mercoledì 29 dicembre 2010

Caro Travaglio

Caro Travaglio,
stavolta non mi sei piaciuto. Anzi, di più: mi sono sentita profondamente offesa e ferita. E tradita doppiamente, da lettrice che ti segue “con passione” e da collega che apprezza il tuo essere sempre preciso, puntuale e documentato – come un database -fino alle virgole.
Mi riferisco al tuo editoriale sul Fatto di ieri, 28 dicembre, nel quale, pur di attaccare D’Alema (impresa nobile e ineccepibile, che condivido in toto, considerandolo non, come fanno molti, il più intelligente – ma si può? -, ma anzi uno dei principali responsabili della disperazione in cui si trova – temo irreversibilmente – il nostro Paese), ti sei profuso in un triplo salto mortale con il quale insensatamente hai attaccato i comunisti.
Cito: “...D’Alema ha sempre detto pubblicamente e privatamente che la magistratura è una minaccia per l’Italia. Quando indaga sui politici, s’intende. E non perché sia diventato comunista, ma perché è sempre stato comunista. E i comunisti non conoscono la divisione dei poteri: per loro esiste un solo potere, quello politico, anzi partitico”.
Io sono una comunista vera (e per questo ho perso il lavoro), comunista illuminista per di più, adoro gli enciclopedisti e Montesquieu, e tu dovresti sapere quanto i comunisti – quelli veri, non il Pd che è il partito dei padroni o, meglio, e non sembri una contraddizione in termini, dei servi – quando erano ancora in Parlamento e dunque potevano dire in televisione oltre che nelle Camere quello che pensavano (ora non buchiamo il video e non ci caga più nessuno) siano stati strenui difensori della magistratura e della separazione dei poteri.
Perché, dunque, questa “leggerezza”? Sei caduto anche tu nella trappola luogocomunista berlusconiana di definire sinistra e comunisti il Pd dopo avere nei decenni precedenti diffuso via etere il terrore del comunismo? “Francamente”, come direbbe baffino, da te non me l’aspettavo. A meno che questo non sia dettato (ma sarebbe irrazionale e dunque non da te) dalla voglia di restituire a D’Alema – ma così insultando quelli che non vogliono avere niente a che fare con il miglior alleato di Berlusconi – un po’ del veleno che lui sputa su Di Pietro e dalla voglia, appunto, di prendere le difese del leader dell’Italia dei Valori che al momento a me sembra abbastanza indifendibile.
Sia chiaro, io penso che Antonio Di Pietro – pur con i suoi modi rudi, le sue idee di destra e il suo ego sconfinato – sia una brava persona, però mi rifiuto di credere che uno con la sua esperienza di poliziotto prima e magistrato dopo non sia accorto “a occhio” di chi si metteva in casa. Insomma, non è che ci voleva Lombroso per capire con chi aveva a che fare trovandosi davanti alcuni anni fa De Gregorio e recentemente Scilipoti. Ecco, non vorrei che Di Pietro fosse stato colto dalla sindrome che ha colpito gli ex Pci-Pds-Ds... Io ci sono stata ai Ds e me ne sono scappata appena ho colto i primi sintomi: una volta avevo manifestato a una dirigente catanese di quel partito la mia diffidenza verso un personaggio di cui persino la talpa Ugo, a un miglio di distanza, avrebbe visto che si trattava di una merda. Mi rispose, con volto cattocontrito: “Lo stiamo attenzionando”. E già per questo – per la voce del verbo attenzionare, che in Italiano non esiste - avrebbe meritato di essere mandata in galera. E comunque quello restò al suo posto. Un’altra volta, stessa rimostranza per aver candidato un altro che non ci voleva Lombroso per capirlo e di cui peraltro si vociferava che fosse amico delle cosche. Risposta: “Sì, ma non possiamo rinunciare ai suoi 800 voti”. Ecco, io non vorrei che Di Pietro avesse fatto lo stesso ragionamento “aritmetico” di quella dirigente Ds, dal momento che, a quanto pare, già nell’agosto scorso, e dunque quattro mesi prima che Scilipoti si prostituisse a Berlusconi, il capo dell’IdV era stato informato del fatto che il cosiddetto “onorevole” era indagato dalla magistratura.
Forse Di Pietro, invece di accusare De Magistris di fargli le scarpe, avrebbe dovuto prendere a calci in culo Scilipoti e i suoi simili e dovrebbe scusarsi con i suoi elettori, molti dei quali comunisti, e ammettere di avere fatto qualche cazzata.
E gli elettori comunisti che hanno votato per Di Pietro dovrebbero chiedere scusa all’Italia: perché noi abbiamo fatto certamente delle cazzate (soprattutto quella di stare divisi per tanto tempo e ora che siamo uniti o fingiamo di esserlo non esistiamo più) e forse andavamo “puniti”, ma farlo con un voto a un partito “incazzato” fa solo più danno. Perché un partito incazzato non nasce dalle idee, ma dal malcontento: di chi si è sentito tradito dai comunisti, di chi si è sentito tradito dalla sinistra, di chi non si è ritenuto abbastanza valorizzato nel proprio vecchio partito, di chi – infine – si era iscritto a un partito sperando di ricavarne privilegi. E se è quest’ultima la motivazione “nobile” che ti spinge a “scendere in campo”, come l’hai fatto la prima volta di lasciare un partito per approdare a un altro lo farai mille altre volte e non disdegnerai di diventare la puttana del Berlusconi di turno o, per restringere il campo alla Sicilia, del Lombardo di turno. E sapessi quante puttane ex comuniste, ex sinistre, ex iddivvine circolano di questi tempi in Sicilia!
Scusami, ho divagato un po’ troppo e mi sono persa. Resta il centro del discorso e cioè che – da comunista che ha sempre fatto politica per passione e mai per tornaconto (o molto peggio: nel senso di banche, appalti, eccetera) - quella tua frase mi ha fatto male. E che non si capisce il motivo di tanto livore verso i comunisti. Anche se oggi ti sei fatto perdonare con il pezzo su Belpietro. Ma qui bisognerebbe aprire una discussione prima che su Belpietro sulla funzione (?) dell’Ordine dei giornalisti. Che, non solo con Belpietro, ma anche con molti altri giornalisti servi e puttane, dovrebbe fare quello che Di Pietro avrebbe dovuto fare con Scilipoti e compari: prenderli a calci in culo o prendercisi da solo.

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