lunedì 6 settembre 2010

Il comitatone d'affari

Dalle indagini sulla cricca dei Servizi sociali di Catania al libro dei favori: da questo pezzo, scritto per il numero in uscita di Casablanca, emerge chiaramente come in Sicilia la sudditanza a Lombardo non abbia colore politico e come la Prima Repubblica non sia mai finita


La verità è che – al di là degli scontri sul governo, delle discussioni su chi sia maggioranza e chi opposizione, delle rivendicazioni di paternità a proposito di riformismo, dei correntismi, degli spezzettamenti e delle ricomposizioni anomale; e da qualunque parte la si guardi e anche a costo di apparire qualunquisti – l’inchiesta sulla cricca catanese dei servizi sociali, con tutte le indagini correlate come quella sul famoso libro delle clientele di Lombardo o l’altra su presunti rapporti con la mafia, svela come, al momento di spartirsi la torta (non solo soldi, ma soprattutto voti e dunque potere), Catania e la Sicilia siano in mano ad un unico, enorme comitato d’affari che mette radici nella Prima Repubblica e continua a proliferare nella cosiddetta Seconda Repubblica.
Per accorgersene, basta spulciare i nomi dei 16 arrestati e dei 55 indagati dell’inchiesta che ha svelato l’esistenza di un vero e proprio “sistema” per aggiudicare agli amici gli appalti per servizi (che spesso non venivano nemmeno erogati) alle fasce sociali più deboli: uno a me e uno a te, uno a Lombardo e uno a Firrarello, uno all’Mpa e uno al Pdl - compreso qualche esponente di An -, e poi sindacalisti Cisl, candidati di presunte liste civiche/civetta legate al sindaco Stancanelli, qualche ex socialista magari non transitato in Forza Italia e nelle sue successive metamorfosi, ma certamente rimasto con le mani in pasta. Con ruoli determinanti, comunque, degli uomini di Raffaele Lombardo. Tanto che la procura di Catania, forse anche sollecitata da un video del giornalista Antonio Condorelli passato sul sito del quotidiano “Il fatto”, ha deciso di estendere le indagini e cominciare a esaminare anche il “libro delle clientele” saltato fuori all’indomani dell’elezione del presidente della Regione.
E’ del Movimento per l’autonomia, ad esempio, l’ex assessore alle Politiche sociali della giunta Scapagnini, Giuseppe Zappalà, arrestato perché secondo il procuratore aggiunto di Catania, Michelangelo Patanè, era il “referente politico” dell’ideatore della megatruffa ai danni dei più deboli: quell’Ubaldo Camerini (anch’egli finito in cella, ma per il tempo di un batter di ciglio), responsabile del settore amministrativo dell’assessorato oltre che del distretto socio-sanitario numero 16, non nuovo a quanto sembra a maneggi e dimostrazioni di arroganza di ogni genere, come dimostra un’altra inchiesta della magistratura catanese, dell’ottobre 2009, dalla quale è emerso che il direttore dei Servizi sociali e la sua banda avevano magicamente trasformato in premi di produzione per il personale oltre cinquanta dei poco più di settanta milioni di euro del progetto “Estate sicura” 2004 che prevedeva l’acquisto di condizionatori d’aria per i vecchietti. Ovviamente, se è vero quanto riferiscono alcuni dipendenti comunali, nella gamma delle manifestazioni di arroganza non poteva mancare l’isolamento e poi l’epurazione di collaboratori che avevano il grave torto di essere “persone per bene”.
Zappalà, come da copione, al momento dell’arresto è stato colto da malore (che gli viene sempre dopo, quando vengono beccati con le mani nella marmellata, e mai prima di compiere le loro porcherie) e così ha vinto una vacanza a casa. Anche se sembra che una casa non ce l’abbia, perché i magistrati avevano emesso anche nei suoi confronti (come in quelli di Camerini) un provvedimento di sequestro di beni e hanno scoperto che risulta nullatenente, povero in canna. Un’epidemia, quella del malore postumo, che ha colpito anche Nino Novello, avvocato e dirigente dell’Unione italiana ciechi, rappresentante legale della cooperativa “Città del Sole” (il cui nome rende omaggio all’opera di Tommaso Campanella “che – si legge sul sito della coop – propone un modello ideale di società di giustizia e di uguaglianza ed, insieme, l’utopia di un totale rinnovamento civile e spirituale” e che da quasi un ventennio è assegnataria di appalti e finanziamenti vari, da sola o nel ruolo di capofila, come è accaduto nel 2009, quando la Fondazione Sud stanziò trecentomila euro per un progetto di recupero dell’arte dei pupari da far conoscere anche a giovani non vedenti), dirigente regionale della Lega delle Cooperative, associazione che nelle ore successive all’operazione del Carabinieri (arrivata a conclusione di due anni di indagini) lo aveva sospeso dalla carica, “in ottemperanza al codice etico”, ma pochi giorni dopo lo ha reintegrato e rinnovato la fiducia motivando la decisione – si legge in un comunicato di sfida al senso del ridicolo – “alla luce degli sviluppi della vicenda giudiziaria di Catania”. Come se gli arresti domiciliari fossero una sentenza di assoluzione.
Emblematica la vicenda di Novello e della sua assoluzione per sentenza di Legacoop – che rappresenta le cooperative tradizionalmente etichettate “di sinistra” -, perché dà la misura di quel grumo di interessi trasversali che come un blob avvolge e soffoca la Sicilia impedendo qualunque sussulto di dignità a un popolo stremato: nella terra di Raffaele Lombardo e dell’opposizione che non fa opposizione, se vuoi lavorare ti serve la raccomandazione; se hai bisogno di un trapianto, ti serve la raccomandazione; persino se devi iscrivere il bambino all’asilo ti serve la raccomandazione. E’ questo quello che emerge dal libro delle clientele di Raffaele Lombardo, migliaia di clientes e di favori elargiti a destra e a manca; ed è questo che ha evidenziato fra le righe ma non troppo Sonia Alfano, durante una conferenza stampa tenuta nel maggio del 2008 dopo la scoperta di questo documento zeppo di nomi e di casi umani di ogni genere, oltre che di politici di ogni schieramento, quando chiedeva dove fosse finito “il capo dell’opposizione” siciliana e aggiungeva che quell’incontro con i giornalisti avrebbero dovuto indirlo “la senatrice Finocchiaro e il Pd siciliano”. Già, e come avrebbero potuto dal momento che (molto prima che persino Beppe Lumia decidesse inspiegabilmente di fare da stampella al “riformatore” Lombardo) i nomi di alcuni esponenti di quel partito figurano fra i questuanti? C’è bisogno di un grande lavoro di intelligence, per esempio, per scoprire chi è quel G. V., “deputato regionale e sindacalista” (ne parlava Antonio Condorelli in un articolo su Centonove) che chiede una docenza a Palermo per una laureata in Ingegneria?
Ma dal “libro” emerge anche il ruolo fondamentale dei Servizi sociali, settore che vive su fondi statali vincolati e che dunque non possono venir meno in caso di insolvenza del comune (come è il caso di Catania): referente il solito ex assessore Zappalà, fra le associazioni che chiedono un finanziamento (centomila euro) per un progetto redatto facendo riferimento alla legge 285, c’è per esempio la Muoversi per gli altri. Acronimo: Mpa.
Stupisce però – e secondo alcuni uomini di legge è difficile che si tratti di un fatto di prescrizione dei reati – che la magistratura catanese abbia limitato le sue indagini sulla cricca dei Servizi sociali a un periodo relativamente recente, trascurando invece quello in cui l’assessore era Forzese (della cui gestione “spregiudicata” parlano in molti, ricordando le convenzioni con case di riposo o di accoglienza dei minori “a costo pieno”: l’appalto prevedeva dieci e – a quanto si dice - veniva pagato per dieci, anche se gli assistiti reali erano tre) e soprattutto in cui accanto a un sindaco vanesio ed evanescente sedeva e comandava un vicesindaco molto potente: Raffaele Lombardo.

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