Leggo le dichiarazioni di esponenti politici e sindacali all'agguato in cui è rimasto gravemente ferito questa mattina a Torino il capogruppo dell'Udc in consiglio comunale e candidato sindaco del Terzo polo alle amministrative del 2011, Adriano Musy, e non so se essere stupita, esterrefatta o terrorizzata.
Intanto per il tempismo: Musy non aveva fatto in tempo a cadere a terra e già arrivava il fiume di parole, tutte uguali, preconfezionate: prima di tutti i vertici nazionali e locali di Udc e Fli, poi quelli di tutti gli altri, senza sosta. E poi, soprattutto, perché hai la sensazione che qualcuno quasi ci sperasse.
Tutte le notizie riguardanti le indagini subito aperte sul ferimento, infatti, parlano di due piste: quella professionale (Musy fa l'avvocato), forse privilegiata, e quella genericamente personale che vuol dire tutto e niente.
Ma allora perché (a parte la coincidenza temporale con la strage terroristica di cui è appena rimasto vittima il mondo del lavoro), immediatamente, in coro tutti hanno fatto intravvedere lo spettro del terrorismo?
Sarà sufficiente riportare alcune di queste dichiarazioni.
Il primo, al quale comunque si può forse concedere l'attenuante del dramma personale, è stato il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi Calabresi, assassinato negli anni di piombo: "...un professore colpito sotto casa è il film peggiore del Paese e fa grande angoscia".
Poi è stata una slavina. Il segretario regionale dell'Udc, Alberto Goffi, ha parlato di "tensioni sociali" in aumento; il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti (Pd), ha retoricheggiato con "uno sforzo di unità per combattere e isolare ogni forma di violenza"; il deputato piemontese del Pdl, Enrico Pianetta, ha sancito "il pericolo di un ritorno agli anni bui della violenza terroristica e criminale" senza dimenticare, pancia in dentro e petto in fuori, di precisare che "siamo determinati a salvaguardare l'assetto democratico della città di Torino e di questo paese"; l'immancabile sindacalista di governo, Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ha messo in guardia contro "il clima che può diventare arroventato" e lanciato un appello a "moderare i toni"...
Mi fermo qui, più o meno a mezzogiorno, e riprendo l'ultima che mi capita sott'occhio, quella di Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc, secondo il quale "questi gesti sono comunque la spia di un deterioramento politico e sociale che alimenta la vile follia di chi vuole approfittare delle difficoltà italiane per seminare violenza.
Dal momento dell'agguato al primo pomeriggio le notizie sull'argomento sono state circa settecento e la proporzione fra chi esprimeva soltanto solidarietà e auguri di pronta guarigione e chi invece soffiava sul fuoco è stata, a occhio, di uno a quattro.
Nel frattempo le agenzie ogni due per tre ribadivano che "a quanto si apprende da fonti investigative, quella del terrorismo al momento non sarebbe la pista privilegiata", ma quelli - volutamente sordi - non demordevano.
Spero con tutto il cuore che Musy non riporti conseguenze serie da questa storia. Per l'umana solidarietà che si deve a (quasi) tutti, ma soprattutto perché invece a qualcuno forse avrebbe fatto comodo una vittima - come D'Antona o Biagi e tutti gli altri prima di loro -, da usare come uno scudo acuminato e avvelenato contro i lavoratori.
E, quanto al "moderare i toni" auspicato dal sindacalista giallo, se c'è qualcuno che usa toni aggressivi e arroganti - tipici di chi vuol avere ragione a tutti i costi - è questo governo che quotidianamente insulta i lavoratori e i pochi rimasti a difenderli e sembra davvero voler fare di tutto per inasprire gli animi e trovare un modo per ridurre ulteriormente diritti e libertà.
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