sabato 30 luglio 2011

A Catania tornei di cacca al tesoro

Ieri sera, mentre rincasavo, un ragazzo che lavora nella mia strada stava raccontando sconvolto a un conoscente che poco prima, sotto i suoi occhi, una signora era stata scippata della collana e che, poco dopo, forse gli stessi erano saliti all'ultimo piano di un palazzo dove dei muratori sono impegnati nella ristrutturazione di un appartamento e si sono fatti consegnare il portafogli da uno di loro: c'erano venti euro.
Storie di ordinario e quotidiano degrado in una città, Catania, dove il livello di disoccupazione giovanile è ormai patologico, dove il 90% dei commercianti paga il pizzo, dove un libraio che non lo paga è stato costretto a chiudere perché gli hanno incendiato il negozio a ripetizione, dove le strade sono degli immondezzai, i beni culturali sono al disfacimento e i musei sono chiusi. E però in questa città senza amministrazione, dove il bilancio di previsione 2011 sarà approvato (forse) quando già saranno passati tre quarti dell'anno che si doveva prevedere inaugurando così la categoria delle previsioni postume, l'amministrazione inesistente ha stabilito che il 2 agosto - quando cioè saranno in pochi ad accorgersene - porterà all'approvazione del consiglio comunale l'istituzione della tassa di soggiorno, quella sorta di pedaggio che i non residenti devono pagare nelle località turistiche e nelle città d'arte che poi con quei soldi dovrebbero provvedere a valorizzare il patrimonio di quei luoghi.
Insomma, chi si troverà a passare da qui - oltre a pagare il pizzo agli scippatori, lasciandogli la collana, la borsa o la macchina fotografica - dovrà pagarlo anche al sindaco, grazie anche a un decreto regionale varato un paio di anni fa che ha indicato Catania fra gli 88 comuni siciliani che avrebbero potuto chiedere di essere inseriti nell'elenco delle località "a vocazione turistica" e quindi partecipare ai programmi europei per lo sviluppo regionale. Quel decreto diceva che, per stare in lista, i comuni dovevano avere tre insieme di questi requisiti: "l’adeguata presenza di beni culturali, artistici e architettonici; la collocazione all’interno di parchi regionali; la localizzazione paesaggistica e naturalistica, la persistenza e la tutela dei centri storici, l’adeguata dotazione infrastrutturale alberghiera (che comprende alberghi, agriturismi, turismo rurale, paesi-albergo, case vacanza, bed and breakfast); l’organizzazione, da oltre un triennio di manifestazioni, rassegne o grandi eventi culturali e un’adeguata presenza turistica". A parte la ripetizione ossessiva del termine "adeguata", che sembra voler giustificare un concetto molto vago (Quanti beni culturali ci vogliono - tre, trecento, tremila - per considerare adeguata la loro presenza? E quanti alberghi? Quanti B&B? E gli alberghi quante stanze devono avere? E quanti camerieri? Qual è il criterio per stabilire l'adeguatezza? Boh!) e dunque molto elastico, e ammettendo che a Catania - malgrado i suoi amministratori - c'è un numero consistente di beni culturali e architettonici, non mi sembra che il comune faccia parte del Parco regionale dell'Etna; quanto poi alla "persistenza e la tutela dei centri storici", quello di Catania - sempre malgrado loro - di persistere persiste, perché ancora il coraggio di prenderlo tutto a picconate e costruirci grattacieli (dopo lo scempio già intollerabile degli anni Settanta) non l'hanno avuto, ma sulla tutela...basta passarci qualche ora a Catania per capire quanto questa amministrazione e la precedente sembrino nutrire un sentimento profondo di odio verso il centro storico. Forse, appunto, perché non ci possono mandare le ruspe.
E' davvero difficile che Catania abbia insieme ben tre requisiti per essere classificata città d'arte o a vocazione turistica, mentre ce li ha tutti per rientrare a pieno titolo nei paesi del terzo mondo: sottosviluppo, malgoverno, malasanità, sporcizia, strade come mulattiere, nessuna attenzione ai più deboli sui quali anzi si lucra (ricordate la cricca dei Servizi sociali, vicenda per la quale il sindaco Stancanelli è accusato di abuso d'ufficio con richiesta di imputazione coatta da parte del Gip?), casse comunali sgangheratissime a fronte di un proliferare esorbitante di consulenze che forse sono alla base dell'impossibilità di far quadrare i conti e quindi di approvare un bilancio credibile. E siccome soldi non ce n'è, l'amministrazione pensa di scipparli ai turisti. In cambio di cosa? Vogliamo ipotizzare qualche "svago" da offrire a chi viene a visitare la città? Potremmo organizzargli, per esempio, la "cacca al tesoro" che consiste non nel trovare una cacca di cane, ché le strade di Catania ne sono piene, ma di trovare la più grossa, come quando si va in cerca di tartufi. Oppure una gara di apnea per le vie del piscio, sullo stile dei tornei di bacio sott'acqua. O ancora le olimpiadi di Parkour, dove gli ostacoli da superare siano gli scippatori, le macchine in seconda fila, le buche nelle strade, la munnizza....
Finito il percorso di guerra, se ne saranno usciti vivi, saranno premiati con un soggiorno a Catania, senza tassa di soggiorno. Altrimenti, col cazzo che ci tornano!

giovedì 28 luglio 2011

Il federale Alemanno, le donne, il caminetto e il microchip

«La violenza c'è sempre stata [...] Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli? E come non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me! L'avvocato Mazzucca e l'avvocato Sarandrea, testimoni che andavo a pranzo con loro, sennò non uscivo di casa. Non è una violenza questa? Eppure mia moglie mica mi mena. È vero che siete testimoni? Siete testi? E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l'uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire «Abbiamo parità di diritto, perché io alle 9 di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?» Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l'avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente».
Questo è un passaggio dell'arringa dell'avvocato Giorgio Zeppieri, uno dei difensori di quattro imputati di un processo per stupro che poi divenne un documentario e fu trasmesso dalla Rai: era il 1979. La vittima, una ragazza di 18 anni, che aveva un lavoro in nero, si era recata in una villa dove l'aveva invitata un conoscente ufficialmente per offrirle un lavoro stabile come segreteria. Era un tranello: il porco aveva invitato tre amici e tutti e quattro l'avevano violentata. Al processo, come sempre in questi casi, la vittima divenne imputata: "Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l'avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente". Val la pena di rileggerla mille e mille altre volte ancora questa frase, per aggiungere un quinto violentatore al gruppo. Roba d'altri tempi, si dirà. E invece no, perché quella roba d'altri tempi - già assurda in un Paese che appena qualche anno prima aveva fatto grandi conquiste di civiltà come le leggi su divorzio e aborto e il nuovo diritto di famiglia, grazie alla battaglia delle donne - torna oggi sotto forma di opuscoletto che in nome della "sicurezza" il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha fatto stampare in diecimila copie: un decalogo che le donne dovrebbero seguire per evitare di fare brutti incontri. Un decalogo fascista come il sindaco di Roma. Dove, sotto altra forma, torna lo stesso identico concetto dell'avvocato Zeppieri e di qualche altro milione di maschi italiani aspiranti stupratori: ve la siete cercata.
Un vademecum vomitevole già a partire dalla copertina, ovviamente su sfondo stucchevolmente rosa, che sembra la pubblicità di un assorbente per settantenni incontinenti e felici, e dal termine su cui si incentra tutto: quella "sicurezza" che è alibi di una destra fascista e violenta per alimentare paura e odio. Forse ad avere bisogno di un decalogo sono i maschi a cui andrebbero insegnati i termini dignità, rispetto e considerazione. Invece il maschio in fez e braccio teso, il federale di Roma, si è sentito in diritto di dire alle donne come comportarsi e in più di strumentalizzare un problema serio trasformandole da cittadine in acquirenti: alla prima presentazione dell'idea di vademecum, infatti, c'era anche l'amministratore di una società triestina venuto a sponsorizzare una specie di braccialetto elettronico che, "grazie" a una convenzione con il comune di Roma, le donne potranno acquistare alla modica cifra di 300 euro. Ma questi lo sanno o no che oggi come oltre trent'anni fa, come la vittima di quello stupro della fine degli anni Settanta, le donne sono costrette ad accettare lavori in nero e che spesso 300 euro sono tutto il loro stipendio? Non lo sanno, o forse sì, ma l'idea di tenere le donne al guinzaglio, di tenerle sotto controllo, per loro dev'essere irresistibile. Fosse per loro, ci metterebbero pure un microchip come si fa con il cane. E se proprio non ci riescono a tenerci chiuse "presso il caminetto", almeno ci spiegano - come si legge nel decalogo del fascista Alemanno datore di lavoro di picchiatori fascisti - che non devi "indossare vestiti particolarmente appariscenti se prendi la metro di sera da sola" e se invece sei in auto "guida tenendo la destra ma non accostarti troppo al marciapiede di strade isolate". Dimenticando che sono proprio gli uomini, quando vedono una donna camminare per strada, pure se indossa il burqa o se è una suora, ad accostarsi al marciapiede con la loro auto nella convinzione di riuscire ad abbordarle. Tanto noi ci stiamo, no?

mercoledì 27 luglio 2011

La fabbrica della morte

Centocinquanta morti per tumore ogni anno. Fra il 2004 e il 2007 sono stati seicentodiciotto e le persone che si sono ammalate di cancro fra il 2004 e il 2008 sono state più di quattromila. Centinaia i bambini nati malformati, chissà quanti quelli che non sono nemmeno riusciti a nascere. Anni di denunce, spesso lanciate nel vento.
Il Petrolchimico di Gela - il mito dell'industrializzazione degli anni Sessanta - è sempre lì a mietere vittime, con il ricatto del lavoro, anche quando smobilita e annuncia quattrocento licenziamenti tutti in una volta nel diretto che ne portano come conseguenza altre centinaia nell'indotto. Il Petrolchimico è sempre lì, con il suo carico di morte, perché ai padroni non conviene mettere in sicurezza gli impianti: che crepino pure i lavoratori. Il tumore viene anche dopo molti anni, dopo che hanno lasciato il lavoro, intanto però hanno prodotto.
Oggi nella fabbrica della morte la Guardia costiera, su disposizione del procuratore Lucia Lotti, ha sequestrato per violazione delle leggi sulla tutela ambientale una delle vasche della "discarica controllata" della Raffineria numero 4, un impianto destinato a contenere rifiuti speciali pericolosi e che, proprio per questo, dovrebbe rispettare senza deroghe le rigide disposizioni di leggi. Evidentemente non era così: i militari hanno scoperto che i teli della discarica che avrebbero dovuto coprire ben sette tonnellate di amianto erano lacerati in più punti così come le borse contenenti i rifiuti. Subito dopo, da analisi di laboratorio è emerso che si tratta della varietà di amianto chiamata amosite che anche a distanza di quarant'anni può provocare il mesotelioma pleurico ed è ritenuta da studi recenti la causa principale delle patologie respiratorie perché le sue fibre sono microscopiche ed entrano facilmente negli alveoli polmonari. Ma ci può stare quarant'anni appunto il tumore nascosto lì, giusto il tempo di andare in pensione.
Dopo la scoperta, la magistratura ha iscritto nel registro degli indagati per violazione del codice dell'ambiente quattro dirigenti della fabbrica, primo fra tutti l'amministratore delegato di "Raffineria di Gela srl", Bernardo Casa, che appena ieri, insieme ad altri tre manager del Petrolchimico gelese, aveva avuto notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari per un'altra vicenda saltata fuori nell'autunno del 2010 e per la quale sono stati ipotizzati i reati di falso e omissione delle necessarie misure per prevenire disastri o infortuni sul lavoro.
La scoperta fatta dagli inquirenti durante un'ispezione nell'area del pontile principale dello stabilimento è agghiacciante: in pratica le pompe del sistema antincendio sarebbero state collegate alle tubature che servono al passaggio degli idrocarburi e quindi c'era il rischio che, invece di essere spenti, gli incendi potessero essere alimentati da quei gas che si trovavano nel posto sbagliato. Con conseguenze immaginabili per chi fosse incaricato di domare il rogo o si trovasse in zona. Che certamente non erano i dirigenti, i quali probabilmente sapevano che le relazioni redatte dai tecnici dell'Eni sulla conformità dell'impianto antincendio non erano veritiere e servivano solo ad ottenere al più presto il via libera per la sua utilizzazione.
Prima o poi, forse, questi saranno processati e probabilmente anche condannati sia per la storia dell'amianto che per quella dell'impianto fasullo antincendio, ma intanto la gente in Sicilia continua a morire pur di lavorare.

Costituzionalmente omofobi

A volte i politici italiani mi sembrano quei bambini che, essendosi ingozzati di Nutella ed essendo stati costretti a correre in bagno, quando la mamma scopre il barattolo vuoto dicono che dev'essere stato il gatto e loro non ne sanno niente. Poi si scopre che un gatto in famiglia non c'è e allora il piccolo ingordo dà la colpa al cane, anche lui mai entrato in quella casa, e via via al canarino, al pesce rosso, alla tartaruga fino agli scarafaggi e alle formiche.
Arrampicarsi sugli specchi: è quello che hanno fatto e fanno sistematicamente per giustificare una porcata. E dunque il partito dell'immaginazione perversa al potere - e in particolare due suoi esponenti, particolarmente portati a questo tipo di esercizio fisico che vorrebbe giustificare l'ingiustificabile - si è profuso in una serie di motivazioni tragiche ma non serie. L'ultima puttanata messa a segno ieri alla Camera da un ampio schieramento di fascisti, democristiani, nazisti e baciapile - ai quali è stata affidata la gestione della succursale del Vaticano - è stato l'affossamento della legge contro l'omofobia (che prevedeva un'aggravante per i reati penali, se commessi nei confronti degli omosessuali), che questi fascisti, democristiani, nazisti e baciapile, sempre pronti a fare della Costituzione italiana lo stesso uso che Bossi fa della bandiera - da quando negano il lavoro a quando portano la guerra nel mondo -, hanno motivato innanzitutto invocando la Carta fondamentale, con la quale hanno impacchettato e infiocchettato l'ennesima discriminazione nei confronti dai gay. "Ci ha guidato il principio di uguaglianza di tutti davanti alla legge", ha spiegato soddisfatto il presidente dell'Udc, Rocco Buttiglione. Chissà com'è che, quando si tratta di consentire l'autorizzazione a procedere per un parlamentare, i muri li scalano anche a testa in giù pur di farlo diventare più uguale di altri davanti alla legge. Non contento, l'integralista cattolico padre di quattro figlie (non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a dio), ha spiegato che "Questa legge nasce sulla base culturale della cosiddetta 'discriminazione positiva': si attribuiscono cioè ad alcuni cittadini più diritti che ad altri, perché si ritiene sia un risarcimento per torti del passato, o perché si vuole favorire uno stile di vita giudicato positivo o da diffondere". Dopo di che, il talebano del crocifisso ci ha messo il carico, ammonendo che bisogna "stare attenti a non fare la propaganda a uno stile di vita omosessuale". Propaganda? Ma cos'è, una questione di marketing? Del resto, già aveva fatto (se possibile) peggio, qualche mese fa, su una vicenda analoga, il bulldog del Pdl, Carlo Giovanardi, anche lui tirando per i capelli la Carta Costituzionale, per il manifesto Ikea con la famiglia gay: "Offende la Costituzione", aveva tuonato, ribadendo che "la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio". Oltre che sulle corna. Ma chissà se gli è mai venuto in mente di sollevare un'eccezione di incostituzionalità nei confronti di Cosa nostra che di quel termine - famiglia - fa un tale abuso da giustificare in suo nome persino le stragi.
Ma, tornando all'omocidio della legge sull'omofobia, campionessa di arrampicamento sui muri senza rete è stata la vestale del cilicio, la pecorella smarritasi nel Pd e la figliola prodiga ultimamente ritornata a casa nell'Udc, Paola Binetti, che ha motivato l'affossamento della norma perché conteneva "l'idea di creare una categoria a parte, quella dei gay" mentre invece - pensate quant'è politicamente corretta! - sarebbe necessario "creare un clima di rispetto e accoglienza nei confronti degli omosessuali". Peccato (!) che, per la Binetti, gay sia sinonimo di pedofilo: non era stata proprio lei, due anni fa, quando il Vaticano ipotizzò test psicologici per gli aspiranti preti allo scopo di individuarne tendenze omosessuali e quindi escluderli dal sacerdozio, a giustificare questa decisione con il fatto che "proprio recentemente si è verificata la situazione drammatica dei preti pedofili"?

martedì 26 luglio 2011

Pdl, piddiellemenoelle, Pd, PdH

Partiamo da un presupposto: appartengo alla generazione del femminismo, il corpo non è un tabù, si fa pipì senza chiudere a chiave la porta del bagno, il reggiseno è una rottura di coglioni (specie quando - avendo ormai una certa età - l'artrosi ti obbliga a dolorosissimi contorsionismi per riuscire ad allacciarlo) nonché uno strumento di tortura anche se nato per sostituire quegli autentici strumenti di tortura che dovevano essere i corsetti, sono un'accesa sostenitrice del topless in spiaggia perché non capisco per quale motivo i maschi - pure se hanno una quarta flaccida - devono potersi alzare, passeggiare, giocare, restare a chiacchierare all'inpiedi per ore mentre noi - se non vogliamo diventare a stelle e strisce come la bandiera americana - siamo costrette a restare immobili come mummie a pancia in giù a mangiare la sabbia.
Quindi, a occhio e croce non sono una bacchettona e infatti mi è sembrato un po' esagerato il dibattito con polemica annessa sul manifesto scelto per la festa dell'Unità dal Pd di Roma, quello in stile Marilyn in "Quando la moglie è in vacanza" ma molto meno malizioso: la ragazza non era una bomba sexy, una vamp o una pornostar, ma - appunto - una ragazza qualunque, che calza le ballerine e istintivamente si porta le mani alla gonna quando il vento che sta cambiando (e sul quale il Pd ha messo il cappello) cerca di sollevargliela. E poi, fosse solo questo il problema del Pd!
Il problema è il Pd H (che non c'entra niente con Adèle H. la figlia pazza di Victor Hugo). Il Pd H è il Pd hard. Non solo quello dello spogliarello e, quindi, della mercificazione del corpo, di una specie di aspirante zoccola e l'altrettanto e più offensivo - perché spacciato per bilanciamento politicamente corretto - spogliarello e mercificazione del corpo di una specie di aspirante gigolò, che ha giustamente fatto imbufalire le donne di "Se non ora quando", quelle cioè che alcuni mesi fa avevano dato la sveglia all'Italia in nome della dignità femminile sistematicamente calpestata da quegli esseri preistorici che sono Berlusconi e i berlusconidi.
Il problema è il Pd hard. Quello osceno (e per fortuna non tutto) perché non è più nemmeno, come direbbe Beppe Grillo, pdiellemenoelle, ma perché ambisce a diventare in tutto e per tutto Pdl, con il suo carico di perversione, di festini, di corruzione, di disprezzo per la democrazia, di fastidio verso la stampa e la magistratura. Ora, onore (che però non cancella il disonore, se le responsabilità saranno accertate dalla magistratura) a Filippo Penati che ha lasciato le cariche e disonore al senatore Alberto Tedesco che si è guardato bene dal lasciare quella corazza di immunità/impunità che è il seggio al Senato e che in più ha ricoperto di insulti Rosi Bindi - la presidente del suo partito, autorevole per carica e per condotta - solo perché gli chiedeva di dimettersi. Ma disonore anche al segretario del partito, Pierluigi Bersani (non parliamo di D'Alema, tecnicamente craxiano), che non solo ha taciuto per giorni sull'inchiesta che vede coinvolto l'ex capo della sua segreteria politica, ma poi si è messo a pettinare le bambole tirando fuori la richiesta di “una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici pena l’inammissibilità a provvidenza pubbliche o alla presentazione di liste elettorali”. Ma davvero pensa che abbiamo l'anello al naso? Primo: se per caso l'avesse dimenticato, gli ricordo che le leggi le fa il Parlamento (per quanto sia stato privato delle sue prerogative) e quindi anche lui e i suoi compagni/amici che vi sono stati eletti/nominati. Secondo: un partito che voglia distinguersi dalla merda corrente non ha bisogno che gli si imponga l'onestà ope legis, ma si dota di regole interne e impone comportamenti irreprensibili dal primo dirigente all'ultimo militante. Terzo: abbiano almeno il buon gusto di non spacciarsi per eredi del Pci e di non appropriarsi delle commemorazioni di Enrico Berlinguer e Pio La Torre se poi la questione morale se la mettono sotto le scarpe e in Sicilia governano oscenamente con Raffaele Lombardo. Nel Pci per tesserarsi ci voleva uno che ti presentasse e garantisse sulla tua moralità. Ma il Pci non esiste più proprio per volontà di alcuni che oggi sono ai vertici del Pd arrivati persino ad affermare di non essere mai stati comunisti, e la diversità comunista fa talmente tanta paura che con tutti i mezzi - dagli sbarramenti elettorali ai sondaggi taroccati, che altro se non sono se non dei partiticidi - si fa in modo di oscurare l'esistenza dei comunisti. Che fa paura. Perché può succedere che un comunista ti metta in crisi e faccia vacillare certezze basate su corruttela e clientelismo se ti spiega che un posto di lavoro vorrebbe trovarlo per concorso e non perché conosce un politico, mentre la regola oggi è l'oscenità: che si tratti di uno spogliarello, di una raccomandazione o di una tangente.

giovedì 21 luglio 2011

Catania, cartoline dall'inferno







Caro senatore Stancanelli,
approfitto di questo Suo iperattivismo preelettorale, che all'improvviso le ha fatto scoprire di essere - del tutto casualmente - anche sindaco di Catania, per inviarLe alcune cartoline dall'inferno.
Da queste immagini noterà che, mentre Lei stabilisce nuovi e perentori orari per gettare la spazzatura, inaugura qualche centimetro di pista ciclabile, annuncia la nascita di improbabili nuove fabbriche e di improbabili posti di lavoro mentre, solo per fare qualche esempio, la Pfizer chiude e la Elco licenzia, vara regolamenti cimiteriali e apre persino un blog nel disperato tentativo di recuperare consensi (che ne dice, ce la farà a superare il 10-15% alla prossima tornata elettorale?) - forse perché anche a Lei è giunta voce di ciò che si dice di Lei a tre anni dalla Sua elezione in ogni bar, in ogni negozio, in ogni strada: Stancanelli? E chi l'ha mai visto! -, a Catania, nella città di cui Lei pare sia sindaco, la gente rischia quotidianamente di spezzarsi una gamba camminando a piedi o di scassare tutte e quattro le ruote dell'auto a causa di voragini nell'asfalto che somigliano tanto al cratere centrale dell'Etna oppure - come in via Beato Bernardo - dove i sanpietrini (ma non c'è traccia di battaglie di sessantottina memoria) saltano, schizzano in aria, esplodono e infine si accasciano al suolo che manco i fuochi d'artificio.
Dalle immagini noterà pure quel cesso en plein air che già Le segnalai altre volte (ma certamente Lei era troppo occupato per occuparsi della Sua città) e che è diventato il largo Paisiello, ma purtroppo non potrò trasmetterle quell'odore intenso di vespasiano di cui potrà godere se vi si recherà personalmente. A meno che qualche malattia da ragazzo non L'abbia privata dell'olfatto, eventualità che in questo caso potrebbe non essere una disgrazia. Anzi, a proposito, vorrei dire qualcosa a quel signore che alcuni mesi fa mandò una lettera indignata al quotidiano locale, con tanto di foto, per denunciare la scritta con la bomboletta, proprio accanto alla fontana, fatta da un ragazzo per augurare buon compleanno alla sua ragazza. Caro signore, a Lei ha dato fastidio una dichiarazione d'amore ma non si è accorto o non le ha dato fastidio, in quella piazza e in quella fontana piene di scritte, quella dei mafiosi ultras contro la tessera del tifoso. Io ho sempre paura di quelli che hanno paura dell'amore e francamente a quel ragazzo - dopo averlo rimproverato perché comunque non si fa - concederei le attenuanti generiche, perché lui quella scritta (una fra migliaia!) l'ha fatta proprio nel punto in cui più insopportabile è l'odore di urina. E se non è vero amore questo....
Ma torniamo a noi e alle nostre foto: caro Senatore casualmente sindaco, si è accorto, o dall'auto blu non si vede, che Catania è ancora sommersa dalla cenere dell'Etna? Si è accorto, o con l'auto blu non la fanno entrare, che il giardino Bellini tutto è fuorché un posto tranquillo dove passeggiare? Come non bastasse l'inquietante rigor mortis degli uccelli finti dell'architetto Galeazzi (che inducono a girare la testa dall'altra parte con raccapriccio e ad evitare di portarci i bambini per non rischiare qualche trauma infantile irreversibile), all'instabilità di alcune strutture metalliche già segnalata molti mesi fa si è risposto con la solita transenna che para il culo da conseguenze giudiziarie nel caso in cui qualcuno si faccia male. Continuando, si è accorto delle auto sui marciapiedi o sugli scivoli che dovrebbero rendere la vita meno pesante ai disabili, delle intere famigliole in moto senza casco, dei vigili urbani che non le notano? Si è accorto del Parco Falcone senza prato? Se non se n'è accorto, le mando qualche foto. L'unica che non posso mandarle, perché non mi posso permettere il lusso di portarmi la macchina fotografica al solarium di piazza Europa a rischio che me la rubino visto che non c'è alcun controllo, è quella riguardante quell'unico strato marrone uniforme che ricopre l'acqua del mare. No, non è posidonia: ma se fa un piccolo "sforzo", ci arriva da solo a capire di che si tratta. Ebbene, sappia che i ragazzi - naturalmente incoscienti - ci si fanno il bagno in mezzo a quello strato marrone che non è posidonia, a rischio di prendersi qualche malattia.
Sa una cosa? Lei mi ricorda quell'inquilino che ha qualche motivo di risentimento nei confronti del padrone di casa e che, al momento di lasciare libero l'appartamento, invece di pulirlo a fondo e restituirlo in maniera dignitosa, decide non solo di lasciarlo sporco ma anche di fare qualche danno, per puro sfregio. Bene. Lei tutto questo lo ha già fatto. Adesso se ne può andare, ci restituisca in fretta la nostra casa e non si faccia vedere mai più, altrimenti le facciamo pagare i danni.
P.S.: purtroppo non posso mandarLe le cartoline dall'inferno che ritraggono ciò che provano tutti quelli che a Catania hanno perduto il lavoro, lo stanno perdendo o non lo hanno mai trovato o di quei ragazzi costretti ad andarsene via come cinquant'anni fa (cervelli "in fuga" li chiamano, come se fossero dei criminali che scappano all'estero per sfuggire alla giustizia e invece sono cervelli respinti e rifiutati, proprio perché cervelli): gli stati d'animo non si possono fotografare. E quando li fotografi è perché disperazione e scoramento hanno già avuto la meglio: e solo allora Lei (e quelli come Lei) si precipiterà, contrito, ad esprimere cordoglio.

mercoledì 20 luglio 2011

La mutua, il mutuo e l'etica

Ci risiamo. In questo Paese in cui è andato a puttane persino il rapporto significato/significante, in cui eroe sta per mafioso, statista significa maniaco sessuale, responsabile è sinonimo di zoccola, criminale vuol dire immigrato, per diritto si intende favore e via così all'infinito, sapete come si chiama una medicina che costa un botto ma di cui non puoi fare a meno a rischio di schiantarti?
Ve lo dico dopo.
Prima dovete sapere che da una ventina d'anni soffro di una sindrome vertiginosa diagnosticata e curata nelle maniere più diverse dai vari "professionisti" (di questa ceppa). Non so se l'avete mai provata: ti giri nel letto e all'improvviso sei come il cestello della lavatrice durante la centrifuga, poi vomiti gli occhi, ti ricopri di sudore anche se ci sono 40° sotto zero, muori di freddo anche se ci sono 40° all'ombra, cominci a tremare e resti tutto il giorno come se ti avessero bastonato.
Labirintite da stress, mi disse una volta uno (e forse non si sbagliava poi tanto, visto che mi viene in situazioni di disagio, dopo un anno di lavoro o al termine di una campagna elettorale o di una stagione congressuale); macché, di labirintite si muore, mi disse una volta un altro. Finché un terzo, certamente grazie a una buona dose di culo, circa quattro anni fa non fece alcuna diagnosi ma azzeccò la terapia: sei mesi per tutti i giorni di un farmaco antivertiginoso non mutuabile. (Che poi tutto questo potrebbe essere metafora di un governo che ci ha ridotti alla vertigine da insicurezza, ci fa volteggiare sul precipizio della crisi tenendoci appesi a un filo sottilissimo e poi ci nega persino il diritto alla salute facendoci pagare i ticket sanitari.) Insomma, praticamente in mancanza di mutua fui costretta ad accendere un mutuo per curarmi. Ora che le vertigini sono tornate, però, dopo aver rimandato per alcuni mesi, mi sono finalmente decisa a ricomprarlo e prima sono andata su Internet perché non ricordavo il dosaggio. E sapete cosa ho scoperto? Ho scoperto che quella medicina che costa un botto, non è mutuabile, non è sostituibile con altre mutuabili e di cui non puoi fare a meno a rischio di schiantarti viene definita "farmaco etico".
Etico? Un ricatto sarebbe etico? Qualcuno mi può spiegare per quale minchia di motivo è etico un farmaco che se te lo puoi pagare bene, altrimenti ti attacchi al tram?

lunedì 18 luglio 2011

Paolo Borsellino: O . <--

Un cerchio, un punto al suo interno, una freccia rivolta verso il cerchio. La freccia è un uomo, un uomo maturo, uno con le spalle larghe, uno che ha imparato ad affrontare le cose più difficili e la malvagità del mondo. Eppure non perde la sua umanità. Il punto (il punto fermo, il punto di riferimento) è sua madre: il cerchio è il nido, la casa materna.
Quell'uomo era Paolo Borsellino e forse a dare la misura della sua grandezza è proprio quel suo modo essenziale e quasi infantile di segnare sull'agenda la consuetudine domenicale di far visita alla mamma, fra i tanti e importanti impegni di uno che tutti i giorni aveva appuntamento con la morte.
Lo ha raccontato suo fratello Salvatore, ieri durante la manifestazione delle Agende rosse, spiegando di averlo appreso da uno dei colleghi del magistrato ucciso dalla mafia vigliacca proprio una domenica pomeriggio, mentre tornava al nido, in via D'Amelio.
Non c'è molto da dire su questa abitudine "normale" di Paolo Borsellino, se non che l'emozione blocca le parole e i pensieri e che in questo momento suonano ancor più disgustose e indigeste le parole di chi - come Fabrizio Cicchitto - ancora una volta, obbedendo a un ben preciso ordine di scuderia, attacca Antonio Ingroia per aver denunciato che c'è una parte del Paese che non vuole sapere chi sono i responsabili di Via D'Amelio e aggiunge che il Pdl considera Falcone e Borsellino "non in modo retorico, non solo due personalità fondamentali della lotta alla criminalità organizzata ma anche portatori di qualcosa di più, come espressione alta di impegno di moralità e vivere civile". Parlano di moralità quelli che hanno trasformato le istituzioni in bordello e lo Stato in biscazziere (ora ci mancava solo il poker on-line) e che negano ai cittadini persino il diritto alla salute.
Come altrettanto disgustose risultano le dichiarazioni di chi dice basta alla "retorica delle commemorazioni" e sollecita verità sulle stragi non provando la minima vergogna ad affermare che "la politica deve essere credibile sostenendo e non ostacolando il lavoro dei magistrati e delle forze dell'ordine per fare piena luce su quella stagione fatta di collusioni con gli apparati deviati dello Stato e con la stessa politica". Cominci lui - Beppe Lumia, l'ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia - ad essere credibile troncando il perverso rapporto (di cui è artefice e strenuo sostenitore) del suo partito con un presidente di Regione indagato per mafia. Cos'è la sua, se non retorica delle commemorazioni?
Io preferisco le parole limpide, eroicamente umane, di chi ritiene che per onorare davvero Falcone e Borsellino "Il miglior modo è quello di essere cittadini attivi, non con atti di eroismo, ma con quel coraggio e quella responsabilità della cittadinanza. Rifiutare quel tentativo insistito di tenere i cittadini come sudditi teledipendenti, riscattando il proprio presente per avere un futuro più libero". Queste parole le ha dette Antonio Ingroia, che il suo nido professionale (e umano) lo ha costruito insieme a Falcone e Borsellino. Tutto il resto è ipocrisia e aria fritta, che fa male allo stomaco e ti dà la nausea.

venerdì 15 luglio 2011

Ruvolo I e Ruvolo II: i Menecmi di Ribera

Ieri mi sono imbattuta nella pagina Wikipedia in cui si parla dell'onorevole Giuseppe Ruvolo, detto Peppe, da Ribera, uno che si muove solo in difesa dei perseguitati politici: quando condannarono in via definitiva per mafia Totò Cuffaro (ex presidente della regione e prima, a lungo e nei governi più diversi, assessore regionale all'agricoltura), disse - giudice sui giudici - che la sentenza era sbagliata; ora che Saverio Romano (ministro dell'agricoltura) è imputato coatto per concorso esterno in associazione mafiosa parla di sentenza mediatica e per di più si esercita nello sport nazionale del centrodestra, il tiro all'Ingroia.
Insomma, ho letto una notizia e ho deciso di documentarmi. Ragazzi, nemmeno Plauto avrebbe potuto fare di meglio. Già, perché la prima notizia che dà Wikipedia su questo signore è che ha "un gemello monozigote, con il quale condivide gli impegni". E condivide vuol dire proprio condivide, cioè i Menecmi fanno a mezzi, perché l'enciclopedia online, dopo aver elencato una serie di fallimenti di studio e professionali (lauree inseguite e mai conseguite, fallimento della cantina sociale in cui lavorava, eccetera, fino alla decisione di scendere in campo nel 1980 candidandosi al consiglio comunale con la Dc) ci informa che a un certo punto quello che in seguito diventerà assessore all'agricoltura (e tre! ci avete fatto caso? il settore li accomuna) della sua provincia dal 1985 al 1990 "si ritira temporaneamente dalla politica per far spazio al fratello gemello Nino".
Ma come? E allora le cazzate su Ingroia che aspirerebbe a candidarsi a sindaco di Palermo chi le ha dette, Menecmo I o Menecmo II? Che la sentenza all'amico Totò era sbagliata l'ha detto Peppe o Nino? E il culo al governo Berlusconi, il 14 dicembre 2010, chi glielo ha responsabilmente parato, Nino o Peppe? E in aula come ci vanno, a giorni alterni? Come a scuola, se uno quel giorno si rompe i coglioni ad andare si presenta l'altro spacciandosi per il primo?
Che poi, diciamocela tutta, non è che ci fosse sto gran bisogno di un alter ego, perché Ruvolo (nel senso di Giuseppe) a moltiplicare pani, pesci e ruvoli e a trasformarsi in uno, nessuno e centomila che manco Arturo Brachetti, ci riesce benissimo da solo, senza l'aiuto del suo doppio. Stando infatti a quanto ci riferisce l'agiografo tecnologico, il ragionier Ruvolo inizia la sua carriera politica nella Dc e poi se li passa tutti: alla fine degli anni Novanta è "responsabile" (quando si dice il destino!) provinciale del Partito popolare, poi passa a Democrazia europea (e lo eleggono pure senatore infilandolo nelle commissioni - indovinate un po'! - agricoltura e antimafia), fonda l'Udc "venendo nominato - ci dice ancora l'encicolpedia - responsabile nazionale del dipartimento delle Politiche Agricole Forestali della Pesca del partito di Casini". Da parlamentare, nel 2004, fa l'infiltrato: con la Commissione antimafia, di cui è componente, partecipa alle indagini sulla provincia di Agrigento dimenticando di informare i colleghi parlamentari di esserne il vicepresidente. Ma forse non l'aveva dimenticato: è che quella volta c'era andato Menecmo II. Vicesegretario regionale dell'Udc, più volte rieletto in Parlamento, nel 2010 lascia l'Udc di Casini per l'Udc di Cuffaro, insomma per il Pid (Popolari per l'Italia di domani), a cui dà vita insieme a Saverio Romano, Calogero Mannino, Giuseppe Drago...insomma, tutte persone "di specchiata moralità": Drago è l'ex presidente della Regione scappato con la cassa, gli altri - chi più chi meno - sono la casa reale di mafiopoli. Tutti confluiti, in quota Pid e a riscuotere una tangente chiamata ministero - nel gruppo parlamentare di Iniziativa Responsabile incaricato di tenere con tutte le mani il respiratore attaccato alla bocca di Berlusconi (giusto per fargli capire come ci si sente a stare dall'altra parte).
La biografia si conclude con le ultime gesta di Ruvolo Giuseppe da Ribera, detto Peppe: nel marzo scorso - insieme alla Lega Nord e insieme all'Mpa di Raffaele Lombardo, i cui parlamentari fingono di non votare uscendo dall'aula - vota a favore della legge sul federalismo municipale. In pratica, sodomizza i suoi stessi elettori. O forse è stato suo fratello gemello monozigote.

giovedì 14 luglio 2011

I Quaderni dell'Ora: per una verità conquistata collettivamente




Presentata a Catania la rivista che riprende l'eredità dello storico quotidiano palermitano. - Le foto sono di Salvatore Torregrossa

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Ricerca di futuro e scavi di memoria. Da un lato un "ragazzino" che ha scelto di non emigrare - come è diventata, naturaliter, condizione congenita e disperante per un giovane nato e cresciuto in Sicilia -, di rinunciare a lavori sicuri ma certamente "noiosi" per farne uno di quelli che ti entrano nella pelle e non ne puoi fare a meno come l'aria; dall'altro un signore âgé che quel mestiere, anche lui, ha cominciato a farlo da ragazzino, poco più che ventenne, e che continua a farlo con lo stesso entusiasmo e spirito battagliero; in mezzo un altro uomo adulto che ricorda suo nonno morto di crepacuore dopo che i fascisti fecero saltare in aria la sede del suo posto di lavoro e che, anche lui giovanissimo, scelse di fare quello stesso mestiere del nonno.
Loro si chiamano Giuseppe Pipitone, Vittorio Corradino e Giuseppe Lo Bianco e il loro mestiere è quello che Gabriel Garcia Marquez chiama "la profesión más hermosa del mundo". Giornalisti. Giornalisti dell'Ora. No, non proprio in realtà: l'Ora non esiste più da molto tempo, però fa un certo effetto dire: "Giornalisti dell'Ora". E poi due di loro, i più grandi, lo sono stati davvero, mentre Giuseppe Pipitone non aveva ancora imparato a leggere quando il quotidiano palermitano chiuse i battenti. Adesso loro tre - insieme ad altri che quella stagione di battaglie civili hanno avuto la fortuna di viverla dall'interno e ad alcuni che non hanno fatto in tempo - quel giornale, quel giornalismo, lo fanno rivivere ne "I Quaderni dell'Ora", non più quotidiano ma rivista mensile, presentata a Catania insieme a Orazio Licandro, ex capogruppo del Pdci in Commissione parlamentare antimafia, e ad Antonio Ingroia, allievo di Paolo Borsellino e magistrato anch'egli in prima linea nella lotta alla mafia, che del mensile è componente del Comitato dei garanti. Ruolo - ha spiegato - accettato superando subito le remore per qualche critica, perché convinto della necessità che insieme alla magistratura, accanto e forse anche prima dei magistrati ci voglia un vero giornalismo d'inchiesta, di analisi, di dibattiti (che, chiarisce, sono ben altra cosa rispetto alle risse mediatiche cui siamo ormai abituati) e dunque un'opinione pubblica che pretenda chiarezza sui troppi misteri e buchi neri della storia italiana e siciliana, a partire dalla scomparsa del cronista dell'Ora Mauro De Mauro fino a quella dell'agenda rossa di Paolo Borsellino, nel giorno della strage di via D'Amelio, e in mezzo la trattativa fra Stato e mafia. Perché, secondo Ingroia, se non si fa chiarezza sulle origini della Repubblica non può esserci democrazia compiuta e non può esistere una democrazia "orfana di verità" e di una verità che "va conquistata collettivamente".
Come in fondo collettiva è stata la richiesta di far luce sulla sparizione dell'agenda di Borsellino: il movimento delle agende rosse, la pagina facebook, il tam tam sui social-network, e in mezzo il libro che proprio Giuseppe Lo Bianco ha scritto sull'argomento insieme a Marco Travaglio mettendo in fila in maniera organica fatti che tutti sapevano ma che appunto avevano bisogno di diventare di tutti. Giornalista che si fa scrittore Giuseppe Lo Bianco, giornale che si fa libro "I Quaderni dell'Ora" per approfondire e sistematizzare, per raccontare la Sicilia facendo quella che Orazio Licandro chiama una precisa "scelta di campo contro mafia, malgoverno, malaffare" e ricorda il desiderio di Vittorio Nisticò, grande direttore del quotidiano "L'Ora", di fare della Sicilia un angolo di mondo dove chi nasce ringrazia dio di esserci nato. E dove forse - grazie a un'informazione che decide di schierarsi dalla parte della verità, di raccontare e di giudicare la Sicilia - non sarà soltanto Giuseppe Pipitone a poter scegliere di restare, ma anche tutti gli altri suoi coetanei oggi migranti per condizione genetica.

martedì 12 luglio 2011

La Giovane Italia come Paul Vitti

Certo sono strani questi di Giovane Italia di Palermo. Giovane Italia (no, Mazzini non c'entra una mazza) è il movimento giovanile del Pdl, cioè il partito di Berlusconi, i cui militanti palermitani da qualche tempo si agitano molto per dimostrare la loro esistenza in vita, ma evidentemente hanno un po' di idee confuse.
Talmente confuse che qualche giorno fa sono riusciti a confonderle a molti, quando in maniera anonima, salvo svelarsi in serata, una mattina hanno fatto apparire per le strade del capoluogo siciliano una serie di striscioni di protesta ("Indagati e condannati, vogliamo fare i deputati") contro il salvataggio da parte dell'Assemblea regionale siciliana - popolata per un terzo da inquisiti - dell'incandidabile esponente del Pid, Santo Catalano.
Insomma, sembrava il moto di rabbia di cittadini infuriati e indignados per essere governati da fuorilegge e invece nell'ordine poteva essere:
1) guerra per bande
2) bisogno di apparire, in vista di qualche candidatura
3) stupidità o abuso di sostanze allucinogene: convinti di essere militanti di un partito degli onesti, i giovini della Giovine (Forza) Italia sono saliti sul predellino a dare lezioni di moralità.
Ma bisognerà farli controllare, perché un abuso una volta può passare, poi diventa dipendenza. E infatti oggi se ne sono usciti con un'altra azione "moralizzatrice": forse inconsapevoli di commettere il reato di appropriazione indebita del ricordo di Paolo Borsellino (che si starà rivoltando nella tomba), stavolta hanno affisso per le vie di Palermo dei manifesti con la foto di Massimo Ciancimino e il titolo "Tale padre tale figlio, oggi come ieri meglio un giorno da Borsellino che cento anni da Ciancimino". La spiegazione data dai figli del partito di Berlusconi, di Dell'Utri e di più o meno noti parlamentari nazionali, deputati regionali, consiglieri provinciali, comunali e di quartiere che vengono eletti grazie ai voti dei boss, sarebbe degna del Paul Vitti di Robert De Niro in "Terapia e pallottole". Pura crisi di identità.
Giudicate da soli: "Nell'era della costruzione mediatica dei falsi eroi dell'antimafia vogliamo ribadire quali sono i veri punti di riferimento dei giovani italiani. Per troppo tempo i soloni dell'antimafia, sempre pronti a dare lezioni non richieste di legalità, ci hanno propinato l'immagine di un Massimo Ciancimino ripulito ed in grado di svelare la verità sulle stragi del '92. Oggi vogliamo riaffermare che la vera famiglia da prendere ad esempio è quella di Paolo Borsellino, della moglie Agnese e dei figli, che in questi anni non hanno cercato notorietà e, seppur nel dolore, hanno continuato a credere nelle istituzioni e nella lotta alla mafia fatta non di parole ma di un preciso stile di vita".
Ma questi ci sono o ci fanno? Io vorrei ricordare loro che il primo a non credere nelle istituzioni è il capo del loro partito nonché - purtroppo per tutti noi - presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che un giorno sì e l'altro pure le istituzioni le infanga con la sua stessa presenza e per il quale i magistrati sono di volta in volta disturbati mentali, un cancro, antropologicamente diversi, eccetera. E vorrei ricordare loro che il magistrato forse più vicino a Paolo Borsellino, il suo allievo, che ne sta continuando l'opera in maniera rigorosa e irreprensibile, rispondendo solo alla legge, è cioè Antonio Ingroia, viene sistematicamente attaccato dal partito di Berlusconi e dai partiti del centrodestra, con quel che questo può significare per un magistrato anche sul piano dell'incolumità personale. Vorrei ricordare loro che Berlusconi si teneva in casa il capomafia Vittorio Mangano e che Marcello Dell'Utri lo definì "eroe" per essere stato omertoso.
Lungi da me dal difendere la famiglia Ciancimino in generale e il figlio di Don Vito in particolare, che pure un contributo ha dato allo svolgimento delle indagini ma che resta sempre un personaggio ambiguo, però una cosa voglio dirla ai giovani sudditi del premier: voi tenetevi i vostri eroi - Vittorio Mangano, Marcello Dell'Utri - e non toccate i nostri, magistrati che non si lasciano corrompere, persone normali che svolgono con impegno e onestà e sempre nel rispetto della legge il loro lavoro. Il fatto che Paolo Borsellino fosse "di destra" non vi autorizza a infangarne il nome pretendendo di manifestare in nome della legalità il giorno dell'anniversario della strage di via D'Amelio. Oppure cambiate partito. Ma dubito che in questo centrodestra possiate trovare qualcosa che si avvicini a un partito degli onesti.

lunedì 11 luglio 2011

La fabbrica di consulenze

Io non ho la mano ferma nemmeno se devo scattare una foto con una macchinetta digitale e, se dovessi girare un video col telefonino, certamente penserebbero che ho ripreso un intero reparto ospedaliero di malati del morbo di Parkinson, dunque non ho speranze, ma tutti quelli che ci sanno fare - preferibilmente ventenni, cresciuti bevendo nuove tecnologie sciolte nel latte del biberon al posto dei biscotti Plasmon -, quindi quelli che hanno documentato cariche della polizia mandata da governi di destra a sparare sui manifestanti, dal G8 di Genova agli scontri in Val di Susa, da oggi possono mettersi in fila per un avvenire assicurato come consulenti alla Regione Sicilia. O forse no. Perché nel loro curriculum, oltre a un video di 20 secondi girato durante l'alluvione di Giampilieri, devono documentare "l'esperienza maturata come pianista di pianobar per serate e organista per matrimoni su richiesta, nonché l'attività come professore privato di latino, greco, storia, filosofia e di avvio allo studio del pianoforte". E naturalmente avere qualche entratura negli ambienti del governo regionale. Altrimenti, potete pure essere stati allievi di Stanley Kubrick ma potete facilmente immaginare la collocazione del vostro filmino amatoriale.
Invece a Francesco Micali, ventiduenne vicepresidente dell'Associazione "Giovani di Giampilieri", il suo fermo immagine sull'acqua che scorre è valso - secondo quanto riporta "ASud'Europa", il settimanale del Centro Pio La Torre di Palermo, che ha stilato un elenco degli incarichi professionali elargiti a famigli e clientes dai potenti siciliani - una consulenza per "informazione alla cittadinanza delle zone alluvionate" e "progettazione e ripresa economica e sociale del territorio". Per fare questo riceverà in un anno mille euro per ognuno dei suoi anni di vita (come nella pubblicità del negozio di occhiali dove la percentuale dello sconto è pari ai tuoi anni). Ora possiamo immaginare che per l'attività di "informazione alla cittadinanza delle zone alluvionate" lo strumento di lavoro sarà il suo telefonino e la competenza consista nel saperlo tenere in mano (il telefonino) camminando per le strade del suo paese. Quello che non è chiaro è quali siano le competenze del ragazzino per quanto riguarda la "progettazione e ripresa economica e sociale del territorio". A occhio e croce per un incarico così impegnativo uno dovrebbe essere laureato in ingegneria, architettura, geologia, oppure economia, qualcosa del genere, e avere anche delle pubblicazioni ed esperienza professionale. E invece, andando a guardare punto per punto il "curriculum" messo in rete dal giovanotto, si scopre che è iscritto in Giurisprudenza (e fin qui ci potrebbe pure stare), che non è ancora laureato (a meno che non abbia dimenticato di aggiornarlo e comunque, data la giovane età, anche questo ci può stare) e che - Udite! Udite! - ha una buona conoscenza del pacchetto office e una buona navigazione in Internet. Ma, soprattutto (e qui qualche sospetto sulle entrature mi viene), che ha partecipato a dei congressi, uno dei quali organizzato dai Lions, e soprasoprattutto ha svolto "attività di animatore ed educatore presso l'Oratorio Salesiano 'Don Bosco' di Messina nonché di organista presso la parrocchia 'S. Nicolò' di Giampilieri". E che cazzo! Questi sì che sono titoli!
Esattamente come quello della signora Garcia Maria de los Angeles, che non è - come potrebbe indurre a pensare il nome - la protagonista di una telenovela brasiliana, ma la moglie argentina del capo dell'ufficio stampa della Regione nonché ex sindaco di centrodestra del comune di Sant'Agata Li Battiati, Gregorio Arena. E forse proprio grazie a questo "titolo" la dottoressa Garcia Maria de los Angeles, componente della segreteria particolare dell'assessore regionale al Bilancio, Gaetano Armao, è stata chiamata ad occuparsi di "trattazione delle tematiche connesse alla strategie di marketing volte ad aumentare la fruizione e la divulgazione dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana". Come dire, fried air. O qualcosa di simile alla supercazzola prematurata con scappellamento (ovviamente) a destra, che somiglia molto anche all'incarico conferito alla dottoressa Serafina Perra, forse rimasta disoccupata dopo aver ricoperto inutilmente il ruolo di assessore alla Cultura nella giunta provinciale di Catania quando il presidente era Raffaele Lombardo: "azioni di intervento in materia di Pubblica Istruzione e, in particolare, per l'affermazione nella popolazione studentesca di elementi costitutivi essenziali dell'identità siciliana". Tipo fargli imparare a memoria il cosiddetto "inno" della nazione sicula?
Poi, fra i tanti che prendono soldi da quella fabbrica di consulenze che sono gli assessorati regionali - per una spesa complessiva che supera il milione e duecentocinquantamila euro in appena sei mesi (pari a sei mesi di stipendio di mille persone normali), più della metà dei quali spesi dal presidente della Regione, e che quasi certamente potrebbe essere risparmiata ricorrendo alle professionalità interne -, sicuramente ci sono dei professionisti competenti. Ma certo fa un certo effetto fra questi trovare un nome di quelli che ritornano, quello di Alberto Stagno D'Alcontres, docente universitario ed esponente di una delle famiglie che contano in provincia di Messina. La stessa di Guglielmo Stagno D'Alcontres, ex rettore dell'Università, arrestato anni fa proprio nell'ambito di un'inchiesta su consulenze per centinaia di milioni di lire affidate dall'Ateneo sempre alla stessa persona.

mercoledì 6 luglio 2011

980 morti sul lavoro? Quisquilie!

Francamente non capisco. E infatti ho aspettato un po' a scrivere, volevo esserne certa. Confermo: non capisco e non mi adeguo. Non capisco tanto trionfalismo da parte di istituzioni e cosiddetti "enti preposti" e non capisco, non digerisco e non accetto tanto acritico servilismo da parte dei giornalisti.
Sto parlando della notizia diffusa ieri sul calo del numero di morti sul lavoro in Italia nel 2010 rilevato dall'Inail. Riporto un po' di titoli, sommari, occhielli, giusto per farci un'idea:
1) E' il risultato migliore dal dopoguerra;
2) Meno di mille morti sul lavoro, miglior dato dal dopoguerra;
3) Morti sul lavoro: sotto quota mille. E' prima volta da dopoguerra;
4) Abbattuto il muro dei mille morti sul lavoro.
E via così trionfaleggiando e mistificando. Ma, dico, di che stiamo parlando? E, soprattutto, come ne stiamo parlando. Intanto, comunque, stiamo parlando di 980 persone che andavano a lavorare per vivere e tutto avrebbero desiderato fuorché lavorare per morire. Perché è un ossimoro, una contraddizione in termini: il lavoro, per qualunque persona normale (esclusi, quindi, quelli che vivono di rendita, i trafficanti di droga e armi, le mantenute e simili) è la vita stessa ed è la dignità della vita. E invece in Italia lo scorso anno 980 persone sono andate a lavorare per morire e se anche c'è stata una minima flessione buon senso, buon gusto e immedesimazione al dolore dei parenti delle vittime vorrebbero che si evitasse quest'aria di festa come se il Paese intero avesse vinto una lotteria ultramiliardaria.
Anche perché, come sempre accade andando oltre a quanto vogliono farci sentire i moderni "strilloni" di regime, se vai in fondo e leggi il rapporto annuale dell'Inail o anche la semplice sintesi che ne fanno gli articoli (fidando sul fatto che quasi nessuno li legge e che i più si fermano alla lettura del titolo), scopri che c'è poco da festeggiare. E che c'è molto da incazzarsi.
Il documento parla di 980 morti nel 2010 contro i 1.053 dell'anno precedente, con un calo del 6,9%, e anche di una diminuzione degli infortuni, passati dagli oltre 790.000 del 2009 ai poco più di 775.000 dell'anno preso in esame, con un calo dell'1,9%; però basta leggere con un minimo di attenzione le parole del presidente dell'Inail, Marco Fabio Sartori (che, ovviamente, non rinuncia all'urlo di giubilo parlando di fatto di "straordinaria rilevanza"), per capire quanto sia fuori luogo tanta euforia. E non solo perché stiamo parlando di morti.
Allora, esaminiamo il testo: "Dopo il calo record di infortuni del 2009 - dice Sartori - in parte dovuto agli effetti della difficile congiuntura economica, il 2010 ha registrato un'ulteriore contrazione di 15.000 denunce (per un totale di 775.000 complessive) a conferma del miglioramento ormai strutturale dell'andamento infortunistico in Italia". Scusi, ma secondo lei abbiamo l'anello al naso? Calo "record" dovuto alla "difficile congiuntura" significa solo una cosa: che se nel 2009 eravamo nella merda dal punto di vista occupazionale e gli infortuni e le morti sul lavoro calavano semplicemente perché non c'era il lavoro su cui morire, oggi siamo ancora di più nella merda (e basta guardare i dati sull'aumento della disoccupazione). Non solo: è probabile che il primo calo registrato nel 2009 e quello ulteriore del 2010 siano dovuti non tanto al fatto che si muore e che ci si fa male di meno, ma al fatto che - proprio perché non c'è lavoro e la gente è talmente disperata da accollarsi qualunque cosa e quindi nessuna tutela, contributi, malattia, eccetera - forse si denuncia di meno: ti fai male, ti rialzi, raccatti i cocci, li riattacchi col Vinavil e ti rimetti a lavorare se non vuoi rischiare di perdere anche questo posto da schiavo. Infatti, Sartori parla di contrazione di denunce. Che non vuol dire necessariamente contrazione di incidenti. Non è la prima volta che un operaio precipita da un'impalcatura e il suo padrone si precipita non a soccorrerlo, ma a fare spostare il cadavere il più lontano possibile dal cantiere.
E poi c'è una novità: la supremazia delle donne, secondo un andazzo generalizzato in tutti settori. Più brave negli studi, più brave nel lavoro, fanno carriera ai vertici delle aziende (se sono stronze fanno carriera anche ai vertici di partiti e sindacati), guidano il clan quando il marito boss è in galera...ma qui c'è poco da scherzare, perché le donne - carne da macello, che più degli uomini sono costrette ad accettare lavori senza tutele - si fanno male e muoiono di più sul lavoro e quest'anno conquistano questo ulteriore primato: un migliaio di donne infortunate in più rispetto al 2009 e sette donne in più morte sul lavoro, che in termini percentuali vuol dire +9,7 in un solo anno. Ma per consolarci, i geni dell'informazione in combutta con i rilevatori di morti e feriti, ci spiegano che "va comunque tenuto conto che le donne rappresentano circa il 40% degli occupati". Appunto. Che vuol dire "va comunque tenuto conto"? Vuol dire che non solo sono più disoccupate degli uomini, ma che appunto quella percentuale di infortuni e decessi probabilmente andrebbe arrotondata per eccesso proprio alla luce di questo minor lavoro. Loro invece no: siccome le donne si fanno male solo per il 32% del totale e muoiono solo per l'8%, "Si deduce che il lavoro femminile è sicuramente meno rischioso". Più che altro non c'è il lavoro femminile e quando fai la cameriera o la badante - che è tutto ciò che i maschi riescono a concepire per una donna, anche se ha sei lauree - il più delle volte è un lavoro fantasma e se non precipitano dall'impalcatura possono precipitare da un balcone mentre puliscono i vetri. Dopo di che se ne vanno a casa e nessuno lo saprà mai e forse non potranno nemmeno mai più lavorare.
Continuando a leggere i dati, poi si scopre pure che invece nel 2010 rispetto all'anno precedente è stato un anno orribile per gli "stranieri" (leggasi: immigrati, anche in questo caso senza tutele, e non certo un docente dell'Università di Oxford venuto a tenere qualche lezione in Italia), perché gli infortuni sono passati da 119.240 a 120.135, cioè +0,8%, e che a questo incremento hanno contribuito in maniera significativa le donne - colf e badanti - con un +6,8%. "Migliore la situazione per i casi mortali" fra gli stranieri, ci dicono. Migliore? 138 morti invece che 144 sarebbe "migliore"? Sarebbe peggiore se anche di morto ce ne fosse stato uno solo! E invece, per loro, 980 morti in tutto sul lavoro in un solo anno anziché 1053 sono quisquilie.
Andatelo a raccontare a una madre derubata del proprio figlio o a una giovane sposa improvvisamente vedova, se ne avete il coraggio.

martedì 5 luglio 2011

Indagati e condannati, vogliamo fare i deputati

Ma tu guarda che pretese! A Palermo c'è qualcuno che, per il solo fatto di essere indagato o condannato, vuol essere candidato al "parlamento" regionale.
Buontemponi o ingenui? Fatto sta che stamattina nelle vie centrali del capoluogo siciliano sono apparsi degli striscioni: "Siamo indagati e condannati, vogliamo fare i deputati".
Eh, no, ragazzi. Non è che uno fa il deputato così. Intanto, come diceva Rocco Barbaro: anche nella ndrangheta non è che si entra così facilmente, "una volta si entrava per amicizie, ora visto che c'è crisi bisogna fare pure il concorso...anche nella ndrangheta....c'è una mafia!" E io aggiungerei: anche nella mafia c'è una ndrangheta... Non è che ti candidano solo perché sei stato condannato per aver camminato in costume da bagno in una località turistica il cui sindaco aveva emanato un divieto per compiacere le beghine del paese. Oppure, che so, perché sei un disoccupato affamato e hai rubato una confezione di uova. Non è che ora si mettono a candidare tutti i condannati, a rischio di danneggiare il buon nome dell'Assemblea regionale siciliana! C'è una graduatoria, devi presentare curriculum, sottoporti a un esame rigorosissimo e comunque è inutile che fai domanda se non hai commesso un certo tipo di crimine perché si viene candidati soltanto se indagati o condannati per alcuni reati di alto livello. Consultare l'elenco nel sito ufficiale dell'agenzia rapinatori seriali.
Titolo preferenziale, che fa schizzare ai primi posti della graduatoria, è avere rapporti con la mafia (e pure con la ndrangheta e la camorra, che fa punteggio). C'è il caso che ti facciano pure presidente di qualcosa con un curriculum così.
Poi, appena un gradino più in giù, ci sono i reati di corruzione, concussione, abuso d'ufficio, truffa ai danni dello Stato, appalti truccati, voto di scambio e simili. Comunque per maggiori chiarimenti e magari per un corso full immersion rivolgersi ai deputati dell'Mpa, del Pdl, dell'Udc e del Pid che sono dei veri maestri in questo e sotto la loro guida diventerete in men che non si dica candidabili. Tenete conto che se fate anche gli spacciatori e avete una fitta rete di clienti, siccome la candidabilità dipende anche dalla consistenza dei pacchetti di voti, avrete una chance in più.
Ma se pensate che vi spetti un posto all'Ars perché avete i coglioni che girano a mille a causa di questi delinquenti che ne occupano abusivamente un terzo e perché siete stati denunciati per aver partecipato a una manifestazione di protesta non autorizzata contro i 27 indagati e/o condannati su 90 che stanno rubando la vita ai siciliani, vi siete sbagliati di grosso perché in questa regione (e in questo Paese) le cose vanno all'incontrario: in galera ci va chi si batte per la legalità, per il lavoro, per l'ambiente mentre gli assassini di futuro vanno in Parlamento.
Leggo dalle agenzie che oggi pomeriggio durante la seduta d'aula gli ideatori degli striscioni faranno un presidio davanti a Palazzo dei Normanni, sede dell'Ars, per protestare contro il fango di cui gli "onorevoli" hanno ricoperto la nostra regione: spero che siano in tanti e che magari (senza fare danni, però) entrino, li prendano uno per uno per le orecchie e li buttino fuori a calci in culo. Solo per il gusto di fargli conoscere l'umiliazione: quella che giornalmente subisce chi si è fatto un culo così a studiare e ha un curriculum davvero di tutto rispetto ma è costretto ad emigrare o ad accettare lavori degradanti, chi va a sbattere contro una mafiosità diffusa che dà per scontata la raccomandazione, chi vede distruggere l'ambiente e i beni culturali da palazzinari e cementificatori senza scrupoli.

lunedì 4 luglio 2011

Quintultime volontà...ppi sbaddu

A un certo punto della vita, ti capita di accorgerti che la schiera di quelli che se ne sono andati si fa paurosamente più lunga di quelli che ci sono ancora. E così ti capita anche di pensare a quando arriverà il tuo momento. E, siccome in questi casi spuntano da ogni dove - infestanti come papaveri nei campi incolti all'inizio dell'estate - esecutori testamentari ed esegeti improvvisati che sostengono di conoscerti come le loro tasche e invece di te non sanno una beata minchia, due o tre cose ve le dico io in anticipo, un po' per gioco (ppi sbaddu, mi sembra l'espressione più corretta) e un po' no.
No, non sto facendo testamento: non ho quasi niente e ho un unico "erede", quindi non dovrebbe avere problemi. A meno che non decida di mettersi a litigare con se stesso. Sto solo per elencare le mie ultime (ma anche penultime, terzultime, quartultime, quintultime, insomma sempre le stesse da anni) volontà.
Dunque:
1) Nemmeno un centesimo al signor "poteriforti" per i necrologi, che servono solo ad arricchirlo ulteriormente;
2) Se proprio avete soldi da spendere, dateli al partito. Si chiamano contributi. Non parlate di "offerte", perché mi girano i coglioni anche da morta;
3) Funerale ateo nella sede del partito;
4) Colonna sonora:
a) Bella ciao, versione tradizionale e versione Goran Bregovic
b) l'Internazionale
c) Bandiera rossa
d) El pueblo unido eccetera
e) Chile herido
f) La chanson des vieux amants, cantata da Jacques Brel
g) Nothing compares to you, interpretata da Sinead O' Connor;
5) Verificate che ci sia la possibilità di recuperare qualche pezzo di ricambio che a me non serve più;
6) Sbriciolatemi e fatemi fare l'ultimo bagno ad Acicastello, dietro il castello. Sì, lo so che è vietato dalla legge, ma in vita ho commesso sì e no un paio di reati (reiterati, lo confesso): superamento dei limiti di velocità e scavalcamento della transenna che dovrebbe impedire di accedere alla scala che porta al castello e non serve per salvare la pelle alla gente, ma a parare il culo a tutti i sindaci che si sono succeduti negli anni - di centrodestra, di centrosinistra, di sopra, di sotto, ex fascisti diventati barricaderi, vedove nominate per diritto ereditario, figli di tangentisti... - senza porsi il problema di fare lavori seri di messa in sicurezza. Dunque, penso che un bonus di illegalità post mortem mi spetti. So anche che state pensando che così si inquina il mare. Ma, dico, avete un'idea di quello che state dicendo? Ad Acicastello non c'è l'ombra di una rete fognaria e quello che si produce si scarica direttamente in mare da secoli, che manco ai tempi delle palafitte. Provate ad andarci la mattina più o meno ad ora di colazione o ad ora di pranzo: la gente nelle case va al cesso, scarica e la gente in acqua fa il bagno (non metaforicamente) nella merda. Schifezza più, schifezza meno, che volete che sia?

P.S.: Non sono del tutto sicura di essere "nel pieno possesso delle mie facoltà mentali", mentre scrivo queste cose, ma d'altra parte questa è la mia condizione naturale. Quindi va bene così.

sabato 2 luglio 2011

Strage Farmacia: parole come macigni

Quando vai a un dibattito, a una conferenza stampa, a un convegno, ti aspetti che i "relatori" prendano la parola e non la mollino più, che ciascuno voglia la ribalta tutta per sé e - come spesso accade - si lasci andare a un monologo che ti sfianca.
Era decisamente anomala la conferenza stampa a cui ho assistito io ieri, perché i protagonisti parole non ne avevano. Non ne avevano le mamme di Agata Annino e Agostino Agnone, assassinati dai veleni dell'edificio 12, il laboratorio della facoltà di Farmacia di Catania; non ne aveva Lucio Lanza, che per la stessa ragione - per avere respirato metalli pesanti per anni, tutti i giorni, fino a dieci ore al giorno - ora si sveglia tutte le mattine con la morte appollaiata su una spalla come fosse la scimmietta del circo. Prima laureandi, poi ricercatori, Agata Annino, Agostino Agnone, Lucia Lanza e tutti gli altri, studenti, dipendenti dell'università: un esercito fra quelli che si sono ammalati e quelli che sono morti (almeno una quarantina, fra gli uni e gli altri, e chissà quanti non hanno ancora intuìto o non vogliono intuire il nesso fra la malattia e la permanenza in quel laboratorio), vittime di una strage silenziosa e omertosa, perché tutti o quasi sapevano ma nessuno parlava, nessuno prendeva provvedimenti. Tutti quelli che avrebbero dovuto sentirsi responsabili di quella struttura sapevano che in quel laboratorio si maneggiavano e si respiravano in continuazione agenti cancerogeni eppure non adottavano nessuna misura di sicurezza: lo sapevano perché ne venivano informati e lo dovevano sapere perché era il loro mestiere conoscere gli effetti dei composti chimici. Eppure non la sentivano questa responsabilità. La mamma di Agata Annino, insegnante in un istituto superiore da poco in pensione (la più "loquace" dei tre: ha tenuto il microfono per cinque minuti scarsi), lo ha detto: ragazzi grandi i suoi alunni, però lei la sentiva tutta la responsabilità per quei figli che i genitori le affidavano ogni giorno. "I nostri figli sono da buttare?" E si è presa ancora qualche secondo per spiegare che sua figlia, morta di tumore, in quella trappola ci era stata sei anni, tre per la tesi e tre per il dottorato, dalla mattina fino alle nove di sera, e stava lavorando alla ricerca di un vaccino contro i tumori. Bastano poche parole per lasciarti senza parole e senza fiato.
Poche parole anche dalla mamma di Agostino Agnone, ingegnere elettronico, che là c'era stato dal 1998 al 2006 e, senza che avessero nemmeno il tempo di accorgersene, "è passato dalla salute alla morte". E meno di due minuti ha impiegato Lucio Lanza, per spiegare che da anni convive con un tipo di leucemia che si contrae proprio stando a contatto con quelle sostanze che in quel laboratorio erano nell'aria, venivano sversate nei lavandini come fosse acqua, erano nel sottosuolo e arrivavano nelle falde acquifere. Una leucemia a decorso lento: "speriamo bene", ha concluso. Già, speriamo bene: due parole sole, agghiaccianti, per troncare di netto un discorso. Parole come pietre, macigni che ti schiacciano il petto e ti impediscono di respirare. E, d'altra parte, che vorresti dire? Cosa avrebbero dovuto dire Lucio Lanza e le due mamme? Solo poche parole, glaciali, quasi di circostanza, per nascondere fiumi di lacrime, chilometri di imprecazioni, autostrade di rimpianti, di dolore, di rabbia che non si può sedare di fronte a una strage premeditata. Strage premeditata. Come la vogliamo chiamare, dal momento che - in base alla relazione dei periti nominati dal tribunale, di cui ha letto i passaggi fondamentali l'avvocato Santi Terranova, che fin dal primo momento si è battuto per far venire fuori la verità - c'è stata una grave sottovalutazione del rischio da parte dell'università? Per chi avrebbe dovuto vigilare e tutelare la salute di chi là ci andava a studiare o a lavorare si trattava solo di un rischio moderato e invece il sito era chiaramente inquinato da sostanze cancerogene: questo vuol dire rischio medio-alto e necessità - prevista per legge - di un'attività di prevenzione continua e controlli sanitari periodici. Niente di tutto questo dai vertici dell'ateneo (primo fra tutti l'ex Rettore Ferdinando Latteri, oggi parlamentare dell'Mpa), che infatti nell'udienza preliminare fissata per l'8 luglio dovranno rispondere di omicidio colposo plurimo.
E però il sospetto che non di colpa ma di dolo si tratti ti viene forte quando il dottor Giacinto Franco, per un quarantennio a capo del reparto di Pediatria dell'ospedale di Augusta e fra i primi a mettere in relazione malformazioni e tumori con la presenza del polo industriale, spiega per filo e per segno quali effetti ha sulla salute ciascuno di quei metalli pesanti che in quel laboratorio erano concentrati. Perché il Rettore/medico non si è mai posto il problema? Perché altri, che dovrebbero essere uomini di scienza, non si sono mai posti il problema?
Domande e sospetti che si rafforzano ulteriormente nel momento in cui - praticamente a sorpresa, mi spiega l'avvocato Terranova, che spera in altri "risvegli di coscienze" nel corso del dibattimento - prende la parola il professor Ennio Bousquet, che per tre anni, fra il 1999 e il 2002, è stato Direttore del Dipartimento di Scienze farmaceutiche. E spiega di avere ripetutamente quanto inutilmente segnalato le anomalie di quel laboratorio agli "organi competenti", che rispondevano con "interventi temporanei e non risolutivi". Bousquet ha parlato di fognatura in comune per tutte le strutture di quell'edificio 12 e anche di frequente uso di sostanze radioattive, ma non sembra che nessuno abbia ritenuto opportuno dargli ascolto. Poche parole anche da lui, ma sufficienti a lasciarti di sale. E un'ulteriore denuncia: che il silenzio era legato all'ambizione o alla paura, perché se sei un giovane dottore di ricerca devi lavorare sodo e magari se fai notare che quell'edificio è a rischio non ti ci fanno mettere più piede; e se sei professore associato vuoi diventare ordinario e se sei professore ordinario aspiri a gestire la politica universitaria. E per passare di grado devi pubblicare le tue ricerche "con rapidità e scarse norme di sicurezza". Poche parole, che - secondo Terranova - faranno di Bousquet un "testimone chiave". Anche perché l'ex Direttore del Dipartimento ha parlato di situazione analoga (a parte qualche isola felice) in tutta Italia.
Perché l'università della Gelmini come quella di Latteri o di quelli come lui è così: produci, consuma, crepa. E quei ragazzi meno che trentenni, alla fine, non hanno nemmeno consumato. Si sono fatti consumare, si sono fatti spremere come limoni, hanno prodotto, magari hanno anche fatto ricerche di cui altri si saranno appropriati e poi gli hanno fatto anche il favore - a quest'università che, bossianamente, i meritevoli li vuole fuori dalle balle, da morti o da migranti - di morire prima che il loro lavoro fosse riconosciuto, prima di avere il tempo di rivendicare i loro diritti.