, anche aggratise.
Quindi la stronza pretende che un/una giovane, dopo aver passato dai tre ai cinque anni e anche più a studiare e - per studiare - avere speso migliaia di euro fra libri e tasse universitarie, vada da lei a fare non soltanto un lavoro che magari non era esattamente quello a cui aspirava, ma per di più per ricevere un euro virgola sei periodico per ogni ora di lezione. Roba che un'ipotetica figlia maggiore liceale, se sua madre le avesse proposto di fare lezione al fratello ciuccio aumentandole la paghetta mensile a cento euro, l'avrebbe mandata a cagare malgrado l'amore fraterno spiegandole che nemmeno per fare le pulizie si prende così poco e soprattutto che tre/quattro ore al giorno per cinque giorni a settimana significano un lavoro impegnativo. Significa, per esempio, non avere tempo per studiare. E all'ipotetica figlia maggiore liceale andrebbe pure bene, perché non avrebbe spese di benzina o di autobus per raggiungere il cosiddetto luogo di lavoro.
Ho risposto all'annuncio della stronza, unicamente per chiederle se non si vergogna, e sarebbe divertente se ciascuno che si imbatte in quell'offerta/offesa facesse lo stesso. Intanto, anche senza forzare troppo con l'analogia, io ci vedo almeno due o tre illeciti: violazione dell'articolo 36 della Costituzione, caporalato, mobbing (non è forse violenza privata considerare meno della merda la professionalità altrui?). E forse qualcuno dovrebbe ragionare sulla possibilità di denunciare la stronza e le altre stronze e gli altri stronzi come lei. Ma prima bisognerebbe denunciare e cacciare via a calci in culo chi permette alla stronza di essere stronza: magari il fascista in camicia bianca amico dei padroni secondo il quale il posto fisso non esiste più e quell'altro con la faccia da ebete che ci propina la bizzarra equazione sciopero generale = più disoccupazione. Magari bisognerebbe mandarli tutti e due al doposcuola. O farli ricominciare dalle aste, "eventualmente" bocciandoli e rimandandoli in prima elementare finché non capiscono che il lavoro merita rispetto e diritti.


domenica 26 ottobre 2014

Una famiglia allargata


Sapete che vi dico? In questo momento non parlo come dirigente di partito e scrivo mentre è in corso il Comitato centrale del mio partito a cui non ho potuto partecipare e che non so cosa deciderà; non fraintendetemi, però: non smetto dopo più di quarant'anni di essere comunista, ma - sapete che vi dico? - mi iscrivo al partito nato il 25 ottobre. A San Giovanni c'era un milione di persone e per ognuna che è partita ce n'erano almeno altre cinque che per varie ragioni (soprattutto economiche, perché a questo è servito anche lo smantellamento di tutti i diritti: ridurci alla fame per toglierci pure la possibilità di protestare) non hanno potuto esserci: almeno cinque milioni di persone, più del doppio di quelle che (destri compresi, cioè i più) hanno votato Pd alle ultime elezioni europee.
Cinque milioni di persone sono un partito grosso. Sì, lo so: là in mezzo c'erano tanti che hanno votato Pd e che ora la devono smettere di fare i pesci in barile, perché non basta una manifestazione a cancellare la responsabilità di avere dato il Paese in mano a un avventuriero. Ma adesso abbiamo tutti un dovere: farlo vivere quel partito nato il 25 ottobre senza che nemmeno ce ne accorgessimo. E' come quei bambini nati senza essere stati programmati ma che, dal momento in cui esistono, si amano con tutti se stessi, perché sono belli, intelligenti, allegri, socievoli e hanno una gran voglia di vivere. Diamogli un nome: chiamiamolo partito del lavoro, partito per il lavoro, partito per la Costituzione (non era questo, forse, che rivendicavamo - lavoro e rispetto della Costituzione -, tutti noi, precari, pensionati, lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato, disoccupati, due giorni fa a Roma?), chiamiamolo come cazzo vogliamo, ma nutriamolo e facciamolo crescere. Tutti insieme, come se avesse milioni di mamme e di papà, come se fosse una famiglia allargata, di quelle dove ci si vuole più bene che in quelle tradizionali e ipocrite che piacciono a Giovanardi.
Io se c'è un partito comunista sono contenta, ma se ce n'è uno di tutta la sinistra lo sono ancora di più: perché non è normale, in nessuna parte del mondo, che ci sia un partito di destra e non ce ne sia uno di sinistra. E non è normale che un partito di destra si definisca di sinistra. Io voglio un partito di sinistra. E chi preferisce che il bambino sia nato morto perché pensa di essere più a sinistra degli altri o pensa di avere il copyright e pretende di annettersi gli altri in nome di una sorta di purezza della razza è solo un criminale politico. Esattamente come Renzi e il suo partito dei padroni, degli evasori fiscali, dei mazzettari e dei cementificatori.
Qualcuno ha detto che Renzi non potrà non tenere conto di quel milione di manifestanti, pur sapendo che lui - da arrogante e sbruffone fascista quale è - non ne terrà conto: adesso il punto è che noi non possiamo non tenerne conto. Altrimenti ci mandiamo affanculo da soli, senza bisogno che lo faccia Grillo.

mercoledì 8 ottobre 2014

Servo dei marchionni


Allora, signor Fagiolo, ora ti spiego una delle ragioni per cui l'articolo 18 non andrebbe abolito ma esteso alle aziende con meno di 15 dipendenti.
Te lo spiego con un esempio facile facile, così - forse - anche tu lo puoi capire.
Metti che c'è in una regione piuttosto isolata dell'Italia uno che ha una fabbrica di vestiti dove impiega un buon numero di lavoratori, mettiamo un centinaio, tutti fidatissimi (alcuni perché naturalmente lobotomizzati, altri perché - pur odiandolo - lo temono non avendo un'alternativa), di quelli con cui nelle feste comandate ci si scambia gli auguri, retribuiti come da contratto nazionale, formalmente tutto in regola, dove si producono abiti a tutto spiano anche grazie a una rete di complicità più o meno illegali che gli garantiscono il monopolio.
Metti che lo stesso ha anche una piantagione dove si coltiva la pianta di cotone, una fabbrica dove si ricavano i filamenti, un'altra dove si producono i colori per tessuti, una dove si fabbricano le forbici, un'altra dove si fanno le macchine da cucire, una dove si costruiscono le lampadine per illuminare l'azienda di abbigliamento, un'altra ancora dove si fanno i termosifoni e una dove si fanno i condizionatori d'aria per riscaldare o rinfrescare l'azienda di abbigliamento, una dove si fabbricano i cessi per i dipendenti dell'azienda di abbigliamento, un'altra ancora dove si assemblano i mobili per arredare l'azienda di abbigliamento e così via. Tutte con meno di quindici dipendenti - molto meno: a volte soltanto due o tre -, tutte con almeno una macchina da cucire dove all'occasione confezionare qualche abito, tutte intestate alla numerosa prole, alla moglie, ai parenti fino all'ultimo grado e ai dipendenti lobotomizzati del padrone della fabbrica di vestiti. Piccole aziende, che proprio per questo possono pagare i lavoratori infinitamente meno di quanto non siano pagati gli altri e che per questo hanno diritto ad incentivi. Che però finiscono tutti nelle tasche sformate dello stesso padrone.
Il quale (oltre a sfruttare i dipendenti e a mandargli gli sgherri a minacciarli quando provano a ribellarsi), se gli gira, perché gli stai sul culo, perché è un misogino, perché non gliela dai, perché resti incinta, perché fai attività sindacale, perché sei comunista, perché sei una persona per bene e i suoi intrallazzi non ti piacciono, per una ragione qualunque, insomma, si può inventare che l'azienda va male e ti licenzia. E tu non hai strumenti per difenderti, non hai potere contrattuale, non puoi aspirare alla solidarietà umana dei tuoi compagni di lavoro perché sarebbe come chiedere loro di suicidarsi, non puoi obiettare che - trattandosi di un gruppo imprenditoriale e non di una piccola azienda familiare - ti potrebbe ricollocare nella casa madre. Così lui licenzia la gente a grappoli, senza giusta causa e senza motivo se non quello di aumentare i propri profitti sfruttando i dipendenti come bestie da soma.
Nella regione lo sanno tutti che lui è il padrone di tutto, ma - per paura, per ignavia o per complicità - nessuno dice niente. E lui continua a vendere stock di vestiti scadenti e fuori moda - perché tanto non c'è un altro che li fabbrichi in tutta la regione - e a prendersi i contributi dello Stato per sostenere la sua grande impresa con la scusa che servono alle piccole aziende intestate a parenti stronzi quanto lui e a dipendenti lobotomizzati.
Questa, caro il mio fagiolone, e senza tenere conto degli altri reati commessi dal monopolista dell'abbigliamento, si chiama truffa ai danni dello Stato e se tu fossi veramente uno statista questo non dovresti permetterlo: dovresti rompergli il giocattolo estendendo l'articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Ma sei un servo dei padroni, un provinciale alla corte dei marchionni. E un inutile fagiolone.

lunedì 6 ottobre 2014

West Side Story 2.0


"Solo sprangate altro che parlare costa gente". Costa, scritto così. Virgole e altra punteggiatura manco a parlarne. E già basterebbe questo, perché non è che se intrattieni una conversazione su Facebook devi fare per forza l'asino. Il problema è che questo asino è davvero e, più che la mancanza di virgole o le parole inventate, a dare la misura della sua ignoranza è il (dis)valore della frase. Tragedia doppia e tripla: perché queste parole denotano il senso di arrogante superiorità tipico dell'ignoranza, il razzismo nei confronti di qualcuno, la violenza come unico argomento. E per di più non è il ragionamento di un leghista contro un "negro" che, secondo la vulgata più comoda, ci viene a rubare il lavoro, ma razzismo privo della benché minima ricerca delle cause nei confronti di qualcun altro che ha manifestato razzismo verso chi ci viene a rubare non il lavoro ma la disperazione. Sulla quale, peraltro, non bisognerebbe litigare dal momento che ce n'è in abbondanza per tutti.
Razzismo al quadrato e pure al cubo, razzismo che genera razzismo dopo una scena alla West Side Story 2.0 osservata a Catania. L'ha raccontata su Fb un amico giustamente sconvolto: forse poco meno di un centinaio di ragazzi e ragazze fra i 14 e i 18 anni (verosimilmente gli stessi - sfumatura alta dei capelli per i maschi, abbigliamento e trucco da Crazy horse per le bambine - che il sabato pomeriggio scendono in centro dal loro quartiere privo di tutto e combattono la noia spintonando e spaventando i passanti), armati di catene e diretti verso il quartiere San Berillo per quella che è apparsa come una spedizione punitiva nei confronti dei numerosi immigrati che vi abitano.
Disperati contro disperati, i primi arrivati da un quartiere privo di tutto, i secondi approdati in un quartiere privo di tutto, capaci solo di parlare il linguaggio della rabbia, qualcuno accanendosi su qualcun altro in condizioni peggiori delle sue. Talmente carichi di rabbia (e forse anche di noia) da esploderne. Sembra che si siano divisi i giorni: il sabato i ragazzini catanesi contro i migranti (e, a quanto pare, pure contro i turisti), gli altri giorni bande di immigrati contro altre bande di immigrati. E per tutta la settimana, evidentemente, odio cieco su Facebook da parte di chi commenta i fatti.
Non so quale di questi razzismi mi spaventa di più, perché pensare che "costa" gente - cioè con i ragazzini dei quartieri popolari talmente emarginati da non essere capaci di vivere in mezzo alla gente - l'unico argomento di discussione possano essere le sprangate è forse la tipologia più spaventosa di razzismo, l'odio verso chi è diverso e non ci interessa sapere perché è diverso, perché è un disadattato.
Eppure, se quelli sono diversi per il colore della pelle, questi lo sono in testa per responsabilità di tutti noi: un ventennio di tv che offre modelli vincenti di troie e magnaccia in erba, genitori (almeno quelli che avrebbero gli strumenti per capire) che i figli li fanno ma non se ne curano, insegnanti demotivati o privi di mezzi, e persino noi che camminiamo per strada sbuffando alla vista di bande di ragazzini molesti e pensiamo "costa gente" solo sprangate, altro che parlare. Costa, costa carissima l'ignoranza e l'indifferenza di tutti noi.

sabato 4 ottobre 2014

Uguali


Qualche giorno fa ho visto la foto di un militante (?) del Pd siciliano intervenire a un incontro del suo partito. Oddio, "militante": non smetto di usare categorie démodées. Sembra che nel Pd, oltre a non essere rimasto nemmeno un briciolo di sinistra, non ci siano più militanti e tesserati (che poi le due cose sono collegate).
Diciamo che quella foto ritraeva un burocrate, uno destinato a diventare qualcuno, con il piglio di chi dà lezione, pantaloni blu con le pinces e stretti sotto, camicia bianca d'ordinanza.
Dovremmo esserci abituati, no, a vedere questi neoberluschini in divisa? E poi adesso anche i dati sul tesseramento ci confermano che il Pd è un partito di plastica, senz'anima, senza idee di sinistra e con molte idee di destra, senza passione e con molto calcolo. Eppure, no: fa impressione, ti suscita lo stesso raccapriccio che provoca la vista di uno di quegli enormi scarafaggi marrone di ultima generazione che hanno invaso le città prediligendo gli scarichi e hanno soppiantato quelli - rossi e molto più piccoli - che invadevano le case piene di libri. Lo stesso raccapriccio che provocava nei suoi familiari la vista di Gregor Samsa.
A rovistare, metaforicamente, nella merda c'è il rischio di una metamorfosi. Roba da vecchi rincoglioniti la militanza in un partito, le scuole quadri, gli scioperi per il lavoro, i volantinaggi nelle fabbriche e nei quartieri popolari, le riunioni di collettivo, i turni per la pulizia del cesso in sedi dove spesso non c'era l'acqua corrente. Meglio, molto meglio, per voi, i pantaloni blu e la triste camicina bianca, il partito come pollaio dove allevare clientes in batteria. I voti si prendono con i favori, i diritti si buttano nel cesso.
Me la rigiro mentalmente fra le mani quella foto e fra le mani vorrei avere lui, quel "militante" piddino, per assestargli un paio di ceffoni. Non sarà esattamente il metodo Montessori, ma a volte servono le terapie d'urto per aggredire malattie gravi come la carrierite. E ogni tanto uno schiaffo a un bambino può essere salutare. Già, perché quello che ho omesso di dirvi è che quel cosiddetto militante così tristemente bardato da yuppie renziano quarantenne era un ragazzo di appena diciassette anni. Anormale. Perché non è normale un ragazzino vestito in quel modo, a meno che non stia andando a fare la prima comunione (che già di per sé non è una cosa normale).
Se lo avessi fra le mani, gli direi: levati questa merda che hai addosso (e nel cervello) e vatti a mettere una maglietta ciancicata e un paio di jeans! Altrimenti, per te e per quelli come te è meglio una fine alla Gregor Samsa. Con una differenza rispetto a lui: che voi non siete dei diversi emarginati; voi siete drammaticamente degli uguali. Uguali a quelli dei club "Forza Silvio".

mercoledì 1 ottobre 2014

Lamette


Molti anni fa scrissi il classico romanzetto d'esordio - due terzi di autobiografia e un terzo di invenzione, violentemente shakerati nell'inutile tentativo di depistare quanti si sarebbero dedicati allo sport voyeristico dell'individuare i personaggi -: di quelli che si scrivono quando si ha bisogno di curare qualche malattia interiore.
Romanzetto che sarebbe rimasto nient'altro che il diario di un essere semplicemente complicato se io non avessi tentato di ingraziarmi protagonisti e lettori. Insomma, ho scritto quello che gli altri volevano sentirsi dire e che il comune sentire vuole sentire: ho espresso amore per una casa di cui odio l'impianto ideologico; ho riconosciuto saggezza a una persona che disprezzo; non ho sputtanato come avrebbe meritato un padre di merda; mi sono etichettata calcolatrice, su suggerimento di una scrittrice vera, perché sembra che una buona dose di cinismo non guasti e se sei stronza vendi di più.
Quindi il diario - in quanto tale autoconfessione e autocoscienza, e in quanto tale sincero - è andato a farsi fottere e il romanzetto è rimasto un animale ibrido con tutti i presupposti per essere sterile. Confesso che ogni volta che ci ripenso m'incazzo: magari nessun editore avrebbe pubblicato un diario che era soltanto tale, ma forse lo avrei preferito al non essere io.
Poi mi sono imbattuta in un libro di Michela Marzano, filosofa, parlamentare Pd (e questo è già un problema), quarantenne renziana (e questo è un grosso problema): "Il diritto di essere io", s'intitola ed è una raccolta di saggi prevalentemente sulle questioni di genere, pubblicati in precedenza su Repubblica. Tesine da liceali o da laurea triennale, in realtà: ben scritte, ma niente di più, sul piano dei contenuti, di quanto io e le altre (intendo le mie coetanee e coeve) non avessimo già appurato da anni con metodo empirico e cioè sulla nostra pelle.
Insomma, sono stata attratta dal titolo - perché è esattamente quello che rivendico da quel romanzetto in poi, quando scrivo qualcosa -, ma man mano che leggevo mi sono resa conto che non mi diceva niente di nuovo. Beh, però - ho pensato - forse potrà essere utile (ammesso che leggano) per le ventenni. Forse persino per le trentenni e le quarantenni berlusconianrenziane, convinte che per fare politica non servano le idee ma avere la figa ed essere delle strafighe da défilé di moda.
Poi ho capito che era una causa persa quando ho visto la Boschi a Ballarò, che ride quando parla di disoccupati e dell'Italia dice che è un Paese "molto bello", come una turista americana di passaggio. Very nice. E allora rivendico il diritto di essere io e di definire oca una che considero niente di più che un'oca; mentre come testo di riferimento più che la Marzano mi viene in mente Donatella Rettore: dammi una lametta che ti taglio le vene.