venerdì 31 dicembre 2010

I giovani Pd e il pifferaio magico

Dando per assodato che un giovane impegnato in politica – a meno che non sia malato o ridotto da qualcuno in schiavitù o in condizioni di non intendere e non volere – lo faccia per passione disinteressata e non per calcolo opportunistico, a volte mi capita di provare a calarmi nei panni di quei ragazzi che – nati comunisti – si siano ritrovati nel Pd siciliano inseguendo una chimera che in realtà era un fuoco fatuo.
Tento di capire come possano essersi sentiti dopo che – ammaliati dal pifferaio magico dell’antimafia – si sono ritrovati a far parte e a difendere con le unghie e con i denti un governo mafioso.
Riporto la trama della fiaba tedesca, secondo Wikipedia: “La storia si svolge nel 1284 ad Hamelin, in Bassa Sassonia. In quell'anno la città viene invasa dai ratti. Un uomo con un piffero si presenta in città e promette di disinfestarla; il borgomastro acconsente promettendo un adeguato pagamento. Non appena il Pifferaio inizia a suonare, i ratti restano incantati dalla sua musica e si mettono a seguirlo, lasciandosi condurre fino alle acque del fiume Weser, dove muoiono annegati. La gente di Hamelin, ormai liberata dai ratti, decide incautamente di non pagare il Pifferaio. Questi, per vendetta, riprende a suonare mentre gli adulti sono in chiesa, questa volta attirando dietro di sé tutti i bambini della città. Centotrenta bambini lo seguono in campagna, e vengono rinchiusi dal Pifferaio in una caverna. Nella maggior parte delle versioni, non sopravvive nessun bambino, oppure se ne salva uno solo che, zoppo, non era riuscito a tenere il passo dei suoi compagni. Varianti più recenti della fiaba introducono un lieto fine in cui un bambino di Hamelin, sfuggito al rapimento da parte del Pifferaio, riesce a liberare i propri compagni”.
La prima volta che ho cercato di immaginare i pensieri di quei ragazzi è stato, appunto, quando il pifferaio e il suo fedelissimo onnipresente piffero li hanno trascinati come topi verso l’abbraccio mortale con il governo Lombardo spacciandolo per il migliore dei mondi possibile.
Come si sono sentiti? Hanno provato un po’ di vergogna? Gli è balenata per un attimo l’idea di un ripensamento? Hanno abbassato gli occhi ritrovando in fondo a un armadio la loro vecchia maglietta con l’immagine del Che?
Da quella prima volta, però, sono state sempre più numerose le volte che mi sono ritrovata a pensare a loro con un misto di rabbia e compassione. Perché ce n’è una al giorno.
C’è Mirello Crisafulli in quel partito, indagato per mafia, che se ora fa l’antiLombardo non è certamente perché si è pentito ma più probabilmente perché avrebbe voluto tenere tutta per sé e non condividerla con lo sgovernatore la sua liaison dangereuse con l’avvocato Raffaele Bevilacqua, capo di Cosa nostra nell’ennese.
C’è la Cgil, più o meno “cinghia di trasmissione” delle clientele del Pd, che – giusto per fare un esempio – non aderisce allo sciopero della Formazione professionale, brodo di coltura di clienti e voti quasi al pari della Sanità, indetto dagli altri sindacati. Sindacati gialli, sia chiaro, che certamente non lo avevano proclamato per difendere i lavoratori (che dovrebbe essere poi la ragione sociale di ogni sindacato) ma forse per lanciare qualche messaggio trasversale.
C’è il segretario regionale, Giuseppe Lupo, che viene dall’Opus dei e già questo basta e avanza.
C’è Piero Fassino, candidato a sindaco della Fiat, che si schiera con Marchionne.
C’è Massimo D’Alema, candidato a presidente interplanetario dei pupari, che si schiera con Marchionne.
C’è Pierluigi Bersani, candidato (anzi, già eletto) a zerbino di D’Alema, che si schiera con Marchionne.
C’è Pietro Ichino, l’ingiuslavorista candidato al nobel per il trasformismo, che si schiera con Marchionne e manda affanculo la Fiom di cui è stato persino dirigente.
C’è Walter Veltroni (lo so, parlare di lui è come sparare sulla Croce rossa), candidato passeggero dell’Airbotswana – il cui aereo però, ahinoi, non decolla mai -, che candida Calearo e figurati se non si schiera con Marchionne.
C’è Anna Finocchiaro, candidata alla presidenza della Repubblica (così evita la fatica di sottoporsi al giudizio degli elettori di cui non le è mai importato granché), che al momento non sembra essersi pronunciata su Mirafiori e Pomigliano (io, almeno, non ho trovato nessuna sua dichiarazione) ma del cui trasporto verso gli imprenditori nessuno dubita. Uno ce l’ha persino in casa, tipico esempio di riconversione industriale, da medico che era...
Ragazzi, davvero, non vorrei essere nei vostri panni, perché il mio specchio sarebbe pieno di sputi. Spero per voi, con tutto il cuore, che almeno uno riesca a sgattaiolare e a salvare i propri compagni. Altrimenti farete la fine dei topi.

giovedì 30 dicembre 2010

Incontri

Quando perdi irrimediabilmente qualcuno, ti capita di cercarlo nei volti o nell’andatura di persone vagamente somiglianti e inconsapevoli di essere scrutate: nel tentativo di trovare in loro un tratto somatico carico di affetto. Io ne ho perdute due nelle stesse ore, circa nove mesi fa, e da allora non ho smesso di vedere dei sosia ad ogni angolo di strada, consapevole che si trattasse soltanto di un mio bisogno di rinfocolare un ricordo. Anche se certe persone ce le hai marchiate a fuoco nel cuore e nella mente e incontrare qualcuno che gli somigli alla lontana serve solo a ricordarti che te le ricordi in ogni istante della tua vita - ad ogni passo che fai, mentre mangi, mentre piangi o mentre ridi e persino mentre dormi -, e a rendere immortale il dolore, in maniera inconsapevolmente volontaria.
Zina è una delle due persone che ultimamente incontro dappertutto. Di solito so bene che un profilo o un taglio di capelli simili sono, appunto, soltanto simili e incarnano il desiderio di vederla ancora. Qualche sera fa, però, mi veniva incontro una signora che le somigliava più delle altre e, man mano che si avvicinava a me, le somigliava sempre di più. Lacerata, il mio brandello razionale mi spiegava che era impossibile che fosse lei mentre l’altro le gridava: “Ehi, non mi riconosci? Perché non mi avvolgi in uno dei tuoi sorrisi contagiosi?”
Ho affrettato il passo, ho quasi sfiorato la sua spalla con la mia e mi sono allontanata pressoché correndo, mentre l’asfalto per le mie gambe diventava burro fuso.

mercoledì 29 dicembre 2010

Caro Travaglio

Caro Travaglio,
stavolta non mi sei piaciuto. Anzi, di più: mi sono sentita profondamente offesa e ferita. E tradita doppiamente, da lettrice che ti segue “con passione” e da collega che apprezza il tuo essere sempre preciso, puntuale e documentato – come un database -fino alle virgole.
Mi riferisco al tuo editoriale sul Fatto di ieri, 28 dicembre, nel quale, pur di attaccare D’Alema (impresa nobile e ineccepibile, che condivido in toto, considerandolo non, come fanno molti, il più intelligente – ma si può? -, ma anzi uno dei principali responsabili della disperazione in cui si trova – temo irreversibilmente – il nostro Paese), ti sei profuso in un triplo salto mortale con il quale insensatamente hai attaccato i comunisti.
Cito: “...D’Alema ha sempre detto pubblicamente e privatamente che la magistratura è una minaccia per l’Italia. Quando indaga sui politici, s’intende. E non perché sia diventato comunista, ma perché è sempre stato comunista. E i comunisti non conoscono la divisione dei poteri: per loro esiste un solo potere, quello politico, anzi partitico”.
Io sono una comunista vera (e per questo ho perso il lavoro), comunista illuminista per di più, adoro gli enciclopedisti e Montesquieu, e tu dovresti sapere quanto i comunisti – quelli veri, non il Pd che è il partito dei padroni o, meglio, e non sembri una contraddizione in termini, dei servi – quando erano ancora in Parlamento e dunque potevano dire in televisione oltre che nelle Camere quello che pensavano (ora non buchiamo il video e non ci caga più nessuno) siano stati strenui difensori della magistratura e della separazione dei poteri.
Perché, dunque, questa “leggerezza”? Sei caduto anche tu nella trappola luogocomunista berlusconiana di definire sinistra e comunisti il Pd dopo avere nei decenni precedenti diffuso via etere il terrore del comunismo? “Francamente”, come direbbe baffino, da te non me l’aspettavo. A meno che questo non sia dettato (ma sarebbe irrazionale e dunque non da te) dalla voglia di restituire a D’Alema – ma così insultando quelli che non vogliono avere niente a che fare con il miglior alleato di Berlusconi – un po’ del veleno che lui sputa su Di Pietro e dalla voglia, appunto, di prendere le difese del leader dell’Italia dei Valori che al momento a me sembra abbastanza indifendibile.
Sia chiaro, io penso che Antonio Di Pietro – pur con i suoi modi rudi, le sue idee di destra e il suo ego sconfinato – sia una brava persona, però mi rifiuto di credere che uno con la sua esperienza di poliziotto prima e magistrato dopo non sia accorto “a occhio” di chi si metteva in casa. Insomma, non è che ci voleva Lombroso per capire con chi aveva a che fare trovandosi davanti alcuni anni fa De Gregorio e recentemente Scilipoti. Ecco, non vorrei che Di Pietro fosse stato colto dalla sindrome che ha colpito gli ex Pci-Pds-Ds... Io ci sono stata ai Ds e me ne sono scappata appena ho colto i primi sintomi: una volta avevo manifestato a una dirigente catanese di quel partito la mia diffidenza verso un personaggio di cui persino la talpa Ugo, a un miglio di distanza, avrebbe visto che si trattava di una merda. Mi rispose, con volto cattocontrito: “Lo stiamo attenzionando”. E già per questo – per la voce del verbo attenzionare, che in Italiano non esiste - avrebbe meritato di essere mandata in galera. E comunque quello restò al suo posto. Un’altra volta, stessa rimostranza per aver candidato un altro che non ci voleva Lombroso per capirlo e di cui peraltro si vociferava che fosse amico delle cosche. Risposta: “Sì, ma non possiamo rinunciare ai suoi 800 voti”. Ecco, io non vorrei che Di Pietro avesse fatto lo stesso ragionamento “aritmetico” di quella dirigente Ds, dal momento che, a quanto pare, già nell’agosto scorso, e dunque quattro mesi prima che Scilipoti si prostituisse a Berlusconi, il capo dell’IdV era stato informato del fatto che il cosiddetto “onorevole” era indagato dalla magistratura.
Forse Di Pietro, invece di accusare De Magistris di fargli le scarpe, avrebbe dovuto prendere a calci in culo Scilipoti e i suoi simili e dovrebbe scusarsi con i suoi elettori, molti dei quali comunisti, e ammettere di avere fatto qualche cazzata.
E gli elettori comunisti che hanno votato per Di Pietro dovrebbero chiedere scusa all’Italia: perché noi abbiamo fatto certamente delle cazzate (soprattutto quella di stare divisi per tanto tempo e ora che siamo uniti o fingiamo di esserlo non esistiamo più) e forse andavamo “puniti”, ma farlo con un voto a un partito “incazzato” fa solo più danno. Perché un partito incazzato non nasce dalle idee, ma dal malcontento: di chi si è sentito tradito dai comunisti, di chi si è sentito tradito dalla sinistra, di chi non si è ritenuto abbastanza valorizzato nel proprio vecchio partito, di chi – infine – si era iscritto a un partito sperando di ricavarne privilegi. E se è quest’ultima la motivazione “nobile” che ti spinge a “scendere in campo”, come l’hai fatto la prima volta di lasciare un partito per approdare a un altro lo farai mille altre volte e non disdegnerai di diventare la puttana del Berlusconi di turno o, per restringere il campo alla Sicilia, del Lombardo di turno. E sapessi quante puttane ex comuniste, ex sinistre, ex iddivvine circolano di questi tempi in Sicilia!
Scusami, ho divagato un po’ troppo e mi sono persa. Resta il centro del discorso e cioè che – da comunista che ha sempre fatto politica per passione e mai per tornaconto (o molto peggio: nel senso di banche, appalti, eccetera) - quella tua frase mi ha fatto male. E che non si capisce il motivo di tanto livore verso i comunisti. Anche se oggi ti sei fatto perdonare con il pezzo su Belpietro. Ma qui bisognerebbe aprire una discussione prima che su Belpietro sulla funzione (?) dell’Ordine dei giornalisti. Che, non solo con Belpietro, ma anche con molti altri giornalisti servi e puttane, dovrebbe fare quello che Di Pietro avrebbe dovuto fare con Scilipoti e compari: prenderli a calci in culo o prendercisi da solo.

lunedì 20 dicembre 2010

Terno secco sulla ruota di Palermo

Venticinque, uno e quattordici. Tenete a mente questi numeri, ché vi devo dire una cosa. E, siccome la vado ripetendo da circa 35 anni e più, inascoltata, la scrivo così forse si capisce: potreste, per piacere, non dare per scontato che tutti festeggino il natale dei cattolici? Potreste, per piacere, evitare di farmi gli auguri per natale e capodanno? Potreste, per piacere, evitare di obiettare: “sì, ma capodanno perché?”
Cominciamo dalla fine: io non ho niente contro quel povero cristo (che, comunque, o era schizzato al punto da credersi il figlio di un dio o era un dritto pazzesco tanto da sapere – diciassette secoli prima che lo dicesse Voltaire e diciotto prima di Marx – che la religione serve a prendere per il culo la gente e a farle fare quello che si vuole), ma francamente preferisco festeggiare il mio di compleanno o quello di mio figlio, di mia madre, del mio compagno, di mia sorella e così via. E non vedo perché dovrei festeggiare i duemila e undici anni di un tipo che non è né un mio parente stretto né il mio fidanzato. Tipo che peraltro, ne sono certa, si sarebbe cucito la bocca con il fil di ferro se avesse saputo quanti strati di merda – accumulo di ricchezze spropositate, evasione fiscale, pedofilia, intolleranza e persecuzione verso chi non la pensava come loro, connivenza con la mafia, sostegno politico a un mafioso maniaco sessuale in cambio dell’esenzione dall’Ici e dei soldi alle loro scuole che valgono bene una bestemmia, contestualizzandola s’intende - avrebbero accumulato in questi secoli quelli che parlano in suo nome.
Dunque capodanno si conta dalla sua nascita e io non vedo perché dovrei festeggiarlo. E oltretutto non sopporto il divertimento a comando e le feste “comandate” (che, per essere comandate, quindi imposte, vuol dire che uno ne farebbe volentieri a meno di festeggiarle e lo devono obbligare per legge).
Quanto alle date, 25 è la mia data più importante. Ma è il 25 di aprile, festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Poi c’è l’1, nel senso del primo maggio, festa dei lavoratori che hanno sempre meno da festeggiare in un Paese che li ha fatti schiavi. Infine il 14 luglio, che sarebbe una specie di “festa della ragione”. E la ragione, in quanto tale, è incompatibile con qualunque forma di superstizione fra le quali la suprema è la religione.
Dunque, ricordate bene: 25, 1 e 14. E ora, se volete, giocateli al lotto: terno secco sulla ruota di Palermo.
Ma, mentre aspettate che santa Rosalia vi faccia il miracolo, vi saluto con la definizione che del capodanno dava quell’esempio di lucidità mentale che si chiamava Antonio Gramsci: “tripudio a rime obbligate collettive”.

giovedì 16 dicembre 2010

42 idee per Catania? Cominciate dai tombini

Quanto è costata ai cittadini catanesi l’organizzazione degli Stati generali voluta dal sindaco, Raffaele Stancanelli, e conclusasi con l’illustrazione di ben quarantadue-idee-quarantadue per la vivibilità di Catania? Quanto è costato il rapporto commissionato espressamente al Censis per farci spiegare che la città ha una quantità di imprese superiore alla media regionale e addirittura nazionale? Quanto è costato fare venire gli ospiti da fuori? Quanto è costato portarseli tutti a mangiare allo Yachting club?
E poi: il Censis, pagato con i soldi dei catanesi per fare trionfalismo sulle capacità imprenditoriali della città, ha chiarito di che natura sono le imprese che fanno gridare al miracolo economico? No, perché, tanto per dirne una, proprio oggi su disposizione della Dia di Catania sono stati sequestrati beni per un valore complessivo di trenta milioni di euro a Maurizio Zuccaro, esponente di spicco del clan Santapaola, e fra le sue proprietà c’erano un lussuoso complesso residenziale e numerose attività commerciali.
E ancora: che bisogno aveva Stancanelli di invitare (e, quindi, di pagargli – sempre con i soldi dei catanesi – aereo, albergo e tutto il resto) il sindaco di Roma, Gianni Alemanno? Suvvia, senatore, non mi dirà che aveva bisogno di suggerimenti per capire come si fa ad assumere i parenti al Comune e alle partecipate?
E per finire: invece di spremervi le meningi ad elaborare ben 42 idee per la vivibilità di Catania (tipo quella, davvero esilarante, di allargare i marciapiedi per consentire ai pedoni di passare: naturalmente non vi è venuto in mente di mettere i vigili urbani al lavoro e fare fare un culo così a tutte quelle bestie che ci posteggiano sopra le loro auto), avreste potuto farvi un giro per la città – per esempio ieri e per esempio mentre pioveva – e accorgervi che i tombini sono cementati e le strade sono fiumi in piena e magari vi sarebbe venuto in mente, persino a voi che non brillate certo per intelligenza, che una parte, solo una piccola parte dei soldi che avete buttato per le vostre puttanate mondane sarebbe bastata a ripulire e riaprire i chiusini e ad evitare che qualcuno finisca annegato nell’acqua piovana. Già poter camminare per strada senza rischiare di essere travolti dalla piena sarebbe un’ideale geniale per rendere vivibile Catania.
Certo, poi ci sarebbe anche da parlare del lavoro che non c’è. Ma questo forse per voi è un concetto troppo difficile. A meno che non si tratti di pagare consulenti e analisti.

venerdì 10 dicembre 2010

Questi fantasmi

C’è una giovane donna travestita che da qualche giorno a Catania si intrufola fra lo smog e le macchine ferme ai semafori. Non è un travestimento né bello né divertente il suo, nessuna doratura sul corpo, né piume di struzzo o cappello da clown: solo cerone bianco malamente spalmato sul viso (che, già da solo, basterebbe a ricordare il pianto di un Pierrot), un lenzuolo bianco gettato addosso alla meno peggio, in mano un bicchiere di plastica ovviamente bianco. Nessuna performance teatrale, nessuno spettacolo di mimo: l’unica mimica è quella della mano che simula il versamento di qualcosa nel bicchiere. Pourboire la chiamano i francesi la mancia, per bere, ma qui forse si tratta di mangiare, di riuscire ancora a farlo sia pure a costo di travestirsi da fantasma.
Quanti sono questi fantasmi che – a differenza di quello munifico di Eduardo – si aggirano per le città non più in cerca di un lavoro, ma di un’elemosina? C’è chi lo fa a viso aperto, chi invece non ce la fa proprio a mostrarsi e anzi ha solo voglia di sparire e di nascondersi e si vergogna come se fosse colpa sua la mancanza di lavoro. Sicchè prende un lenzuolo e ci si copre i vestiti, prende il cerone e lo usa come calce per annullare il proprio volto e la propria identità.
D’altra parte, cos’è un disoccupato se non una persona che non ha più un’identità? Puoi essere la persona più colta del mondo, puoi avere delle idee brillanti, ma se non hai un lavoro semplicemente non sei. Sei un fantasma, appunto.
E ti fa ancora più impressione – in quest’Italia che non ha soldi per pagare mille euro al mese a un ricercatore universitario, ma ne ha mille a notte per comprarsi una escort - questa giovane donna che si copre mentre quasi tutte le altre si scoprono.

Berlusconi e berlusconismo

Qualche sera fa, a Otto e mezzo, si parlava di ciò che accadrà il 14 dicembre, nel giorno della fiducia/sfiducia a Berlusconi, e Lilli Gruber intervistava Ludina Barzini. Due giornaliste di grande esperienza, ma che (forse) hanno commesso l’errore di non riflettere una frazione di secondo, che a loro sarebbe bastata per non cadere nella trappola dello “spostamento semantico” delle parole.
Mi spiego: l’intervistatrice chiedeva se il berlusconismo sia in fase di declino e l’intervistata rispondeva parlando di berlusconismo, ma era chiaro che entrambe pensavano a Berlusconi e probabilmente al suo governo. Ora, io credo che dovremmo intenderci e, proprio per non farci fregare, ricordarci sempre di distinguere fra Berlusconi, governo Berlusconi e berlusconismo.
Il primo, cioè l’essere vivente, come tutte le cose umane – parafrasando Giovanni Falcone – ha avuto un inizio e avrà una fine: a occhio e croce fra una decina d’anni. Venti, se vogliamo farci abbindolare dagli imbonitori degli elisir di immortalità. E l’anagrafe sarà la nostra sola salvezza.
Il suo governo, invece, forse il 14 non finirà a causa del berlusconismo uno dei cui ingredienti è la predisposizione a corrompere e farsi corrompere, il pensare solo per sé, come dimostra la prostituzione di questi giorni che vede i deputati esercitare il mestiere piuttosto che esserne utilizzatori finali.
Quanto al berlusconismo, non finirà certamente il 14 e non finirà per un tempo infinito perché più che una corrente filosofica (ma de che?), come potrebbe far supporre il suffisso, è un virus invasivo, uno stato d’animo, una muffa le cui macchie hanno attaccato e intaccato ormai tutta la società. Più che di berlusconismo, chiedendo un prestito a Sciascia, parlerei di berlusconitudine: una cosa che ti porti dentro e fa parte di te. Con la differenza che sicilitudine non ha necessariamente un’accezione negativa. Mentre la berlusconitudine, il berlusconismo, concentra in sé il peggio di tutto e come un tumore ha ormai diffuso le sue metastasi in tutto il corpo del Paese. Perché ciascuno pensa di poter aprire o chiudere la strada sotto casa propria a seconda delle necessità, perché ciascuno salta la fila alla posta, perché ciascuno ritiene che un lavoro si prenda non per concorso ma per raccomandazione, perché ciascuno è certo che pagare le tasse sia un sopruso e non un contributo alla realizzazione di scuole e ospedali e al pagamento degli stipendi di quelli che ci lavorano, perché ciascuno/a si è convinto che per emergere non devi essere bravo ma troia, perché ciascuno – e politici per primi e purtroppo politici di sinistra – non ha dubbi sul fatto che è meglio apparire che essere.
E’ questa la grande e vera vittoria di Berlusconi: lui a un certo punto finirà, il suo governo finirà (forse solo per estinzione del suo capo), ma il berlusconismo gli sopravvivrà, alimentato da tutti quelli che dicono di volerlo combattere ma che in fondo desiderano soltanto vivere di privilegi, ingiustizie, affermazioni personali, protagonismi e schermi televisivi. Per dirla con Gaber: non ho paura di Berlusconi in sé, ho paura di Berlusconi in me. E ha avuto la fortuna di morire prima che Berlusconi fosse in tutti.