mercoledì 1 ottobre 2014

Lamette


Molti anni fa scrissi il classico romanzetto d'esordio - due terzi di autobiografia e un terzo di invenzione, violentemente shakerati nell'inutile tentativo di depistare quanti si sarebbero dedicati allo sport voyeristico dell'individuare i personaggi -: di quelli che si scrivono quando si ha bisogno di curare qualche malattia interiore.
Romanzetto che sarebbe rimasto nient'altro che il diario di un essere semplicemente complicato se io non avessi tentato di ingraziarmi protagonisti e lettori. Insomma, ho scritto quello che gli altri volevano sentirsi dire e che il comune sentire vuole sentire: ho espresso amore per una casa di cui odio l'impianto ideologico; ho riconosciuto saggezza a una persona che disprezzo; non ho sputtanato come avrebbe meritato un padre di merda; mi sono etichettata calcolatrice, su suggerimento di una scrittrice vera, perché sembra che una buona dose di cinismo non guasti e se sei stronza vendi di più.
Quindi il diario - in quanto tale autoconfessione e autocoscienza, e in quanto tale sincero - è andato a farsi fottere e il romanzetto è rimasto un animale ibrido con tutti i presupposti per essere sterile. Confesso che ogni volta che ci ripenso m'incazzo: magari nessun editore avrebbe pubblicato un diario che era soltanto tale, ma forse lo avrei preferito al non essere io.
Poi mi sono imbattuta in un libro di Michela Marzano, filosofa, parlamentare Pd (e questo è già un problema), quarantenne renziana (e questo è un grosso problema): "Il diritto di essere io", s'intitola ed è una raccolta di saggi prevalentemente sulle questioni di genere, pubblicati in precedenza su Repubblica. Tesine da liceali o da laurea triennale, in realtà: ben scritte, ma niente di più, sul piano dei contenuti, di quanto io e le altre (intendo le mie coetanee e coeve) non avessimo già appurato da anni con metodo empirico e cioè sulla nostra pelle.
Insomma, sono stata attratta dal titolo - perché è esattamente quello che rivendico da quel romanzetto in poi, quando scrivo qualcosa -, ma man mano che leggevo mi sono resa conto che non mi diceva niente di nuovo. Beh, però - ho pensato - forse potrà essere utile (ammesso che leggano) per le ventenni. Forse persino per le trentenni e le quarantenni berlusconianrenziane, convinte che per fare politica non servano le idee ma avere la figa ed essere delle strafighe da défilé di moda.
Poi ho capito che era una causa persa quando ho visto la Boschi a Ballarò, che ride quando parla di disoccupati e dell'Italia dice che è un Paese "molto bello", come una turista americana di passaggio. Very nice. E allora rivendico il diritto di essere io e di definire oca una che considero niente di più che un'oca; mentre come testo di riferimento più che la Marzano mi viene in mente Donatella Rettore: dammi una lametta che ti taglio le vene.

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