lunedì 22 agosto 2016

Porgi l'altra gamba


Ma quando la finiranno certi giornalisti di fare domande cretine? Lo perdona? Certo, come no. Ti hanno ammazzato un figlio, un fratello, un marito e tu li perdoni. Tua figlia è rimasta sepolta sotto le macerie della scuola di cartapesta costruita a suon di mazzette e tu li perdoni. Ti ha gambizzato, hai rischiato di morire dissanguata e tu lo perdoni. Perdonalo, è solo un bambino, no? Non era in sé, lo ha fatto per il tuo bene, eccetera, eccetera, eccetera, mille volte eccetera. Lo hanno chiesto anche a Marisa Putortì, la ragazza di 21 anni di Nicotera a cui il fratello ha sparato per impedirle di portare la minigonna. Qualcuno glielo ha chiesto: lo perdonerà? Ma lei non ha risposto come prevedeva il protocollo dell’ipocrisia: no, non lo perdonerò mai – ha detto. E cosa doveva fare, porgere l’altra gamba?
Ho letto la sua dichiarazione e ho pensato a Rosaria Schifani, che aveva 22 anni quando la mafia le ammazzò il marito nella strage di Capaci: “Io vi perdono però vi dovete mettere in ginocchio” e lei lo sapeva che in quel “però” non c’era alcuna possibilità che loro si mettessero in ginocchio. “Loro non cambiano, non cambiano”. Leggeva quello che le avevano detto o che lei stessa si era imposta di leggere, perché era questo che ci si aspettava da lei, e intanto chiosava con altre parole, con modulazioni della voce, con movimenti della testa, contraddicendo quel foglio che teneva in mano.
Rosaria, Marisa: sembra niente, ma quel non volersi piegare ai buoni sentimenti in favore di telecamera è già un gesto rivoluzionario. Marisa è una “normale” ragazza di 21 anni: un lavoro, un compagno, un figlio, degli amici e, naturalmente, una minigonna. Per quella minigonna suo fratello di appena quattro anni più grande di lei voleva toglierle la vita. Per quel suo voler decidere della propria vita – chi frequentare, dove andare, come vestirsi - suo fratello di appena quattro anni più grande di lei voleva toglierle la vita. Convinto di esserne il padrone. Anzi, il proprietario che poteva rottamarla come si fa con una macchina che non funziona più secondo le sue aspettative.
Lo perdona? Certo, come no. Anzi, di più: mi allungo i vestiti, mi accorcio le idee, non esco più, si esce solo la domenica tutti insieme, si va a messa e ci si scambia un segno di pace. Così il giornalista perdonista, in prima fila con la sua telecamera, potrà fare lo scoop del secolo.

lunedì 15 agosto 2016

Bandiera bianca


Dunque, a quanto sembra lo Stato ha finalmente vinto la guerra contro le mafie. Si possono ritirare le truppe, la vita può tornare alla normalità, si possono togliere i sacchi di sabbia dalle finestre, le attività imprenditoriali possono riprendere, l’economia pulita si risolleverà, non ci sarà più da avere paura, i bambini potranno correre liberi per le strade, gli appalti e i concorsi non saranno più truccati, i ragazzi avranno un lavoro con tutte le tutele e non dovranno più fare gli spacciatori di droga al servizio dei boss.
Se così non fosse, non si spiegherebbe perché lo Stato, e segnatamente il Ministero dell’Interno, ha deciso che due imprenditori calabresi, Pino Masciari e Rocco Mangiardi - l’uno costretto ad emigrare per avere denunciato le collusioni fra politica e criminalità organizzata, l’altro vittima del racket delle estorsioni, entrambi testimoni di giustizia cui spetterebbero le tutele previste dalla legge - non hanno più bisogno della scorta. Anzi, peggio, il danno e la beffa: gli hanno mandato a dire che se proprio – che capricciosi! – vogliono l’auto di scorta, se la devono pagare loro. E per di più gli riducono gli uomini di guardia. Sarà più che sufficiente uno, che in pratica si riduce ad essere soltanto un autista perché o fa una cosa o ne fa un’altra. E se non gli sta bene così, che se ne vadano – letteralmente – a morire ammazzati.
Praticamente è come quando mia madre mi chiede di accompagnarla da qualche parte e la macchina ce la mette lei. Con la differenza che lei non rischia di essere circondata da un gruppo armato di kalashnikov (per rubarle qualche tanica d’olio appena acquistata al frantoio?), che io non ho obblighi di tutela – come dovrebbe essere per lo Stato - se non quelli del mutuo soccorso derivante dal rapporto madre/figlia, e soprattutto che io la macchina non ce l’ho. Né blu, né rossa, né gialla a pallini viola. Mentre loro le hanno blu, le hanno blindate, le hanno di grossa cilindrata, e hanno gli F35 che servono ad andare in guerra contro popolazioni inermi e hanno gli aerei di Stato per fare gli sboroni. Magari comprati in quantitativi esagerati e a prezzo maggiorato per favorire qualche imprenditore che mai si è fatto scrupolo di avere rapporti con la criminalità organizzata, e in più tagliando sulle spese per la sicurezza di due dei pochi imprenditori onesti che rischiano la vita per la legalità.
No, mi sa che mi sbagliavo: non è lo Stato che ha vinto la guerra contro la mafia, ma la mafia che ha vinto contro uno Stato che ha alzato bandiera bianca prima ancora di cominciare a combattere. E peggio per chi si ostina a voler fare l’eroe, cioè la persona per bene.

Complicazioni

Io non lo so se è brava Carla Raineri, la capa di gabinetto della sindaca di Roma: non è mestiere mio e dunque non posso giudicare e non mi permetto. Anzi, penso comunque che se una fa la magistrata si dev'essere fatto il mazzo a studiare e probabilmente continua a farlo ogni giorno, studiare e aggiornarsi. Anche se sembra che si sia presi pure meriti che non le spettavano e questo non le fa onore, affermando che ci rimette (e, anzi, la iscrive d'ufficio nel club del "così fan tutti" autorizzando sospetti sulla linearità della sua carriera). Detto ciò, siccome - di sicuro indegnamente - le parole invece sono mestiere mio, una cosa su una parola gliela voglio dire: mi creda, Raineri, la sua vita non è complicata. Se oggi che dicono sia festa lei può andare fuori (prendere macchina, mettere benzina, se invitati comprare dolci o regalo da portare, oppure ordinare pesce al ristorante, e poi il vino di quello buono, e poi tutto quello che ci sta prima, dopo, durante, sopra, di lato), vuol dire che la sua vita non è complicata. Forse lo è stata, quando come tutti ha fatto la gavetta, ma non lo è più. Se lei ha un appartamento in città, uno in campagna e uno al mare, come è presumibile che sia, la sua vita non è complicata. Se lei può permettersi di viaggiare per andare al lavoro senza preoccuparsi del rosso fisso che la guarda minaccioso dal cruscotto della sua auto, la sua vita non è complicata. Chieda a uno che il lavoro non ce l'ha. Provi a invitarlo a prendere una pizza. Le risponderà che è complicato. Provi a invitarlo al cinema. Le risponderà che è complicato. Provi a invitarlo a cena a casa sua. Le risponderà che è complicato. O ancora: gli consigli, per esempio per quel mal di testa che si porta dietro da anni, di rivolgersi a uno specialista o per quella stanchezza atavica di prendersi una vacanza e magari gli indichi quel bell'alberghetto in riva al mare dove - secondo i suoi parametri - si spende pochissimo. Si inventerà mille complicazioni per non venire, perché si vergogna a dire che non ce li ha i soldi per la pizza o per il cinema o per portare una bottiglia di vino o un mazzo di fiori per sdebitarsi del suo invito o per farsi due giorni di riposo persino nella più puzzolente delle locande e nemmeno per curarsi. Questo è complicato: vivere se non hai un lavoro. E c'è una cosa forse ancora più complicata: vivere se non hai un lavoro, anche se sei qualificato, perché c'è uno che guadagna quanto potrebbero guadagnare in sei. E lei nemmeno se l'immagina quanto sia complicato non farsi girare i coglioni.

sabato 6 agosto 2016

Braccialetti rotti


Qualche giorno fa mi sono ritrovata a stazionare a più riprese in una di quelle gioiellerie che, più che vendere, comprano oro e argento. Ho visto entrare e uscire diverse persone, chi con qualche pezzo di argenteria, chi con un bracciale d’oro a cui si era rotta la chiusura. Rottura provvidenziale, di solito, perché sono mesi, anni, che lo guardi pensando che tanto non lo userai più e sarebbe meglio disfarsene e farlo fruttare, ma non ti decidi finché non si rompe e i soldi per farlo riparare non li hai. Entrano, si guardano intorno per accertarsi che nessun conoscente li abbia visti, si vergognano come ladri, restano seduti in pizzo sulla sedia come podisti in attesa del colpo di pistola, parlano a bassa voce come a svelare qualche segreto inconfessabile.
Si discute di canone Rai, di Enel, di una società parallela che avrebbe dovuto farti risparmiare e invece era una truffa. Il gioielliere dai cassetti strabordanti di banconote intanto pesa. Un po’ pesa e un po’ conversa, fa una foto al bracciale, emette il verdetto, paga, mette in relazione i presenti: “clienti” lui li chiama, forse solo per sottolineare l’assiduità del rapporto, ma in realtà tecnicamente sarebbero dei fornitori, perché sono loro che vendono e lui che compra. Si mettessero in società, sarebbero già una multinazionale.
La signora del braccialetto rotto prende un paio di banconote, le arrotola, le infila in una tasca: “Con queste – dice, e lo dice al femminile perché ragiona ancora in lire – ci paghiamo una bolletta”. Poteva essere il ricordo di una persona che non c’è più o quello che restava di un amore finito, o ancora il regalo per la nascita di un figlio: adesso vale quanto una bolletta dell’Enel. Magari di quella con il canone Rai che Renzi ci fa pagare così possiamo guardarlo in questi giorni che si fa le vacanze con tutta la famiglia a Rio, con la scusa delle Olimpiadi, pagato con i nostri soldi. Noi poveri di qua, a guardarlo rotolare nei lustrini e nei fuochi d’artificio televisivi; specularmente loro là, i bambini delle favelas, a guardare da vicino eppure mai così lontano un mondo artificiale che fa lo sciacallo sulle nostre nostra ossa ormai senza pelle. In mezzo lui, che ha fatto della tv di Stato la sua tv personale, senza nemmeno il rischio d’impresa che Berlusconi mette nelle sue, ma con gli stessi editti bulgari e gli stessi giornalisti e direttori più o meno generali che si è scelto personalmente perché facciano sì con la testa come i cagnolini di pezza delle auto e quel sì lo iniettino nei cervelli degli italiani fino al referendum
Quanti braccialetti rotti ci vogliono per pagare le vacanze a Renzi, alla sua famiglia e alle persone del suo staff? Quanti braccialetti rotti dovrà vendere la signora che ragiona in lire per pagare il canone di una tv privata? Quanti colpi di pistola ci vorranno – non per dare il via ad una gara, ma per scrivere la parola fine sulla vita di persone disperate – prima che gli italiani si sveglino da questo sonno di morte, la smettano di vergognarsi come ladri di colpe non loro che li hanno portati all’indigenza e lo caccino via con un fragoroso cacerolazo?