domenica 29 gennaio 2017

Uno straccio di normalità

Sono tornati finalmente. Me lo dicono quei due minuscoli accappatoi color pastello stesi ad asciugare. Non vedevo l’ora: ogni mattina, appena sveglia, andavo a controllare e ci restavo male. Di tanto in tanto qualcun altro rientrava, ma loro no. Mamma, papà, due bimbi, un cane, un terrazzo pieno di piante dove accogliere gli amici.
Era rimasto solo il terrazzo, triste come tutti quelli che si sentono abbandonati. Scommetto che, se avessero potuto, lo avrebbero portato con sé quel giorno che senza riflettere hanno dovuto prendere l’indispensabile – e l’indispensabile quando hai due bambini piccoli è un tir della ditta di trasporti – e fare le scale trattenendo il respiro per non inalare fumo e paura: quel giorno che il tetto del loro palazzo ha preso fuoco.
Per alcune settimane quello è stato un palazzo fantasma, le imposte chiuse, i panni sui fili sempre gli stessi a bagnarsi e asciugarsi e inzupparsi ancora e poi di nuovo a seccarsi al sole, sbattuti dal vento, sporcati dallo smog, sempre gli stessi in attesa che qualcuno tornasse e li riportasse a casa.
Poi, a poco a poco, cominciavi a vedere una tenda spostata, un’imposta socchiusa, i fili della biancheria vuoti che all’improvviso indossavano altri indumenti; i piani bassi si rianimavano. Loro però non tornavano, loro che stavano nel punto più vicino a quello in cui si era sviluppato l’incendio. E chissà quanto desideravano andare a riprendere quella camicia o quel paio di orecchini che non indossavano da anni; chissà quanto avrebbero voluto riappropriarsi di quel libro già letto mille volte e sepolto da mesi sotto una pila di altri volumi sul comodino; chissà quanto avrebbero voluto recuperare un ricordo o persino un litigio difficile da assecondare se sei ospite in casa d’altri.
Dev’essere così anche ad Accumoli, a Norcia, ad Amatrice - o all’Aquila che aspetta da nove anni di tornare a uno straccio di normalità -, dove chi ha dovuto abbandonare la sua casa chissà cosa darebbe pur di affacciarsi al balcone e stendere due minuscoli accappatoi, tirare la palla al cane, accoccolarsi un gatto sulla pancia e persino litigare. Senza dover subire l’offensiva presenza di uno sciacallo in campagna elettorale che gli promette la luna distribuendo dentiere e case di cartone, calzando moon boot o stampando banconote false da ottanta euro.
Oggi ad Amatrice c’è stata un’altra scossa ed è crollata la parete di una chiesa; è anche probabile che all’improvviso si sia aperto uno squarcio in una casa costringendo i suoi abitanti ad andare via in fretta, raccogliendo il minimo indispensabile a sopravvivere. Neanche il tempo di ritirare i panni. E io so già che da domani ricomincerò ogni mattina ad aprire le mie finestre sui borghi di questo Paese governato da vampiri, nella speranza - prima o poi - di rivedere la vita sventolare sui fili della biancheria e di vedere i vampiri scappare alla vista del sole. Ma ho anche la certezza che mi verrà l’ansia: più prima che poi.


mercoledì 25 gennaio 2017

Un mare di puntini

Facciamo così: installiamo accanto alle porte di ingresso di procure, caserme dei carabinieri e commissariati di polizia delle macchinette sforna intercettazioni. Come quelle dei preservativi. O come il juke-box: ci metti cinquanta lire, una cantata; cento lire, tre cantate. In graziose confezioni colorate, tipo Durex. Stimolante, per gli italiani assuefatti a tutto, dalla corruzione alla mafia, nella speranza che almeno un po’ prima o poi s’incazzino; ritardante per i grillini che hanno l’incazzatura praecox ma solo se non sono coinvolti i loro rappresentanti.
E i giornali li chiudiamo. Tanto, se continua così, non serviranno più a molto.
Va bene, sono una provocatrice. Ma lo faccio perché vorrei sollevare il dibattito.
Sto parlando, ovviamente, dell’uso invalso negli ultimi anni di fare cronaca giudiziaria con il copia e incolla delle intercettazioni telefoniche. Quindi riportando due frasi essenziali annegate in un mare di rutti, colpi di tosse, sospiri, starnuti, nasi soffiati, grugniti, risatine, ammiccamenti, sghignazzi, singole sillabe senza senso e milioni, miliardi di puntini di sospensione. Un blob di puntini di sospensione che tutto inglobano e uccidono.
Insomma, io di tutti quegli spernacchiamenti non ci capisco niente e da un giornalista – pure da uno pagato poco e pur conoscendo le difficoltà a fare bene il mestiere se ti pagano poco – mi aspetterei che leggesse le carte e le analizzasse per poi raccontarmele, spiegarmele e anche commentarmele. E dopo, ma solo dopo, alla fine dell’articolo, per completezza, se vuoi alleghi tutto lo “sbobinamento” della telefonata intercettata.  

Altrimenti vado alla macchinetta, ci metto cinquanta lire, mi porto a casa un pacchettino fucsia fluorescente pieno di rutti, colpi di tosse, sospiri, starnuti, nasi soffiati, grugniti, risatine, ammiccamenti, sghignazzi, singole sillabe e puntini, e mi faccio un assolo di congetture.

domenica 22 gennaio 2017

L'ascoltatore con la clava

«Quando mia moglie e mia suocera sono insieme, io prendo un libro e con la scusa che mi devo concentrare mi chiudo in camera. La lettura è una grande cosa».
Domenica mattina, radio, cazzeggio da giorno di riposo, si parla di biblioteche, si estende il discorso ai benefici del libro. Via ai messaggi.
E arriva lui, l’ascoltatore con la clava. Per di più convinto di essere spiritoso. E per di più senza il minimo sussulto da parte del conduttore che, nello specifico – e questa è un’aggravante – è una conduttrice.
Ora magari qualcuno mi accuserà di voler fare il processo alle intenzioni, ma mi sembra evidente che per l’autore del messaggio le donne fra di loro parlino di cose che a un uomo non possono e non devono interessare. Provo ad azzardare qualche argomento. Vestiti. Gioielli. Ricette di cucina. Parrucchiere. Pettegolezzi. Minchiate, insomma: secondo alcuni uomini le donne parlano solo di minchiate. Peraltro forse aggiungendo all’elenco delle minchiate anche i figli e i loro problemi. Meglio chiudersi in camera, darsi per dispersi, invocare l’aggressione delle cavallette. Cosa meglio della lettura? «La lettura è una grande cosa», dice l’ascoltatore con la clava, perché lo “salva” dalle donne.
E forse non è vero che la lettura è una grande cosa se non è vero che allarga la mente, che aumenta la capacità di rapportarsi agli altri, amplia le conoscenze, ti fa frequentare mondi nuovi e diversi, ti eleva rispetto alla massa incolta. O, almeno, su quest’uomo non ha fatto effetto, come una medicina scaduta.

E dunque mettiamola così, facciamo che sia un’autocritica: le due donne parlano di economia e di politica internazionale, di cinema d’autore e letteratura – cosa che, fra l’altro, normalmente accade anche se molti maschi fanno fatica ad accettarlo - e lui, incapace di seguirle, va a vergognarsi in camera tenendo in mano l’unico libro che uno così maschilista possa leggere: la ghostwritergrafia di Antonio Cassano. Ovviamente limitandosi a guardare le figure.