giovedì 27 dicembre 2012

Il femminicidio e le elezioni

Ai governi dei Paesi occidentali che guardano con disprezzo tutto ciò che sta ad est del loro mondo cosiddetto civilizzato dovrebbe fare un qualche effetto - non so: un senso di colpa, una riflessione, un ripensamento, ma sono certa che non accadrà - sapere che in India l'esecutivo ha deciso di trasferire a proprie spese in un ospedale di Singapore, nella speranza che possa guarire (almeno nel fisico) una ragazza ridotta in fin di vita dopo uno stupro di gruppo. Checché ne possa pensare un prete di merda, non se l'era cercata: stava tornando in autobus insieme al fidanzato dopo essere stati al cinema. Ma se un prete di merda può dire certe cose è perché vive in un Paese che per puro calcolo elettoralistico non è disposto a rischiare una crisi diplomatica chiedendo l'arresto di uno psicopatico che istiga alla violenza e al femminicidio (se non sbaglio, il nostro codice penale prevede fino a cinque anni di reclusione per l'istigazione a delinquere). Non ho sentito una sola parola, una sola rimostranza nei confronti di quello Stato che con i suoi pacchetti di voti occupa abusivamente il nostro territorio politico (e che si è limitato a far mettere in ferie per qualche giorno il nazista travestito da parroco) da parte di governanti che hanno solcato i mari pur di far liberare - e poi ricevere con tutti gli onori - due mercenari assassini. Come del resto nell'agendina di fine anno preparata dai banchieri come ennesimo pacco per gli italiani non si trova una sola parola sul femminicidio e la violenza contro le donne in quella mezza paginetta in stile temino scopiazzato delle medie dedicata al genere femminile. In compenso si ribadisce il ruolo della donna come madre e della famiglia (la stessa, immagino, all'interno della quale il più delle volte avvengono i femminicidi) come "cuore pulsante" della società italiana. I colonizzatori d'Oltretevere sapranno come ringraziare.

mercoledì 26 dicembre 2012

Camerati d'Italia

Vediamo di fare il punto al momento, anche se sono certa che lo zoo si amplierà. Dunque, c'è Shrek che è solito fare la doccia nel fango e quindi non ha difficoltà a farla in qualcosa di consistenza simile; c'è Giorgetta la streghetta detta anche la ministronza della Garbatella; ci sono i "bravi" appena rientrati da una missione all'estero e ricevuti con tutti gli onori dall'Innominato (per la cui conversione i tempi sono già scaduti, a meno di non voler cambiare il finale e sperare che il film finisca come sarebbe finito un giorno prima dell'arrivo del cardinal Borromeo); c'è Cerbero, sindaco della novecentesima città d'Italia (una volta era la nona, ma è precipitata a testa in giù nell'Ade) che sbava e latra con occhi iniettati di sangue contro chiunque osi fargli domande o criticare il suo operato; e poi, anzi prima, c'è il fondatore - Caron dimonio con occhi di bragia - che colleziona soldatini e usa oggi i missili come da ragazzo usava spranghe e manganelli. Non pervenuta, fino ad ora, la ragioniera leggiadra come un lottatore di sumo: quella con la paresi al braccio destro, per intenderci. Ma siamo fiduciosi. Ora il problema però è un altro: il nome della nuova formazione politica che esce dalla porta del Pdl e rientra dalla finestra del Pdl. Caronte ('gnazio) l'ha chiamata Fratelli d'Italia. A parte che ho qualche difficoltà a trovare analogie fra gli eroi risorgimentali e i picchiatori fascisti, mi chiedo: Mameli è stato informato? Non Goffredo, evidentemente, del quale comunque penso si rigirerebbe come una cotoletta dentro il catafalco, ma Nino che sarebbe una specie di pronipote e al quale ritengo dovrebbero andare i diritti. E la Siae è stata informata? E noi italiani siamo stati informati? Non è che ora ogni volta che cantiamo l'inno nazionale ci finisce com'è finita a quelli che credevano di cantare l'inno della nazionale? Primo: siccome sono italiana Fratelli d'Italia è pure mio (anche se come inno preferisco Bella ciao) e quindi mi dovevate chiedere il permesso; secondo: non intendo essere arruolata in questo esercito, anche perché la guerra non mi piace. Ma non era meglio chiamarli Camerati d'Italia?

venerdì 14 dicembre 2012

Bellissima

Di solito a pranzo guardo il Tg de La7 (che a quell'ora considero non il migliore, ma il meno peggio) e mi capita di incrementare le entrate dei gastroenterologi ascoltando nella pausa pubblicitaria il promo della trasmissione che viene dopo: una specie di rotocalco da parrucchiere di periferia la cui conduttrice per presentare le sue ospiti abusa di aggettivi superlativi e ripropone stereotipi maschili definendole bellissime. Cioè, se ospita un'attrice che reputa molto brava di lei dice che è "bellissima e bravissima": bellissima lo mette prima e c'è sempre. Immagino che, se fosse ancora viva Anna Magnani (lei sì, attrice eccelsa), non la inviterebbe per l'impossibilità di definirla bellissima. Oggi ho pranzato un po' più tardi e mi è toccato di vedere i primi dieci minuti di questo programma in cui le donne usano le categorie degli uomini e ho scoperto che era peggio di quanto pensassi. Il tema della giornata era infatti "allucinantissimo": cioè se le donne debbano subire nel matrimonio per assicurare "l'armonia" in famiglia. Ma non era una domanda. In studio una sedicente scrittrice chiamata a presentare il suo libro sosteneva che nella sua logica cattolica (che infatti, per sua stessa ammissione, non contempla nell'analisi i termini compagno e convivenza ma riconosce diritto di cittadinanza solo a marito e matrimonio) nel matrimonio la donna deve subire. Amen. Da lì una serie infinita di cazzate sfornate da donne presunte emancipate - peraltro un bestiario di gente dai capelli impappagallati e gote fardatissime (come si diceva una volta dalle mie parti, "pari na pupa i tammuru") -, tutte contente di sub-ire. Per un attimo ho pensato di essere salita sulla macchina del tempo e di avere fatto un balzo all'indietro di almeno una cinquantina d'anni. Ma a un certo punto la conduttrice - con aria molto soddisfatta - ha detto che certamente le loro affermazioni avrebbero scatenato l'indignazione delle femministe e ha precisato con disprezzo: delle veterofemministe (ma forse voleva dire femministissime). No, non avevo sbagliato epoca: siamo proprio nell'èra del berlusconismo e delle conduttrici televisive berlusconissime. Che è l'aggettivo superlativo sintesi di tutti gli aggettivi squalificativi superlativi che mi possano venire in mente.

giovedì 13 dicembre 2012

Software di tutto il mondo, unitevi!

I pendolari mi perdoneranno (e, anzi, a loro va tutta la mia solidarietà per quello che devono subire per raggiungere il posto di lavoro a centinaia di chilometri da casa - carrozze sporche, porte che non si aprono, celle frigorifere d'inverno, forni crematori d'estate - e poi quando l'hanno raggiunto, in ritardo non per colpa loro, sul posto di lavoro da parte del solito padrone che non vuol sentire ragioni), ma quando sento una notizia così mi viene da ridere. E penso a Caterina. La notizia è che da qualche giorno alla stazione di Milano e in tutte le altre della Lombardia è successo un casino perché a un certo punto il computer si è rotto i coglioni e ha cominciato a dare i numeri. In "Io e Caterina" il robot vestito da colf si femminizza al punto da innamorarsi del suo padrone (che l'aveva presa proprio per non aver a che fare con una "bonne" in carne, ossa, contributi, tredicesime, malattie e figli piccoli; mentre donne a casa portava solo quelle che gli servivano per scopare, non per spazzare) e arriva a dare di matto per la gelosia fino a spaccare tutto. Nelle stazioni lombarde, invece, il nuovo software informatico acquistato (e pagato più di un milione di euro) per elaborare i turni dei macchinisti e sostituire l'essere umano che li faceva manualmente (del quale ho come il vago sospetto che non sia stato reimpiegato altrove, ma rimandato gentilmente a casa per sempre a calci in culo, come si usa fare sempre più di frequente in questo Paese) si è umanizzato al punto e si è incartato tanto, che alcuni treni sono rimasti senza macchinista mentre ad altri ne aveva destinati ben cinque in un colpo solo. Ora, a parte la considerazione che in tutte le altre parti d'Europa questo sistema funziona perfettamente e qui è in mano alla Trenord il cui ormai ex amministratore delegato, tal Giuseppe Biesuz, amico di Formigoni, è finito al gabbio per bancarotta fraudolenta, se non fosse che c'è da ritenere che la società sia stata amministrata come fanno i napoletani da film - quelli che ti vendono gli orologi di marca senza il meccanismo interno -, mi piacerebbe pensare che il software abbia voluto vendicare tutti i lavoratori che sono stati licenziati nel nome del progresso e della tecnologia. I lavoratori sono ricattabili, "mobbizzabili", licenziabili, il sistema informatico no e se ne frega; gli girano le balle a manda tutti affanculo: software di tutto il mondo, unitevi!

lunedì 10 dicembre 2012

Gli analfabeti, il web, B e il maestro Manzi

Qualche giorno fa, imbattendomi in una delle ormai quotidiane notizie su un femminicidio, sono stata colpita da un dettaglio: l'assassino, poco più che quarantenne, era analfabeta. No, tranquillizzatevi, non gli sto cercando un alibi: ho visto con i miei occhi fior di sedicenti intellettuali (per di più, di quelli che sostengono di amare il prossimo) accanirsi sulle loro compagne con tutta la violenza di cui erano capaci, a dimostrazione che non è solo un problema di istruzione, ma di Cultura, che è un'altra cosa. La storia mi ha colpita per due ragioni. La prima è che quest'uomo, quarantatreenne, è nato sette anni dopo la prima vera legge sull'obbligo scolastico che abbia avuto efficacia "erga omnes" dopo quasi un secolo di tentativi. Evidentemente era erga quasi omnes. Perché delle due l'una: o quest'uomo ha vissuto nella giungla fin dalla nascita oppure (ed è questa realisticamente la risposta) ha vissuto in quella giungla delle campagne dell'entroterra siciliano dove ancora i bambini - mentre i nostri bimbi cittadini e presunti civilizzati diventano scemi con i videogiochi - non vengono mandati a scuola, considerata una perdita di tempo, ma fin da piccoli si occupano di far pascolare gli animali e di arare il terreno. E non stiamo nemmeno parlando della storica "contraddizione città-campagna", in realtà, perché basta andare in un quartiere popolare del centro di Catania, per esempio, per accorgersi che anche qui i bambini e i ragazzini la mattina sono in officina, sono alla cassa del negozio o lavorano "na muratura", messi a impastare qualcosa dentro una caldarella che poi si metteranno in spalla camminando curvi come Anchise. L'altra riguarda il gran parlare che si fa dell'importanza del web. Direte: che c'entra? C'entra. C'entra, perché noi "sinistri" e presunti colti, noi che sappiamo fare le analisi politiche, noi che sappiamo leggere fra le righe e che siamo diventati drogati dei social network (certamente fondamentali per parlare fra di noi e per tenerci informati), ebbene noi non riusciamo ad andare oltre il perimetro snob di Facebook, di twitter e di tutte le altre diavolerie e non siamo più capaci di parlare con la gente in carne ed ossa. Anzi, abbiamo costruito un muro fra "noi" e "loro". Ma cosa volete che gliene importi dei nostri discorsi e cosa pensate che possano ricavarne dal nostro aver capito tutto, se poi di quel "tutto" non ne condividiamo nemmeno una parte con loro? E così, mentre noi ci facciamo le pippe sul pianeta web, loro - gli analfabeti di cui sopra, che siano campagnardi o cittadini, che vadano a scuola oppure no - rientrano a casa da un lavoro massacrante e frustrante e non trovano niente di meglio che stordirsi con la tv berlusconiana che gronda tette, culi, istinti bestiali, violenze e insulti continui al corpo delle donne. E ora che torna, vedrete, sarà sempre peggio e questo Paese vergognosamente in fondo alla classifica dei Paesi civilizzati sull'alfabetizzazione - e i cui governi, tecnici o pornografici che siano, tagliano i fondi alla scuola - precipiterà ancora più in basso. Mentre io darò sempre più segni di vecchiaia rimpiangendo il maestro Manzi, gli sceneggiati televisivi dei grandi classici della letteratura e le sezioni di partito a pian terreno nei quartieri popolari.

domenica 9 dicembre 2012

Una tanica piena di querele

La mafia - nel senso più lato del termine, quello dell'arroganza - non spara più (almeno, in alcuni casi). Ha inaugurato una nuova moda: querela o licenzia. Oppure querela e licenzia, se il mafioso è anche il padrone. Praticamente funziona come con le estorsioni: ti mettono una tanica piena di querele davanti alla saracinesca della tua vita e la lasciano lì; poi aspettano qualche giorno e se non ti pieghi arriva anche il fiammifero che incendia il tuo contratto di lavoro. E se il mafioso coincide con il padrone, può darsi che al posto della querela o fra la querela e il licenziamento ci metta il mobbing. E' un modo come un altro per uccidere: magari - siccome sei una persona per bene - tutto quello che hai è il tuo stipendio o, al massimo, la casa dove abiti. Loro ti chiedono una cifra che ne vale il doppio: serve a toglierti il sonno, a farti "ragionare", a renderti malleabile, a estorcere la tua sudditanza. Alcuni di noi sono stati querelati o mobbizzati o licenziati da un paramafioso o dai suoi sgherri che avrebbe voluto impedirci di pensare; ad Antonio Ingroia è toccato - come dire? - un trattamento di lusso con tiro incrociato. Prima il suo datore di lavoro (e ritorna in mente la cantilena a un tempo sarcastica - nel più etimologico dei significati - e struggente di Rosaria Schifani: lo Stato, lo Stato...), attraverso alcuni dei suoi uomini, lo ha mobbizzato e costretto ad andarsene; poi sono arrivati quelli col cerino e gli hanno fatto la "querela collettiva", offesi perché lui aveva detto quello che emerge in maniera inequivocabile dalle indagini giudiziarie. Come se io decidessi di querelare qualcuno che, incontrandomi d'estate (quando si moltiplicano a dismisura), mi dice che ho la faccia piena di lentiggini. Ma c'è una differenza: quelli di noi che sono stati querelati, licenziati, mobbizzati, spesso hanno vissuto questa condizione in solitudine e in silenzio, perché prima ci avevano privati del benché minimo potere contrattuale. Antonio Ingroia ce l'ha il potere contrattuale perché è ed ha tutti noi: loro gli hanno fatto una querela collettiva e noi abbiamo risposto con migliaia di firme a suo sostegno, migliaia di nomi e cognomi, migliaia di facce. Perché noi, a differenza degli sgherri, ci mettiamo la faccia quando facciamo le cose.

lunedì 3 dicembre 2012

Vuoi lavorare? Fatti un ritocchino

Siccome al peggio non c'è fine e siccome evidentemente non bastava il femminicidio declinato in tutte le sue forme - dal privare le donne della vita fisica per mano di maschi inutili e frustrati, al violentarle, al cancellarle dalla vita lavorativa non solo incrementando la disoccupazione ma, per esempio, eliminando gli asili nido - a mollare l'ennesimo ceffone alle donne ci pensa un'azienda italiana di chirurgia estetica. Che, naturalmente, essendo italiana/dunque/provinciale/dunque/anglofona e volendo fingere di non puntare esclusivamente al profitto, si definisce "organizzazione di cosmetic surgery". Come se fosse un'ong. Ebbene, questo esempio di femminismo, di emancipazione femminile, di rispetto per il corpo (e per il viso) delle donne, ci viene a spiegare oggi che bisogna "sfatare il mito della bella e sciocca" e soprattutto sdoganare a fini occupazionali il cosiddetto "ritocchino". In pratica - fingendo di fare una cosa seria attraverso l'ennesima diffusione dei dati Istat sulla disoccupazione femminile, su quante donne più laureate degli uomini, sul dettaglio di quante donne in ogni Paese europeo più laureate degli uomini e bla, bla, bla - questi hanno avviato una selezione (ovviamente lo chiamano casting) per donne in cerca di lavoro alle quali si offre di fare uno stage (dicono "stage", perché sono convinti che sia inglese e infatti lo pronunciano steig). Requisiti? Devono avere - bontà loro, ma una ragione c'è in quest'innalzamento vertiginoso della soglia anagrafica rispetto alle consuete offerte di lavoro - fra i 25 e i 45 anni e soprattutto essersi fatto mettere qualche pezzo di ricambio o, meglio, "essere incuriosite da un incontro con un chirurgo". Il "bando" - se così si può chiamare - spiega che "per trovare un'opportunità di formazione e, perché no, un possibile sbocco lavorativo, le aspiranti miss devono inserire una propria foto e il curriculum nell'apposito form sul sito" e che alla selezione possono partecipare "neolaureate o lavoratrici, con alle spalle un curriculum di alto profilo, che si siano sottoposte a un 'ritocchino' estetico o siano incuriosite da un incontro con un chirurgo". Insomma, per lavorare devi mandare la foto come se dovessi fare la velina e se sei cozza il tuo "curriculum di alto profilo" lo puoi usare come Bossi userebbe la bandiera italiana. Dopo di che, un po' guardone e un po' Grillo, ti informa che "le partecipanti verranno poi selezionate da una giuria qualificata e verranno votate dai navigatori del web". Che magari, in maniera del tutto disinteressata, ti consiglieranno di aumentare le tue possibilità occupazionali affidandoti alle sapienti mani e ai costosi bisturi della suddetta "organizzazione di cosmetic surgery". E siccome, oltre che al peggio, anche al cretinismo non c'è fine, non poteva mancare la metafora calcistica: "Bellezza batte disoccupazione 1 a 0".