giovedì 23 novembre 2017

Abbastanza carcerati

Onesto è onesto, non si può negare. Perché lui ci aveva avvisati: «Sono abbastanza incensurato». E abbastanza vuol dire abbastanza. Non ci ha detto «sono tutto incensurato». Quindi non mentiva. E un politico che non mente – ammettiamolo - è una perla rara. Riteniamoci fortunati.
Dunque Luigino, anche detto Genovese junior - figlio ventunenne nonché erede politico e “morale” di Francantonio, l’ex segretario regionale e deputato del Pd, poi passato armi, bagagli, figli, parenti, pacchetti di voti e amici degli amici a Forza Italia -, quello che alle scorse elezioni regionali siciliane ha preso più di 17.000 preferenze contribuendo non poco all’elezione di Nello Musumeci, il presidente che socraticamente sapeva di non sapere quali fossero i candidati a sostegno della sua elezione e già se ne trova un grappoletto indagati, insomma Luigino oggi indagato per quisquilie come evasione fiscale e riciclaggio quando ci ha detto di essere «abbastanza incensurato» in fondo diceva il vero. E forse voleva farci sapere qualcosa. Che quell’«abbastanza» nascondesse la consapevolezza di una cosa non duratura e non completa? Ci voleva far sapere che presto che presto sarebbe stato “molto” indagato?
Del resto, ci aveva anche avvertito che il suo faro politico è il teorico dell’evasione fiscale, Silvio Berlusconi. Sicché, guidato dalla luce del redivivo cavaliere e dall’amorevole padre, il giovincello “onorevole” senza onore – anziché emigrare per trovare lavoro come la maggior parte dei suoi coetanei che non hanno né padri immeritatamente influenti né padrini - si sarebbe prestato a far migrare all’estero una quantità di soldi che una persona onesta, lavorando otto ore al giorno per quarant’anni, non vede in tutta la sua vita. Gli inquirenti hanno trovato all’estero fondi per 16 milioni di euro variamente intestati a lui e alla sua onorevole famiglia.
Ora, in attesa che padre e figlio diventino “abbastanza” carcerati, lubranianamente la domanda sorge spontanea: ma che uomo di merda è un padre che mette nei guai il proprio figlio per nascondere i propri loschi traffici? E un’altra domanda vorrei fare al “Presidente” Musumeci, che si è dimenticato di presiedere mentre si preparavano le liste che avrebbero dovuto sostenerlo e ha lasciato che fossero piene di portatori di pacchetti di voti lerci: adesso che fa, li restituisce quegli oltre 17.000 voti? E che ne direbbe di dimettersi? Che cosa ci vuole ancora per essere “abbastanza” vergognato?


mercoledì 15 novembre 2017

Un uomo

Ma un uomo? No, dico, un uomo che a distanza di dieci, venti, trent’anni – non importa: noi non lo giudicheremo – si renda conto e ammetta di averlo fatto anche lui? Uno che dica: scusate, sono stato uno stronzo, ho tentato di baciare, ho toccato il culo, ho fatto allusioni, vi ho spogliate con gli occhi, mi sembrava naturale, così fan tutti e facevo anch’io. È il patriarcato, bellezza. Ci ho messo trent’anni per parlare perché ci ho messo trent’anni per capire, ma ora grazie a voi donne – e soprattutto a voi donne che avete impiegato dieci, venti, trent’anni per tirare fuori questo morso costante alla bocca dello stomaco, questo dolore e senso di vergogna che avevate incastonati nel cuore e nella pelle -, grazie a voi mi sono reso conto della sofferenza e mortificazione che vi infliggiamo tutti i giorni dando per scontato che se state zitte è perché siete consenzienti. Aggiungendo così sofferenza a sofferenza.
Ecco, magari se lo fa uno, se uno riesce a vincere prima l’arroganza di sentirsi in diritto di molestare e poi la vergogna di essersi sentito in diritto di molestare, se uno la smette di assumere in automatico la difesa del proprio genere e di vederci – come ai balli di paese degli anni Cinquanta - maschi da una parte e femmine dall’altra, magari poi lo fa un altro e un altro e un altro ancora: le prese di coscienza sono come le ciliegie. E magari lo capite cosa vuol dire tenersi dentro una cosa per trent’anni e capite pure che, appunto perché ce l’hai da qualche parte sotto la pelle, il ricordo riaffiora confuso, parziale, prima quello più recente, poi uno più antico oppure un altro che avevi sottovalutato. Stai pensando a quel porco che, in quanto padrone, si è sentito in diritto di cingerti il fianco e inavvertitamente, una al giorno, ti si parano davanti agli occhi altre scene: il tipo che ti abbraccia in modo che tu non possa divincolarti, quello che ti toglie il saluto (lui, a te!) perché non hai assecondato le sue aspettative; e quell’altro che ti ha affidato un lavoro: siete seduti davanti a una scrivania fianco a fianco, state valutando come impostare un documento e all’improvviso ti ritrovi la sua mano su un ginocchio, sposti il ginocchio e lui dopo qualche minuto lo rifà, sei paralizzata ma sposti ulteriormente il ginocchio e lui lo rifà, è un gioco a chi cede prima, ma non è un gioco, non c’è niente di divertente.
Lo so quello che state pensando: perché non gli hai mollato un ceffone, perché non gli hai detto di smetterla, perché non hai urlato, eccetera. Sì, certo, e la vergogna e la pubblica riprovazione per chi credete che sarebbero stati? Ma che dice, è una pazza, lo fa per ripicca perché le sarebbe piaciuto ma è una cozza e io non me la sono filata, è lei che ci ha provato con me, eccetera eccetera eccetera. Ci mancava che gli dovevi risarcire il danno d’immagine.
Pensateci prima di dire che se una donna ha taciuto per tanti anni significa che in fondo le piaceva; pensateci prima di dire che lo ha fatto perché voleva trarne un qualche vantaggio. Siete sicuri di non averlo mai fatto voi uomini?

Sì, ecco, un uomo: un uomo che ammetta di avere fatto almeno una volta nella vita un pompino, sia pure metaforico, perché così fan tutti e non puoi sottrarti, a un politico, un produttore cinematografico, un barone universitario, un potente qualunque da cui dipendesse la sua vita lavorativa. Migliaia, forse milioni, di portaborse promossi parlamentari, attoruncoli diventati protagonisti, assistenti vincitori di concorsi costruiti su misura. Sì, certo, crollerebbe tutto il sistema, come un castello di carte, basta un soffio. Ma chi l’ha detto che sia sbagliato? Chi ha detto che non si possa ricominciare tutti insieme, donne e uomini, a ricostruire qualcosa che non sia fango costruito sul fango, dove vali perché vali, dove ti guardi allo specchio e ti piaci, dove in un concorso per titoli ed esami l’esame ci sia davvero e il titolo unico per essere ammesso sia: non ha leccato il culo a nessuno. Ecco, quando anche gli uomini cominceranno a dire di avere subìto in silenzio le molestie dei potenti allora potremo cominciare a parlare. E solo allora sarete veramente uomini: altrimenti siete solo maschi, di razza maiale.

lunedì 30 ottobre 2017

Non sono una signora

E dunque comincio dalla fine: io ho sessant’anni. La fine è quella di un articolo pubblicato oggi sulla Stampa, firmato da un uomo che parla di un libro scritto da due donne (a dimostrazione che non è vero che le donne stanno sempre dalla parte delle donne e quindi di se stesse). «Ritratto di signora» è il titolo del volume scritto a quattro mani – come se due non fossero più che sufficienti per una tale raccolta di cazzate (ops, ho già contravvenuto al nuovo vangelo della femminuccia per bene) – da Laura Pranzetti Lombardini e Silvia Zavattini; «Se il bon ton al femminile scarseggia ecco le regole d’oro per rimediare», quello del pezzo a firma Vittorio Sabadin. Che, appunto, nelle ultime righe raccomanda alla vera signora di non rivelare mai la propria età: «quando si incontra una donna che lo fa – scrive Sabadin mostrando di sposare in pieno i comandamenti delle due bontoniste – bisogna diffidarne, perché una signora che dice la sua età è capace di dire tutto».
Ergo, siccome non sono una signora, lo ripeto: ho sessant’anni. E siccome non sono una signora ho intenzione di dire tutto quello che penso di questo articolo e, indirettamente (dal momento che non l’ho letto e non lo leggerò mai), di questo libro: due corazzate Potëmkin, come da definizione del ragionier Ugo Fantozzi. Secondo le due Donne Letizie una vera signora, per essere tale, come riferisce Sabadin, «sorride ogni volta che può, ringrazia e saluta sempre le persone». E aggiunge, precisando: «anche se sono camerieri o fattorini». Com’è umano lei!
Ovviamente una vera signora (e io non lo nacqui) non dice le parolacce, non porta la minigonna dopo una certa età, dev’essere elegante nel modo di muoversi, di stare seduta, di salire e scendere dall’auto (presumo solo dal lato passeggero, perché è il vero uomo quello che tiene il comando, il timone, il volante) badando a farlo, esclama l’articolista, «sempre a gambe unite!». Altrimenti – immagino sottintenda questo – possono pensare che la dai via a questo e a quello. E non sta bene.
Le due vere signore/vere autrici danno quindi una serie di precetti che riguardano la buona educazione: spegnere il telefonino a teatro, non smanettare con lo smartphone «mentre – riferisce sempre l’autore dell’articolo – è a cena con un uomo che l’ha invitata». Dal che si deduce che a cena con un’amica non può andare e che non può essere lei a invitare a cena un uomo. E poi la raccomandazione: ripristinare l’uso «di espressioni ormai dimenticate»: per favore, grazie, scusa, hai ragione. Magari – chissà – da dire all’uomo che le sta violentando o ammazzando. Grazie, scusa, hai ragione. Aggiungerei: è colpa mia.
Adesso aspettiamo soltanto che le novelle monsignore Della Casa – coeve, quanto a idee, dell’autore del Galateo - propongano alla ministra dell’istruzione di reintrodurre nelle scuole medie l’insegnamento dell’economia domestica: sicché le brave future madri e mogli imparino a confezionare all’uncinetto i bavaglini per i loro bimbi (mi raccomando: rosa per le femminucce, azzurri per i maschietti) e soprattutto a preparare gustosi pranzetti per i maritini che si ritirano stanchi dal lavoro. Sto per vomitare. Ma forse questa non è una cosa da vere signore.