giovedì 14 luglio 2011
I Quaderni dell'Ora: per una verità conquistata collettivamente
Presentata a Catania la rivista che riprende l'eredità dello storico quotidiano palermitano. - Le foto sono di Salvatore Torregrossa
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Ricerca di futuro e scavi di memoria. Da un lato un "ragazzino" che ha scelto di non emigrare - come è diventata, naturaliter, condizione congenita e disperante per un giovane nato e cresciuto in Sicilia -, di rinunciare a lavori sicuri ma certamente "noiosi" per farne uno di quelli che ti entrano nella pelle e non ne puoi fare a meno come l'aria; dall'altro un signore âgé che quel mestiere, anche lui, ha cominciato a farlo da ragazzino, poco più che ventenne, e che continua a farlo con lo stesso entusiasmo e spirito battagliero; in mezzo un altro uomo adulto che ricorda suo nonno morto di crepacuore dopo che i fascisti fecero saltare in aria la sede del suo posto di lavoro e che, anche lui giovanissimo, scelse di fare quello stesso mestiere del nonno.
Loro si chiamano Giuseppe Pipitone, Vittorio Corradino e Giuseppe Lo Bianco e il loro mestiere è quello che Gabriel Garcia Marquez chiama "la profesión más hermosa del mundo". Giornalisti. Giornalisti dell'Ora. No, non proprio in realtà: l'Ora non esiste più da molto tempo, però fa un certo effetto dire: "Giornalisti dell'Ora". E poi due di loro, i più grandi, lo sono stati davvero, mentre Giuseppe Pipitone non aveva ancora imparato a leggere quando il quotidiano palermitano chiuse i battenti. Adesso loro tre - insieme ad altri che quella stagione di battaglie civili hanno avuto la fortuna di viverla dall'interno e ad alcuni che non hanno fatto in tempo - quel giornale, quel giornalismo, lo fanno rivivere ne "I Quaderni dell'Ora", non più quotidiano ma rivista mensile, presentata a Catania insieme a Orazio Licandro, ex capogruppo del Pdci in Commissione parlamentare antimafia, e ad Antonio Ingroia, allievo di Paolo Borsellino e magistrato anch'egli in prima linea nella lotta alla mafia, che del mensile è componente del Comitato dei garanti. Ruolo - ha spiegato - accettato superando subito le remore per qualche critica, perché convinto della necessità che insieme alla magistratura, accanto e forse anche prima dei magistrati ci voglia un vero giornalismo d'inchiesta, di analisi, di dibattiti (che, chiarisce, sono ben altra cosa rispetto alle risse mediatiche cui siamo ormai abituati) e dunque un'opinione pubblica che pretenda chiarezza sui troppi misteri e buchi neri della storia italiana e siciliana, a partire dalla scomparsa del cronista dell'Ora Mauro De Mauro fino a quella dell'agenda rossa di Paolo Borsellino, nel giorno della strage di via D'Amelio, e in mezzo la trattativa fra Stato e mafia. Perché, secondo Ingroia, se non si fa chiarezza sulle origini della Repubblica non può esserci democrazia compiuta e non può esistere una democrazia "orfana di verità" e di una verità che "va conquistata collettivamente".
Come in fondo collettiva è stata la richiesta di far luce sulla sparizione dell'agenda di Borsellino: il movimento delle agende rosse, la pagina facebook, il tam tam sui social-network, e in mezzo il libro che proprio Giuseppe Lo Bianco ha scritto sull'argomento insieme a Marco Travaglio mettendo in fila in maniera organica fatti che tutti sapevano ma che appunto avevano bisogno di diventare di tutti. Giornalista che si fa scrittore Giuseppe Lo Bianco, giornale che si fa libro "I Quaderni dell'Ora" per approfondire e sistematizzare, per raccontare la Sicilia facendo quella che Orazio Licandro chiama una precisa "scelta di campo contro mafia, malgoverno, malaffare" e ricorda il desiderio di Vittorio Nisticò, grande direttore del quotidiano "L'Ora", di fare della Sicilia un angolo di mondo dove chi nasce ringrazia dio di esserci nato. E dove forse - grazie a un'informazione che decide di schierarsi dalla parte della verità, di raccontare e di giudicare la Sicilia - non sarà soltanto Giuseppe Pipitone a poter scegliere di restare, ma anche tutti gli altri suoi coetanei oggi migranti per condizione genetica.
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