martedì 29 novembre 2011

Caro Signor Maestro

Chissà che non ci voglia davvero un maestro. L'ultimo allarme lo ha lanciato ieri da Firenze il linguista Tullio De Mauro: "Il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficoltà: il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell'analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello. Non più del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l'uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana".
A stretto giro di posta, nella serata di ieri, è arrivata la nomina a sottosegretario all'Istruzione di Marco Rossi-Doria, maestro elementare appunto. Un balzo in avanti alla velocità dei neutrini, se si pensa che siamo appena usciti dal tunnel di un ministro privo di neuroni sotto la cui "egìda" e senza nemmeno la necessità di sottoporsi a complicate e costose operazioni le carceri hanno cambiato sesso.
Forse ci vuole davvero un maestro, un esercito di maestri, per azzerare tutta l'ignoranza colpevolmente alimentata nell'ultimo ventennio, durante il quale a dirigere i Tg sono stati mandati i più servi, perché inducessero in confusione lo spettatore, facendogli credere che uno è stato assolto e dunque era innocente e non prescritto e dunque era colpevole ma grazie ai suoi poteri è riuscito a far perdere ai giudici tanto di quel tempo che il suo processo se n'è andato a puttane. Un ventennio che ha prodotto giochi per bambini nei quali la parola infliggere significa togliere. Sicché non è improbabile che un giorno, quando finalmente un Tribunale riuscirà ad infliggere a Berlusconi un bel meritato ventennio di galera, quei bambini diventati grandi potranno pensare che i vent'anni glieli hanno tolti e che dunque, ancora una volta, era innocente. Un ventennio durante il quale abbiamo chiamato onorevole persino il figlio di Frankenstein, il picchiatore fascista che usa il congiuntivo imperfetto al posto del congiuntivo presente (traducendo dal suo romanesco "annassero" o "facessero" e facendoti venire voglia, già solo per questo, di dirgli gentilmente e correttamente: "vada, vada affanculo, almeno fino a che non avrà imparato a parlare l'italiano!"). Un ventennio durante il quale non solo le pubblicità ma i giornalisti e gli scrittori hanno cominciato a dire "più estremo" senza che nessuno abbia un sussulto o che gli vengano le bolle su tutto il corpo. Un ventennio durante il quale l'impomatato dei sondaggi ha dato significato assoluto all'avverbio "assolutamente", usato non come rafforzativo ma in sostituzione di un sì o di un no: così uno fa una domanda, l'altro risponde "assolutamente" e il primo resta tutto il giorno come un coglione a chiedersi se volesse dire sì o no.
Ecco, signor maestro Rossi-Doria, anche se non è la cosa più importante, potrebbe cominciare con l'eliminarlo. No, non l'avverbio: potrebbe eliminare l'impomatato Masia dai Tg. Magari potrebbe mandarlo a fare la pubblicità della brillantina Linetti. Poi potrebbe fare un decreto per impedire a Gasparri di parlare se non dopo aver frequentato di nuovo tutto il ciclo delle scuole elementari. Infine potrebbe istituire una commissione (una specie di censura, ma linguistica) che esamini gli spot pubblicitari e ne vieti la messa in onda se contengono errori di italiano (ma pure di francese: sono più di cinquant'anni che sento pronunciare la t finale di Fernet e che mi si accappona la pelle!). Perché, vede caro maestro, ho come il vago sospetto che in questo Paese l'ignoranza la si voglia alimentare e non combattere perché serve ad allevare sudditi silenziosi e rassegnati. E la pubblicità è uno strumento eccelso in questo senso.
Succede proprio per questo che "Non più del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l'uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana". Se ci fa caso, è a occhio e croce la stessa percentuale di persone che votano consapevolmente e non per l'amico, "per la persona" o per il favore.
Poi però - ma forse è meglio prima - faccia sedere sui banchi di scuola i suoi colleghi ministri e viceministri e spieghi loro che lavoro non significa favore, che pensione non è uguale a regalo generoso, che salario non vuol dire privilegio e che il significato di diritto non può che essere diritto, perché c'è gente che c'è morta nei secoli per conquistare i diritti.
Altrimenti c'è il rischio che gli Italiani - quelli per bene: quelli che sanno perfettamente come la parola lavoro si accompagni indissolubilmente al termine dignità, quelli che non fanno i furbi, quelli che non evadono il fisco, quelli ai quali questo nuovo governo con la scusa della crisi vuole sottrarre i diritti - si rivolgano a voi non con un gasparriano congiuntivo trasteverino né con un più corretto e cortese congiuntivo presente, ma vi ci mandino con un perentorio imperativo categorico.

P.S.: Caro Signor Maestro, nello stesso giorno dell'allarme lanciato da De Mauro e della sua nomina, è successa una terza cosa importante: sono morti (uno consapevolmente, forse perché non ne poteva più di un mondo governato dalle banche che calpesta i diritti dei lavoratori) tre grandi intellettuali italiani. Faccia in modo che la loro morte non sia stata vana.

domenica 27 novembre 2011

Pet-economy? Monti ci tassa il respiro.


Probabilmente non è vero, ma è (mi auguro fortemente che sia così) soltanto una classica leggenda metropolitana. Frutto però del colpevole alone di mistero che avvolge il piano del governo Monti per risanare l'economia del Paese. Insomma, le misure "impressionanti" il presidente del consiglio le ha mostrate a Merkozy, forse ne ha accennato nel tunnel durante la riunione paramassonica con i segretari dei partiti che sostengono il governo dell'inciucio (a proposito e a proposito di misteri che alimentano fantasie, per analogia, mi viene in mente la storia del tunnel segreto fra due conventi catanesi dove si sussurra che in altri tempi monache e monaci si dessero appuntamento: si fa, ma non si dice), ma sicuramente non ne ha informato i diretti destinatari del cetriolone, cioè gli Italiani, quasi certamente nel timore che stavolta e finalmente al popolo bue si mettano a girare i coglioni.
E dunque le voci, le indiscrezioni, le dicerie, le congetture si rincorrono e magari quelli che sono soltanto timori (fondatissimi, dal momento che non è più un modo di dire che ci fanno pagare pure l'aria che respiriamo e soprattutto che la fanno pagare a quelli che ormai gratis hanno soltanto l'aria) diventano notizie.
Ora la notizia (non verificabile perché, appunto, nessuno ha avuto in mano alcun documento ufficiale) - oltre quella, ormai assodata, che il governo dei banchieri non toccherà i grossi patrimoni - è che gli animali d'affezione diventeranno beni di lusso e dunque saranno tassati.
Spero proprio che non sia vero perché da gattara (e, in passato, anche canara) che ha sempre adottato gatti di strada so che si tratta di un bene primario: il gatto (ma vale anche per il cane, con qualche aggiustamento "organizzativo" per quelli di grossa taglia) non prova disgusto se nella sua ciotola trova un tuo capello; al gatto non dà fastidio se dormite nello stesso letto; il gatto, pur di stare con te il più possibile, non esita ad entrare in bagno mentre sei seduto sul cesso e a mettersi a fare conversazione con te; al gatto non fa schifo mangiare nel tuo piatto; al gatto non importa se russi la notte. Anzi, pensa che tu stia facendo le fusa e comincia a farle pure lui. Se stai male o sei triste, il gatto si mette a letto con te, ti tiene per mano e non schioda finché non ti alzi; se stai piangendo, il gatto mette la sua manina pelosa proprio lì, su quella lacrima, per fermarla; il gatto non ti guarda con disprezzo se hai perduto il lavoro; il gatto - diversamente dai cosiddetti esseri umani che passano e svaniscono, perfino quando formalmente sono ancora lì - non ti abbandona, se non nel momento in cui muore.
Il gatto (il cane) è il tuo respiro: fior di ricerche dimostrano quanto sia fondamentale la presenza di animali nella casa di una persona malata; tutti conoscono l'importanza di un animale "da compagnia" per una persona anziana e sola; per esperienza diretta so che i bambini crescono più buoni e sensibili se con loro, fin da piccoli, c'è un gatto o un cane.
Dia retta a me, presidente, la presenza di un animale in casa dovrebbe essere imposta per legge e la tassa dovrebbe essere applicata a chi non ha un cane o un gatto che gli riempie di peli la casa e nelle scuole dei più piccoli dovrebbe essere prevista l'adozione di animali con cui fare stare i bambini e farglieli osservare. Scoprirebbero che la "buona educazione" può essere solo un orpello formale, mentre la solidarietà è una cosa naturale che solo questa società di merda, fatta di ricchezze materiali e privilegi, ha snaturato; e forse domani potrebbero esserci meno mafiosi, meno evasori fiscali, meno persone opportuniste, aride e incapaci di sentimenti.
E lei, professor Monti, vorrebbe inaugurare un nuovo corso, quello della pet-economy, tassando (punendo) quelli che hanno bisogno del calore "umano" di un gatto o di un cane per sopportare il dolore della povertà, della solitudine, della disoccupazione?
Spero di essere smentita. Altrimenti, le darei un consiglio: ogni tanto esca dalle aule universitarie, dalle banche, dalle chiese, vada a farsi un giro per le strade o ai giardinetti e si soffermi un po', perda un po' del suo tempo strapagato ad osservare gli sguardi innamorati che si scambiano un senzatetto e un cane o una donna sola e un gatto.

venerdì 25 novembre 2011

Fukushima e l'harakiri del samurai in diretta tv

E' come se Pippo Baudo, per rilanciare il settore ittico della provincia di Siracusa, si facesse vedere in tv, possibilmente in prima serata, mentre mangia di gusto uno dei pesci a due teste che di tanto in tanto si pescano nel triangolo del Petrolchimico.
Nazionalpopolare pure lui, forse, ma eccessivamente ed ingenuamente filogovernativo, qualche tempo fa Otsuka Norikazu, famoso presentatore della televisione giapponese, si è presentato davanti alle telecamere e si è nutrito - sorridente, soddisfatto e quasi ingordo - di verdure coltivate nei pressi della centrale nucleare di Fukushima: la popolazione continuava a non acquistare i prodotti della terra - malgrado la revoca delle restrizioni imposte dal governo subito dopo l'incidente nucleare - e l'agricoltura stava colando a picco.
Ora a colare a picco è proprio la vita di Otsuka Norikazu, colpito pochi giorni dopo il suo show culinario e a pochi mesi dal disastro di Fukushima da leucemia acuta linfatica, uno di quei tumori del sangue che difficilmente perdonano. Sì, forse il suo spot se l'è fatto pagare bene e quindi - a differenza di tanti che non si possono curare - non avrà difficoltà a sostenere le spese mediche che eviteranno il "rapido decorso infausto". Forse non morirà subito, insomma, ma vivrà con la morte appollaiata su una spalla.
Al presentatore vorrei fare una sola domanda: Ne valeva la pena?
Ma vorrei fare una domanda anche al neoministro italiano dell'Ambiente, Corrado Clini, che appena insediato e malgrado una consultazione popolare che ha visto gli Italiani dire di no in massa al nucleare, ha rilanciato l'ipotesi dell'energia atomica: Ne vale la pena? Non è il caso che lei ritratti senza arrampicarsi su specchi e paletti tipo "a certe condizioni"?
Anche perché dubito fortemente che Pippo Baudo - che pure non è un estremista - sarebbe così stupido, poi, nemmeno se dovessero ricoprirlo di soldi, da correre a parargli il culo suicidandosi in diretta. Roba da samurai.

giovedì 24 novembre 2011

Il settore tira, la Elco licenzia, le istituzioni tacciono





(le foto sono di Salvatore Torregrossa)
Da qualche giorno a Catania, al numero 140 di via Giacomo Leopardi ha aperto un negozio di elettrodomestici e simili. Si chiama Unicity. Grandi vetrine, grandi spazi e l'immancabile slogan: "Grande tecnologia, piccoli prezzi". Già perché, crisi o non crisi, il settore è di quelli che tirano e anzi rappresenta quasi il "topos" o persino l'archetipo del capitalismo globalizzato delle multinazionali: fanno nascere in te il bisogno indotto, convincendoti che per esistere tu abbia la necessità assoluta di possedere un televisore che occupi tutta una parete (rubando spazio alla libreria!), poi arrivano le finanziarie che ti prestano i soldi e tu, già che ci sei, compri anche il condizionatore di ultima generazione, cambi la lavatrice che ancora funzionava benissimo, ti porti a casa il frigorifero che ti fa i cubetti di ghiaccio personalizzati con l'iniziale di ciascun componente della famiglia, compri il cellulare per il bambino che sta per nascere....
Un paio di settimane fa a Roma, nella zona di Ponte Milvio, ha aperto un centro commerciale Trony ed è successo un casino: c'era tanta di quella gente che sono dovuti intervenire i carabinieri per garantire l'ordine pubblico.
Eppure a Catania, nella stessa strada di Unicity, un centinaio di numeri civici più in là, l'estate scorsa ha chiuso la Elco. Che ha chiuso anche a Misterbianco, a Tremestieri, a Siracusa, ad Avola e in altri centri: li ha chiusi tutti i suoi negozi, dall'oggi all'indomani, lasciando i suoi dipendenti - centinaia di lavoratori - e le loro famiglie nell'incertezza totale. "Elco, da cinquant'anni insieme a te": poi un calcio in culo a ciascun lavoratore e chi s'è visto s'è visto.
La vicenda - passata quasi sotto silenzio, fra indifferenza delle istituzioni e tentativi di "pacificazione" (non è forse questa la parola più di moda oggi in Italia per giustificare governi "tecnici" che continueranno a fare gli interessi dei padroni?) persino da parte di chi dovrebbe difendere il lavoro - risale al maggio dello scorso anno, quando l'azienda, di proprietà della famiglia Ferlito, adducendo improbabili difficoltà economiche, avviò una procedura di mobilità per cessazione dell'attività, nel frattempo trasformata in ricorso agli ammortizzatori sociali per alcuni e trasferimento ad altra società per altri. In realtà, raccontavano stamattina i lavoratori di Catania, in sit-in davanti alla sede di via Giacomo Leopardi, ci avevano già provato un paio di anni fa a licenziarne una quarantina: parlavano di debiti e di esuberi e i dipendenti avevano inutilmente proposto di ridurre le ore di lavoro per evitare i licenziamenti, che poi sono arrivati per tutti: una sessantina in cassa integrazione subito, poi tutti gli altri che prima sono stati ceduti dalla Elco alla Elco group (di cui è socia la famiglia Piccinno) e poi hanno dovuto fare i conti con la dichiarazione di fallimento di quest'ultima società e con la chiusura dei negozi: quelli di Catania sono poco meno di duecento e fra di loro ce n'erano alcuni che lavoravano lì da oltre vent'anni e c'erano venti coppie, marito e moglie tutti e due sulla strada. Molti cinquantenni. Vecchi per il mercato del lavoro. Ma questa cosa se l'è sentita dire pure una ragazza di 34 anni: sulle spalle un mutuo di ottocento euro perché basato su due stipendi - il suo e quello del marito - e due bambini piccoli. Quando cercava un altro lavoro, le hanno detto che non andava bene, perché volevano persone massimo venticinquenni: le sono venute le macchie sulla pelle e ha perso i capelli a ciocche, la cura è costata cinquecento euro per tre mesi, farmaci non mutuabili. Un altro negozio di elettrodomestici ha sbattuto la porta in faccia a un'ex dipendente perché donne non ne vuole: hanno figli e mestruazioni. Colpa gravissima, in questo Medio evo. E, a quanto riferiscono gli ex lavoratori, comunque gli altri negozianti non li vogliono perché sembra sia stata sparsa la voce che causa della crisi aziendale sia la loro incompetenza. Mentre erano lì, a fare una cosa che i sindacati gli avrebbero sconsigliato perché inutile (dev'essere uno degli effetti del cambiamento climatico pure questo: i sindacati che ritengono inutile lottare per il lavoro!), è passata a trovarli un'ex collega, una signora che è andata in pensione appena in tempo. Ci mancava poco che baciasse per terra per essere passata sotto un treno: sì, perché l'altra "porcata" che i lavoratori hanno dovuto subire è che non gli è stata neppure pagata la liquidazione e gli è stato proposto di ricevere il Tfr in rate semestrali nei prossimi cinque anni: che fa settanta euro al mese. E non è detto che ci sia nemmeno quello, perché il prossimo 29 novembre ci sarà in Tribunale l'udienza per il concordato preventivo, la procedura che serve ad evitare il fallimento: appuntamento di cui i lavoratori sono stati informati soltanto da pochissimi giorni e durante il quale temono fortemente che i creditori possano rivalersi anche su quanto spetterebbe agli ex dipendenti. Considerato che da luglio, da quando il negozio ha chiuso, non vedono un centesimo, veramente un affare! Perché non solo non hanno più lo stipendio, ma nemmeno un sussidio di disoccupazione dato che, a quanto sembra, non risulterebbero nemmeno licenziati: "Non rientriamo nemmeno nelle statistiche sulla disoccupazione", dice una di loro. Così, in realtà, un altro lavoro non possono nemmeno cercarlo. A meno che - sintetizza un'altra - non sia un lavoro in nero.
D'altra parte in una città come Catania, dove fioriscono ad ogni angolo bar e negozi in cui viene investito il denaro della mafia, dove i padroni ti fanno il mobbing e ti impediscono di iscriverti al sindacato, dove i patronati sono fabbriche di clientelismo, dove medici e notai chiedono di essere pagati in contanti per non fare la fattura, chi vuoi che si accorga di un'illegalità in più o in meno?

martedì 22 novembre 2011

E' arrivata la mela cozza

Evviva la mela scamuffa! Evviva la mela sgarrupata! Evviva la mela cozza, non rifatta, non siliconata, non incerata, dalle misure imperfette! Ma l'avete vista? E' bellissima nella sua normalità, con i suoi bitorzoli e le sue macchie sulla pelle.
Insomma, l'ho vista ieri sera per la prima volta in tv e spero proprio che sia il primo segnale di "un nuovo corso" della pubblicità: Melasì è la sorella gemella di Melinda, cresciuta sugli stessi alberi della Val di Non - spiega il nuovo spot -, curata dagli stessi produttori, con la stessa genuinità e le stesse qualità organolettiche delle principale protagonista della réclame, ma è bruttina perché è stata colpita dalla grandine. E ha un vantaggio in più: tiene conto della crisi economica, fa quello che ormai facciamo tutti noi quando andiamo al mercato, scegliendo i frutti meno appariscenti ma non per questo meno buoni per risparmiare. Melasì infatti costa meno pur essendo (così assicurano i produttori) di altissima qualità.
Beh, io non lo so se questa mela è di alta qualità, però mi piace - e mi auguro sia seguita da altre - quest'inversione di tendenza rispetto a quell'esplosione di ricchezze volgari e bellezze fasulle a cui ci hanno abituati gli ultimi vent'anni e che stridevano come fuochi d'artificio in un paese sotto i bombardamenti. E non posso che apprezzare la presa d'atto di una crisi che finora sembrava non sfiorare il mondo parallelo e da favola che la pubblicità solitamente ci propina.
Certo, non m'illudo: il mercato (e, con esso, la pubblicità) quasi mai è spinto da un bisogno etico, ma se almeno tiene conto della realtà è già qualcosa.
Adesso sarebbe bello che dalla pubblicità sparissero i Suv e i macchinoni che ti puoi comprare soltanto se sei un evasore fiscale o un padrone che sfrutta i lavoratori - quindi un delinquente e/o un produttore di Suv - e che portassero con sé il più lontano possibile anche quel carico di carne un tanto al chilo che nell'èra berlusconiana hanno rappresentato i corpi delle donne.
Pensate quant'è brutto un cervello: brutto, ma "di qualità elevatissima" come dice lo spot di Melasì.

lunedì 21 novembre 2011

Sdoganare l'ignoranza

Mia madre allora mentì sulla mia età. Il film - uscito circa tre anni prima - era vietato ai minori di quattordici anni e io non li avevo ancora compiuti, anche se mancava poco. Strano, perché tuttora farebbe carte false pur di dimostrare che ne ho dodici. Scene di sesso, di amanti clandestini, rapporti anagraficamente sbilanciati, film scandaloso (e forse, più di tutto, per l'embrione di ribellismo che conteneva in sé), insomma. Di quelli che, oggi, se lo fai vedere a un bambino delle elementari, quello ti guarderà deluso e irridente e commenterà: "Tutto qui?" Per poi passare all'attacco e chiederti per quale ragione di questo film non ci sia traccia nel capitolo del libro di storia riguardante il pleistocene.
E pleistocene, roba d'antan che fa sorridere - pindaricamente trasvolando dal cinema alla cultura o, più modestamente, al grado di istruzione degli italiani -, oggi appare "Io speriamo che me la cavo", summa dell'ignoranza di bambini delle elementari geograficamente limitata alla provincia campana, frutto di emarginazioni e ritardi economici, messa su carta vent'anni fa dal maestro Marcello D'Orta, testimone oculare e (povero lui!) uditivo.
Oggi, vent'anni dopo, l'ignoranza in Italia ha allargato i suoi confini a tutto il territorio nazionale e a tutti gli strati sociali ed è cresciuta: ha finito le elementari, ha fatto le medie inferiori e superiori, si è iscritta all'università.
Se n'è parlato qualche sera fa a Catania durante la presentazione del libro "Leggere, pensare, scrivere, cliccare" di Graziella Priulla che ha raccontato alcuni "nanetti" (giusto per adeguarmi al tema) della sua carriera di docente universitaria alle prese con giovani-adulti, ma anche professionisti o informatici superspecializzati, elettori dunque (e non c'è bisogno qui di spiegare quanto male faccia l'ignoranza alla democrazia), incapaci di distinguere una parola dall'altra.
"Uno sfogo, una biografia culturale", partita "dall'esperienza di docente" ma anche "dall'indignazione di cittadina", ha definito il suo libro Graziella Priulla, pur avendolo corredato di dati e ricerche scientifiche. E forse sono proprio gli esempi portati, quegli aneddoti che farebbero ridere se non ci fosse da piangere, a dare la misura - più dei numeri - della gravità della situazione. Priulla ha parlato degli "strafalcioni" nei concorsi per la magistratura", di presidi che scrivono "l'aradio", di laureati che non sanno compilare un modulo all'ufficio di collocamento, di studenti universitari (e i suoi sono iscritti a Scienze politiche!) che non sanno dare un significato ai termini "devolution", "Camera e Senato", "bicameralismo".
Ha raccontato di uno studente che, alla domanda se l'Italia sia una repubblica o una monarchia, ha risposto: "Non me lo ricordo: era nel programma dell'anno scorso".
Che poi, se fosse stato solo strafottente e non felicemente ignorante come una capra e quindi cretino, avrebbe potuto rispondere: "Una monarchia". E poi magari avere la furbizia di recuperare: "Sa, prof, mi sono confuso perché quando ho cominciato le elementari c'era lui, in prima media c'era lui, quando mi sono iscritto al liceo (o l'iceo?) c'era lui, quando mi sono innamorato per la prima volta c'era lui, quando ho dato il mio primo bacio c'era lui, quando ho fatto l'amore per la prima volta c'era lui, quando sono arrivato all'università c'era lui...ho creduto che fosse una monarchia".
Già, perché il problema è che negli ultimi vent'anni in Italia c'è stato Berlusconi, con il suo carico perverso di disvalori e le sue televisioni e i suoi tagli alla cultura, con il suo osceno progetto che, insieme al "depauperamento delle parole" - ha spiegato la docente - porta con sé il "depauperamento del pensiero": perché "a qualcuno fa comodo che gli Italiani non distinguano fra prescrizione e assoluzione".
Sicché capita (non a caso) che dalle scuole italiane si tolga lo studio del diritto e dell'economia, magari sostituendoli in Lombardia (grazie a un accordo fra la pessima Gelmini e l'orrido La Russa) con corsi di addestramento militare, e che in Sicilia si imponga lo studio del dialetto come lingua. Obiettivo "visibile", per Graziella Priulla, lo "sdoganamento dell'ignoranza".

giovedì 17 novembre 2011

Il Ministro è moglie di...

Ma perché tutti non fanno che sottolineare la presenza delle donne nel governo Monti e specificano che si tratta di ministeri "pesanti"? Non sarà che vogliono indurci a guardare il dito anziché la luna?
A parte che non vedo la ragione di tanta euforia, dal momento che le donne nel governo sono tre su diciassette ministri (diciotto, compreso il primo ministro), e a parte l'aspetto positivo che le borse non le roteano sui marciapiedi ma ce le hanno sotto gli occhi con tutto il loro corredo di carico di lavoro, figli, nipoti, rughe e certificato di nascita ben in vista, vorrei umilmente far notare un paio di cose.
Intanto, non è vero che è la prima volta che le donne hanno ministeri di rilievo: il primo ministro dell'Interno donna durante il governo D'Alema fu Rosa Russo Iervolino e si comportò da catto-fascista come la gran parte dei ministri dell'Interno italiani; mentre un ministero di grande importanza, quello alla Sanità (non capisco per quale ragione lo si consideri minore, dal momento che si tratta della salute e della vita degli italiani), è stato ricoperto da Rosi Bindi. E il fatto che molti primari ospedalieri slash evasori fiscali ancora vorrebbero scuoiarla viva è garanzia del suo buon operato.
In secondo luogo, se sono donne che hanno accettato di entrare in un governo dei cattolici e dei banchieri (volendo fare una sorta di crasi della sostanza, praticamente lo Ior) io non sono del tutto certa che faranno gli interessi delle donne e, in generale, dei più deboli perché gli unici interessi sui quali sono abituate a ragionare - come i loro colleghi maschi - sono gli interessi bancari.
Terzo: comunque, anche se ci hanno messo il carico del ministero del Lavoro, è sempre una donna la titolare delle Pari opportunità, cosa che non mi piace e non mi è mai piaciuta perché suona tanto come lo zuccherino dato ai cavalli per essersi comportati bene. Anzi, è come dare dignità ministeriale al the delle cinque con plum-cake e pastine da dessert. Per la serie: fatevi le vostre cose cretine e non rompete i coglioni che noi (maschi) abbiamo nelle mani il destino del Paese.
Quarto: poco fa ho sentito alla radio il curriculum del Ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Fra i suoi "titoli" c'era anche l'essere moglie dell'economista ed editorialista de "La Stampa", Mario Deaglio. Ma dico, ma quando mai qualcuno si è preoccupato di farci sapere - come "titolo di merito" - che Mario Monti è marito di Elsa Antonioli, presidente della Croce rossa di Milano o che Giorgio Napolitano è marito dell'avvocato Clio Bittoni?
Infine: tutta questa enfatizzazione della presenza delle donne nel governo, fa il paio con lo stupore ormai decennale dei cronisti che segnalano grappoli di donne sulle barche dei migranti (come se le donne non soffrissero anche più degli uomini e non fossero capaci di decisioni estreme come quella di fare una traversata a rischio della vita) o che sottolineano il ruolo di boss assunto da alcune donne di mafia (come se le donne non sapessero essere stronze e bastarde anche più degli uomini).
Forse la vera svolta, la vera rivoluzione, sarà compiuta quando avremo smesso di avvistare donne nei ruoli centrali del "potere" come fossero oasi nel deserto. Perché il più delle volte si tratta di un miraggio.

mercoledì 16 novembre 2011

Piccolo grande uomo, Partigiano della Costituzione

Non mi piace, non mi pace per niente questa storia. E' un crescendo e sembra che l'unico pericolo per il nostro Paese non sia la crisi, la disoccupazione, la povertà, la mafia, ma chi la mafia la combatte.
Ancora una volta Antonio Ingroia è sotto il tiro di un fuoco incrociato da parte di politici e mafiosi ma perfino dai suoi stessi colleghi e fa impressione che due notizie riguardanti uno dei magistrati più seri e maggiormente impegnati nella lotta alla mafia, l'allievo preferito di Paolo Borsellino, escano a poche ore l'una dall'altra: la prima riguarda l'apertura di un fascicolo nei suoi confronti da parte del Csm per la sua partecipazione al congresso nazionale dei Comunisti italiani e per il suo intervento nel quale si dichiarava - come dovrebbe essere fisiologico per ogni magistrato - "Partigiano della Costituzione"; l'altra si riferisce al ritrovamento di fili elettrici e di una centralina nel Palazzo di Giustizia di Palermo nella stanza del magistrato Lia Sava - anche lei in prima linea nello scoprire i rapporti fra mafia, politica e affari -, dove fino a non troppo tempo fa aveva il suo ufficio anche Ingroia. Tentativo di piazzare una microspia o intimidazione (queste le due ipotesi subito avanzate), ciò che è chiaro è che un magistrato come Ingroia (o come la Sava o i loro colleghi che non smettono di fare il loro lavoro con impegno, passione e dedizione) fa paura a chi fa affari con la mafia, a chi grazie alla mafia trae benefici politici, alla mafia che grazie a politici e imprenditori corrotti espande il suo potere sul territorio.
A questi Ingroia non piace, certo, e basta spigolare fra le notizie dei mesi passati per trovare una sfilza di attacchi nei suoi confronti da parte di esponenti del centrodestra (e non è colpa mia, né di Ingroia, se quelli indagati per rapporti con la mafia stanno quasi tutti da quella parte), a partire dal semisconosciuto Giuseppe Ruvolo - esponente dell'Udc e poi del Pid di Ribera, che si scagliò lancia in resta contro Ingroia prima per sentenziare l'innocenza di Totò Cuffaro, condannato a sette anni in via definitiva per favoreggiamento aggravato alla mafia, e poi per difendere l'ormai finalmente ex ministro Saverio Romano dall'accusa di avere rapporti con i boss - fino al capogruppo del Pdl alla Camera, il piduista Fabrizio Cicchitto, che ne ha chiesto le dimissioni definendolo "un tribuno della plebe che arringa la folla" proprio per il suo intervento al congresso del Pdci.
In mezzo, stuoli di parlamentari e giornalisti servi che vorrebbero fargli la pelle. E adesso - quello che fa orrore - pure i suoi colleghi, quelli che dovrebbero fargli scudo con i loro corpi, lo fanno passare dalla parte dell'imputato, ben sapendo quanto possa essere rischioso lasciare da solo un magistrato come Ingroia. Non tutti i suoi colleghi, per fortuna ("Sono convinto che in certi momenti in cui l'effettivo rispetto di alcuni principi costituzionali è messo in pericolo anche da progetti di riforma in materia di giustizia - ha detto il presidente della giunta dell'Anm di Palermo, Nino di Matteo -, sia non solo un diritto, ma un preciso dovere di ogni magistrato denunciare pubblicamente quei rischi"), e non certo le persone per bene e i siciliani, che conoscono il valore di questo piccolo grande uomo e non permetteranno che qualcuno lo faccia diventare un bersaglio mobile.

domenica 13 novembre 2011

Si è rotto il preservativo

Marco ieri diceva che è una specie di coitus interruptus.
Parlavamo del fatto che ci hanno tolto la possibilità di godere a pieno delle dimissioni di Berlusconi, di lasciarci andare all'euforia. Una gioia dimezzata, interrotta appunto, perché Berlusconi non l'abbiamo mandato via noi e soprattutto perché al suo posto ci hanno messo uno che non frequenta mafiosi, non va a puttane, e non si farà strettamente esclusivamente gli affari suoi, ma che comunque farà quelli delle banche e del grande capitale e le persone - quelle vere, che campano di stipendio o che non campano nemmeno di stipendio -, per restare alla metafora "erotica", la prendono lì.
Poi ci ho riflettuto. E' peggio, è molto peggio del coitus interruptus. Perché quello almeno te lo aspetti, lo sai che a un certo punto accadrà, ed è sempre meglio che mettersi ad armeggiare con quel rompicapo di plastica puzzolente che quando hai capito come funziona ti è già passata la fantasia.
Questo è incommensurabilmente peggio: è come quando il preservativo si rompe sul più bello e un momento magico diventa un incubo e passi un mese nell'angoscia perché non sai quello che ti aspetta. E non te lo puoi permettere perché sei troppo giovane o troppo vecchia, o troppo povera....
E a questo punto c'è solo una possibilità, per evitare soluzioni drastiche: che ci vengano presto le elezioni.

sabato 12 novembre 2011

Le divise swarovski dei vigili urbani di Catania

E insomma Stancanelli - sempre quello: quello che pur avendo rinunciato al doppio incarico è rimasto sempre, al massimo, mezzo sindaco di Catania - continua a spendere soldi in minchiate, è impegnato in una vorticosa campagna elettorale che lo fa diventare uno e trino (basta vedere il calendario degli appuntamenti mondanpolitici catanesi per accorgersi che presenzia praticamente a tutto: dalla mostra mercato dei prodotti artigianali del quartiere San Cristoforo alla consegna di uno sportello informativo del Comune all'interno dell'aeroporto), ci racconta la megaballa del primo cittadino che ha ripristinato la legalità e risanato il bilancio comunale, ma siccome con i tedeschi non si scherza (come sa bene anche il capo del suo partito) ora la pagherà cara la sua sbruffoneria.
Carissima, in realtà, e in realtà la pagheranno tutti i cittadini catanesi perché il loro caro sindaco, comportandosi - diciamo così, con un eufemismo - con leggerezza, ha contratto un debito, non lo ha pagato, si è fatto fare un decreto ingiuntivo esecutivo, se n'è fottuto alla grande facendo lievitare enormemente la somma dovuta e alla fine, però, siccome i tedeschi sono tedeschi e non se ne fanno passare una (magari lui pensava di cavarsela con una pacca sulle spalle e un accordo aumm aumm), i suoi creditori hanno continuato a - come si dice in gergo giuridico - adire le vie legali fino a rivolgersi a un Tar altrettanto tedesco, quello di Bolzano, che non se l'è fatto ripetere due volte ed è andato dritto come un treno ad alta velocità.
Ma vediamo di ricostruire la cosa: il 18 febbraio 2009, dando seguito a un'asta pubblica bandita dall'Economato del Comune per acquistare le nuove divise dei vigili urbani, la Commissione aggiudicatrice dell'appalto ammette al pubblico incanto una delle due sole ditte che si erano presentate, appunto la Würth dell'omonimo gruppo tedesco con sede italiana ad Egna, nome in tedesco Neumarkt, in provincia di Bolzano. Oltre 2000 paia di pantaloni, un migliaio di camicie, berretti e cravatte per un importo a base d'asta di 137.500 euro più iva. Francamente non saprei dire cos'è successo strada facendo, ma fatto sta che il debito del Comune nei confronti della Würth è diventato di 734.876,42 euro, aggravato ulteriormente da interessi di mora e spese legali che lo fanno avvicinare pericolosamente al milione. Roba che gliele avrebbero potute tempestare di cristalli swarovski 'ste divise! Debito non pagato, comunque, malgrado un decreto ingiuntivo esecutivo del 12 novembre 2010, tanto che la società - dopo diversi e inutili tentativi di farsi pagare - ha deciso di rivolgersi al Tar di Bolzano che il 18 ottobre scorso le ha dato ragione concedendo al Comune 30 giorni per pagare e nominando commissario ad acta il prefetto di Messina che, allo scadere del termine (cioè fra sei giorni), potrà avviare una serie di azioni perché la società abbia quanto le spetta. Potrà quindi operare variazioni di bilancio, accendere mutui o chiedere prestiti per conto del Comune o vendere beni di proprietà comunale, c'est à dire dei catanesi. Che dovranno aggiungere anche questa somma a quella vertiginosa del buco di bilancio creato dal predecessore di Stancanelli, Umberto Scapagnini, ed evidentemente mai sanato tanto che non è possibile pagare i debiti.
Riporto le parole pronunciate dal sindaco durante un consiglio comunale convocato appositamente e inutilmente e costato - a quanto sembra - cinquemila euro di diretta televisiva per comunicare che sarebbe rimasto a fare il primo cittadino: "Abbiamo pagato i creditori in ordine cronologico. Non c'è un creditore del Comune di Catania che possa dire che è stato superato; non li abbiamo chiamati: gli abbiamo mandato i soldi a casa!"
Ah, ecco allora qual era il problema: le solite Poste italiane che non funzionano.

giovedì 10 novembre 2011

Tutta Palermo disoccupata

E' come se fosse disoccupata quasi tutta la città di Palermo: in Sicilia i giovani che non hanno lavoro sarebbero poco meno di seicentomila.
Lo dice lo Svimez, secondo cui i giovani ufficialmente disoccupati sono duecentoquarantottomila, ma a questi bisogna aggiungerne altri trecentoventiseimila "nascosti", per un totale di cinquecentottantaduemila. Appunto: poco meno degli abitanti del capoluogo di regione.
L'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno spiega infatti che lo stato dell'occupazione in Sicilia è peggiore di quanto non si possa pensare guardando soltanto ai dati ufficiali: "nel 2010, se consideriamo anche coloro che 'pur non facendo azioni dirette di ricerca di occupazione sono disponibili a lavorare', il tasso di disoccupazione corretto dell'Isola sarebbe più che raddoppiato, passando dal 14,7% ufficiale al 28,9%".
L'allarme, lanciato oggi a Palazzo Steri nell'ambito delle Giornate dell'Economia del Mezzogiorno, diventa ancora più preoccupante se si pensa che nell'ultimo anno il tasso di occupazione giovanile in Sicilia è sceso al 38,8% rispetto a una media nazionale - pur sempre inquietante - del 52% e che ancora una volta ad essere penalizzate sono le ragazze: nell'Isola soltanto una giovane donna su cinque - appena il 20,6%, 18 punti in meno della già vergognosa media nazionale - ha un lavoro.
Se a questo si aggiunge che, sempre in base ai dati dello Svimez, nell'Isola un laureato su tre non lavora, alimentando l'esercito dei Neet o dei migranti intellettuali, allora il quadro è completo.
D'altra parte, per essere assunto nei patronati fabbriche di voti o per andare a fare l'esattore del racket o lo spacciatore, non serve la laurea: anzi, più sei ignorante e meglio è.

Giovanardi a Woodstock

Naaa, non ci posso credere! Io francamente non ce lo vedo. Avete presente Carlo Giovanardi, il fratello brutto di Fernandel (e la tragedia è che ha pure un gemello!), quello con l'aria sempre incazzata che sembra sia appena stato punto da una vespa, il nemico giurato dei gay, il fustigatore dei costumi e dei fabbricanti svedesi di mobili, il sostenitore della famiglia basata sul matrimonio celebrato in chiesa e tutte quelle menate là? Sì, proprio lui: Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, alla droga e al servizio civile. Ebbene, il paraministro, per eliminare la seconda delle sue tre deleghe e convincere i giovani a non drogarsi (che, a dirla tutta, con un sottosegretario così uno rischia che a cinquant'anni passati gli venga voglia di cominciare a farsi di qualcosa) ha lanciato una campagna di pubblicità molto anni Settanta. A partire dall'uso della lingua inglese, of course.
Ma, dico, ve l'immaginate Giovanardi con i capelli lunghi, una fascia in fronte, i jeans sdruciti a zampa d'elefante, la chitarra elettrica a tracolla e il simbolo della pace disegnato sulla guancia flaccida da bulldog?
Ebbene, il sottosegretario alla famiglia cattolica (padre che porta i pantaloni nonché i soldi a casa, madre casalinga, figlio maschio maggiore che seguirà le orme professionali del padre, figlia femmina minore e minorata e corredo di corna) per veicolare il suo messaggio antidroga ha deciso proprio di servirsi di uno degli strumenti tipici dei Seventy: una ventina di spillette - spiegano le agenzie - in stile hippy con le scritte "Peace no drugs", "Music no drugs", "No drugs, be free" e, last but not least (scusate, sono stata presa nel vortice della droga anglofila), "Peace & Love, no drugs". Perché, come spiega lo stesso paraministro, "E' molto meglio l'amore della droga". Emmecojoni!
Dunque Giovanardi chiarisce di voler combattere "il flagello" droga "a livello planetario" (non so perché, ma mi ricorda qualcuno che fra i punti del suo programma di governo aveva inserito anche la sconfitta definitiva del cancro) e che "Tutte le volte che qualcuno compra cannabis ingrassa la mafia, la camorra e soffoca la nostra economia". Se ne deduce che il governo Berlusconi compra quotidianamente quintalate di cannabis.
Quello che invece il sottosegretario non specifica è se, per combattere la droga, va bene qualunque tipo di amore. Mi spiego meglio: col preservativo o senza? Omo o etero? Benedetto da santa romana chiesa o more uxorio?
Vabbè, ci vediamo a Woodstock. Qualcuno può dare un passaggio a Giovanardi?

Premiata ditta B&N

Quanti altri danni dovrà fare prima di liberare l'Italia della sua presenza?
Facciamo un elenco sommario e incompleto, senza pretesa di scientificità ed esattezza cronologica:

luglio 2008: lodo Alfano
luglio 2009: pacchetto sicurezza
ottobre 2009: scudo fiscale
marzo 2010: decreto salva-liste
aprile 2010: legittimo impedimento
dicembre 2010: legge di riforma dell'università
settembre 2011: manovra finanziaria lacrime e sangue
............
novembre 2011: nomina di Mario Monti a senatore a vita, quale preludio all'assegnazione dell'incarico come capo di un governo tecnico fatto da banchieri, massoni e padroni che si vogliono inculare i lavoratori.

Ah, pensavate che parlassi di quello che ha ridotto l'Italia a un Paese di merda? No, parlavo di quell'altro: quello che glielo ha permesso.

mercoledì 9 novembre 2011

La supposta di Malgieri

Scusate, ma c'è qualcosa che non quadra. Mi riferisco al signor 309, altrimenti noto come Gennaro Malgieri, parlamentare del Pdl, presunto fedelissimo di Berlusconi, che però ieri al momento del voto in Aula sul rendiconto generale dello Stato non si è presentato, facendo fermare a 308 il numero dei deputati ancora "fedeli" al premier e rientrando in automatico fra gli otto che lo stesso capo del governo ha definito "traditori" e che avrebbe voluto incenerire con lo sguardo.
Sarà per quello sguardo carico di odio, che il venditore di aspirapolvere normalmente riserva ai "comunisti" (rientrando nella categoria - com'è noto - magistrati, giornalisti che fanno il loro lavoro, preti antimafia e prestigiosi giornali economici internazionali), ma l'ex fascista Malgieri si dev'essere talmente fatto sotto da sentire il bisogno, appena rientrato in Aula, di chiedere la parola al presidente della Camera per scusarsi.
Io l'ho sentito solo stamattina a Radio Capital e vi assicuro che il signor 309 passerà alla storia per essere un bavoso, un ometto patetico e senza spina dorsale, uno di quelli che ancora alla loro età non hanno superato la sindrome dello studente impreparato e s'inventano scuse ridicole e irritanti. Non c'ero, ma se ci fossi stato - ha precisato in sintesi, scusandosi per l'assenza, nella speranza di stemperare l'ira del suo signore e padrone - avrei votato a favore. Immediatamente qualcuno ha ironizzato: era a pisciare. E siccome - essendo nato nel 1953 e avendo quindi cinquantotto anni (portati male) - l'età è quella, ci sta pure che la sua prostata ingrossata non gli dia tregua. Il fatto è che - subito dopo le scuse in Aula - Malgieri si è affrettato a rilasciare una dichiarazione all'Ansa ripresa oggi da diversi quotidiani in cui precisava che "non c'è alcun retroscena" e aggiungeva: "Stavo rientrando in Aula dopo aver preso una medicina. In 15 anni di vita parlamentare non era mai accaduto che arrivassi in ritardo".
Scusi, onorevole, ma che medicina era che non potesse essere presa anche in Aula? Se era una pillola e se il momento - come lei stesso l'ha definito - era "cruciale", anche ammesso che fosse di quelle che si prendono ad orario preciso (ma tutti sappiamo bene che se anticipi o ritardi dieci minuti nel prenderla non muori sicuro), non poteva mandarla giù anche senz'acqua restando al suo posto? O era uno di quei pilloloni che ci devi bere mezzo litro d'acqua per ingoiarlo e - chissà come - si è messo di traverso e non c'era verso? E se non era una pillola, ci sono solo altre due possibilità: o doveva fare un'iniezione (ma pure in questo caso, non è che ci scappa il morto se non si spacca il minuto) oppure si stava mettendo una supposta.
In questo caso, non possiamo che ringraziare l'onorevole Malgieri, perché per una volta ce la siamo evitata noi la supposta. Per quanto, non sono del tutto certa che il giochetto di Berlusconi di rimandare le sue dimissioni a dopo l'approvazione della legge di stabilità non nasconda l'ennesimo suppostone collettivo.

martedì 8 novembre 2011

Legalità formale e illegalità sostanziale


Alcune settimane fa a Catania ho visto una famigliola tradizionale - padre, madre e due bambini - su uno scooter: rigorosamente senza casco, i quattro passavano sotto il naso poco vigile di un vigile che si guardava bene dal far notare loro che stavano commettendo un grappolo di infrazioni. E in realtà è una scena che si ripete quotidianamente a Catania quella degli scooteristi farciti di bambini e dei vigili romantici che - quando ci sono - guardano le stelle.
Qualche giorno dopo, sempre a Catania, ho visto un ragazzo e una ragazza sfrecciare allegramente con la loro Vespa senza arrestarsi per far passare i pedoni sulle strisce pedonali: con loro c'era anche il cane e nessuno dei tre, naturalmente, aveva il casco né si vedeva un vigile urbano nel raggio di un chilometro.
Ieri - ancora a Catania - percorrevo a piedi, con il carrellino della spesa, il tratto (un trattino tipografico, più che altro, date le dimensioni) di pista ciclabile e pedonale che collega piazza Spirito Santo a via Paternò. Arrivata alla fine, la scivola era bloccata da due auto in sosta che lasciavano appena lo spazio per il passaggio di un bambino di circa nove anni che non si nutra da MacDonald. E per fortuna le mie misure sono più o meno quelle: mi sono messa un po' in obliquo, ho sollevato il carrellino e, alla meno peggio, sono riuscita a passare. Dopo di che mi sono messa à la recherche du flic perdu. Ricerca assolutamente vana.
Tutti i giorni, costretta a scendere dal marciapiede per una ragione qualunque - il più delle volte perché sul marciapiede c'è un'auto posteggiata oppure perché ho fretta e non posso reggere il ritmo da "vara di Sant'Aita", cioè ondulatorio e sussultorio ma con calma e sur place, connaturato nei miei fancazzisti concittadini - mi ritrovo a camminare esattamente al centro della carreggiata, sentendomi come il protagonista di un videogioco che deve attraversare l'autostrada senza ridursi a un sammarzano maturo, perché ci sono almeno tre file di vetture parcheggiate e questo spesso sotto l'occhio amorevole dei rarissimi vigili e dei cosiddetti ausiliari del traffico.
Dopo di che, mi imbatto nella risposta sul giornale locale data dall'assessore comunale alla Polizia municipale, Massimo Pesce, alla lettera di un lettore che segnalava proprio il fenomeno dei genitori che vanno in moto senza casco e non si curano di metterlo ai loro figli piccoli. Secondo una linea condivisa con il suo sindaco visionario, che continua a parlare di una città perfetta che vede solo lui, anche Pesce parla d'altro. E svia il discorso svolgendo un temino preconfezionato in cui riferisce il dato nazionale di incidenti stradali, dettagliato per morti e feriti, scende nel particolare chiarendo quanti sono stati a Catania, fa una lezioncina sulla "assoluta necessità di coltivare ed incentivare la cultura della sicurezza e della legalità" e sull'educazione "all'uso di questo importante strumento di protezione personale" (il casco), racconta di "numerose" pattuglie di Polizia municipale (che ha visto solo lui), distingue fra repressione e prevenzione e, quanto a quest'ultima, si profonde in una mezza paginetta da depliant elettorale e, come Svicolone, svicola tutto a mancina favoleggiando di "interventi formativi" nelle scuole e in particolare del progetto "A scuola col casco", "rivolto agli studenti dai 13 ai 17 anni con il quale si costituirà presso l'Assessorato alla P.M. un Osservatorio per l'educazione stradale e la sicurezza e si svolgeranno nelle scuole dei corsi mirati alla informazione e alla trasmissione delle regole". Ora, a parte che l'assessore - come si può notare facilmente - usa il tempo futuro, tipico delle campagne elettorali, forse sarebbe il caso di fargli notare che è andato fuori tema perché va bene educare gli adolescenti all'uso del casco, ma il lettore poneva un'altra questione: cioè quella dei bambini vittime dei loro genitori arroganti e impuniti (e, in quanto tali, realisticamente elettori di destra) e dei vigili "impunenti" e, anzi, direi proprio strafottenti.
Per finire, stamattina ho fotografato un tombino. Direte: e che c'entra? C'entra. Perché Catania è piena di tombini che non si puliscono da tanto di quel tempo da essere cementati e molti lo sono perché le varie autofficine disseminate nel centro della città non trovano di meglio che scaricare olii proprio nei tombini. Con il risultato che questo impasto di acqua, olio, polvere, sporcizia di ogni tipo e cenere vulcanica li rende assolutamente impermeabili alla pioggia. Ovviamente nessuno si prende la briga di spiegare ai meccanici che quello che fanno è illegale e nessuno si cura di fargli capire che c'è un nesso fra quei tombini cementati e il fatto che loro sono costretti a chiudere e quindi a non guadagnare quando la strada diventa un fiume e le loro officine si allagano. Per non parlare del fatto che ci vuole niente che finisca come a Genova o come al Villaggio Santa Maria Goretti.
Però il quarto di sindaco, Raffaele Stancanelli, nella sua surreale campagna elettorale - dal comizio davanti al consiglio comunale convocato per comunicare che non si dimetteva da primo cittadino, perché non ha ancora completato la devastazione di Catania e lui quando intraprende un compito vuole portarlo fino in fondo (al baratro), ai continui proclami attraverso i fogli di regime o il suo autarchico blog - non fa che ripetere quasi ossessivamente il racconto delle sue presunte azioni contro l'illegalità.
Non so com'è, ma se penso al sindaco Stancanelli imputato coatto dell'inchiesta sulla cricca dei Servizi sociali; se penso all'ex assessore regionale alle Politiche sociali Stancanelli indagato per abuso d'ufficio per nomine irregolari in commissioni aggiudicatrici di gare d'appalto; se penso al primo cittadino di Catania Stancanelli coinvolto con tutta la sua giunta nell'inchiesta per falso ideologico e abuso d'ufficio per un aumento illegale di ore di lavoro riguardante circa quattrocento dipendenti comunali; se penso all'ex assessore regionale agli Enti locali Stancanelli che non vigilò sull'operato dell'allora sindaco di Catania Scapagnini lasciando che venissero svuotate le casse comunali e raschiato ben oltre il fondo del barile; se penso all'ex cognato ma sempre fedele dipendente di Raffaele Lombardo (il datore di lavoro di molti, che si fa dare voti dai mafiosi ma secondo l'ormai formalmente ex procuratore capo di Catania non va processato per mafia) Stancanelli; se penso al borgomastro Stancanelli che si riempie la bocca di legalità, magari per aver fatto cacciare a pedate qualche immigrato e la sua bancarella di cianfrusaglie, non so com'è ma mi ronza in testa una frase letta nel libro "Globalmafia" di Giuseppe Carlo Marino: "...l'appello enfatico alla legalità formale è spesso uno specchietto per le allodole usato...da regimi intrisi di illegalità sostanziale".

sabato 5 novembre 2011

Consigli per gli acquisti

Il dialogo si svolge più o meno così: lui, affettuoso (e già questo qualche sospetto potrebbe destarlo), le propone di fare una vacanza in montagna; lei, sprezzante e stizzita, gli risponde che con la sua macchina non andrà da nessuna parte e che vuole "un vero fuoristrada".
E' una delle tante pubblicità ascoltate alla radio, che dipingono un mondo inesistente e sicuramente offensivo per i più, come quella bambina smorfiosa, insopportabilmente snob che parla come la rana dalla bocca larga e la cui madre fa la commercialista e la posta la riceve solo sullo smartphone, che somiglia tanto all'odiosissimo G (quello disumanamente ricco) di Giorgio Gaber e ti fa venire tanta voglia di mandarla a cagare. O di spiegarle che la tua di mamma fa la postina precaria e fa chilometri a piedi sotto la pioggia, carica come un somaro, per mettere nella cassetta della posta (quella vera) di migliaia di poveracci quintalate di carta che ti offrono finanziamenti per comprati - impegnandoti le mutande e il loro contenuto per i prossimi tre anni - lo smartphone che sua mamma realisticamente ha avuto in regalo da qualche assistito aiutato ad evadere il fisco.
Poi ci sono le pubblicità televisive sulle automobili, che mostrano una situazione più surreale di quella delle famigliole felici da mulino bianco: un coglione prigioniero della sua stupidità e dei suoi soldi sale in macchina ed ecco il silenzio, le praterie sconfinate, la libertà.
Allora, non so dove vivano certi pubblicitari, ma posso assicurarli che le femmine - la gran parte delle femmine, che infatti rientra nella categoria delle donne - non sono così stronze e che ci sono donne alle quali, per essere felici, basta sdraiarsi sulla spiaggia sotto casa a prendere il sole con il loro uomo e avere un lavoro dignitoso e non gliene frega niente del fuoristrada, del suv e di puttanate del genere. Così come, se sali in macchina, il silenzio le praterie sconfinate e la libertà te li scordi e la realtà invece è l'incubo del traffico e dei clacson che ti perforano il cervello e ti fanno diventare scemo ed è la doppia schiavitù di stare chiuso in una scatola - più o meno grande o più o meno accessoriata, ma pur sempre una scatola; una prigione, a volte di lusso, ma pur sempre una prigione - e di trovarti incatenato con la tua scatola ad altre scatole, senza via di fuga, come i detenuti pericolosi quando vengono portati in tribunale per un'udienza, legati per i piedi e costretti a camminare in fila indiana e il loro passo contrappuntato dallo straziante clangore delle catene.
Ma evidentemente quei pubblicitari vivono in un altro Paese: lo stesso abitato da quel venditore porta a porta (da cui il titolo della celeberrima trasmissione tv condotta dallo zerbino à pois) di aspirapolvere, secondo il quale in Italia la crisi non esiste e i ristoranti sono pieni di gente e ci sarebbe persino la fila per entrare. E quindi, se permettete, un consiglio per gli acquisti per una volta glielo do io, agli uni e all'altro. Compratevi un biglietto aereo di sola andata in business class, il più caro che c'è, e andateci a vivere davvero in quell'altro Paese. Magari a Panama, dove pare che i delinquenti italiani siano graditissimi ospiti. Così noi avremo finalmente il tempo di smaltire le nostre file: che non sono quelle ai ristoranti, ma alle mense della Caritas il cui rapporto 2011 parla di ben otto milioni e trecentomila italiani - cioè poco meno del 14% della popolazione - che vivono in uno stato di povertà. E che vi ci manderebbero volentieri a vivere in quell'altro Paese. Anzi, proprio a quel paese.

Bel tempo al Nord

Stamattina ho provato un certo fastidio e, anzi, mi sono sentita ferita nell'ascoltare alla radio la pubblicità di Sky. Sapete quella che comincia con delle previsioni del tempo che sembrano vere e finisce con una filastrocca? Normalmente non è di quelle offensive, ma oggi quando l'ho ascoltata ho provato dolore. Comincia con un "bel tempo al Nord" e te lo senti come un ceffone in pieno viso, di quelli che fanno tanto più male quanto più non capisci perché ti è stato dato, perché pensi a quello che sta succedendo a Genova e in tutta la Liguria e magari - ragionando con la logica "insana" di chi non vive in funzione del profitto - ti saresti aspettato che per oggi decidessero di non mandarlo in onda quello spot. Pensi a Genova, pensi a Catania - la tua città in mano agli Unni, che già nei giorni scorsi ha provato un assaggio delle conseguenze della malapolitica quando piove -, pensi a un intero Paese, il tuo Paese, saccheggiato e privato delle fondamenta, nei decenni, da palazzinari tangentisti e politici mafiosi che dalla famigerata collina di Pizzo Sella a Palermo alla collina di Acitrezza o alla Timpa di Acireale su su fino al Nord Italia passando per Pompei hanno strappato gli alberi che con le loro radici abbracciavano il terreno e lo proteggevano per costruirci invece strati di soldi: piani su piani di cemento, magari mischiato alla sabbia del mare che costa meno e corrode l'armatura di ferro e che prima o poi crolla lasciando solo morte e devastazione.
No, non è vero come dice la pubblicità "crea il tuo Sky" che le cose te le puoi fare come le vuoi, con il bel tempo al Nord e la filastrocca finale. E' vero invece che quello che sta accadendo in Liguria e che accadrà a Catania e in tutta Italia è il frutto del "combinato disposto" di una corsa sfrenata a un progresso finalizzato solo al profitto - quello dei bisogni indotti, che ti fa credere di avere una necessità assoluta di tenere l'aria condizionata a palla già ad aprile immettendo nell'atmosfera una quantità ingestibile di porcherie a causa delle quali il clima è cambiato e ogni giorno ci coglie di sorpresa - e della mancanza di morale di tutti quei piccoli uomini da quattro soldi, assessori all'urbanistica e ai lavori pubblici o capi di uffici tecnici comunali, che nell'ultimo cinquantennio hanno firmato concessioni edilizie e condoni in cambio di qualche mazzetta; e della mancanza di morale dei tanti parvenus che si sono arricchiti con gli imbrogli e frodando il fisco e che a tutti i costi hanno voluto costruirsi il villone proprio lì, sulla collina vista mare. Mancanza di morale e mancanza di intelligenza, perché prima o poi sotto quel diluvio di detriti - come è già successo - ci finiranno loro stessi o i loro figli e i loro nipoti. E io, quando una pubblicità annuncerà bel tempo proprio mentre loro vengono travolti dalle rapide, non proverò alcun dolore e nessuna pietà.