mercoledì 27 settembre 2017

Morti nere

Ieri ne sono morti altri due. Per trovare notizie che li riguardassero ho dovuto scorrere fino in fondo la pagina del sito di un grande quotidiano nazionale. Prima c’erano le elezioni in Germania, lo scandalo dei baroni universitari, gli arresti per ‘ndrangheta in Lombardia; poi i vaccini, lo ius soli; in mezzo una serie di menate: principi che camminano mano nella mano, Noemi Letizia che si separa dal marito dopo tre mesi di matrimonio, i baci Perugina con i bigliettini in dialetto, una miss che cade in piscina. Alla fine, molto alla fine, li ho trovati: cronaca locale, poche righe. Chi se ne frega.
Tiziano aveva 41 anni: è precipitato a Foggia dentro un silos di grano dopo essere stato colpito dalle esalazioni ed è morto soffocato. Di lui le cronache non ci dicono nient’altro.
Mario di anni ne aveva 38 e aveva pure una moglie e due figli piccoli. È morto poco distante, a Stornara, schiacciato da una fresatrice mentre lavorava nei campi.
Curioso: il frumento e la terra, cioè i simboli della vita, che ti danno la morte. Ma il frumento e la terra non c’entrano niente con queste che chiamano «morti bianche» e invece sono nere come l’omicidio: omicidio sul lavoro in un Paese dove il lavoro non c’è e quando arriva te lo prendi comunque sia, senza andare troppo per il sottile, senza rivendicare tutele e misure di sicurezza. E quando muori, avanti il prossimo. Così possono dirci che c’è un occupato in più.
Tiziano e Mario sono solo gli ultimi di una lunga serie. Soltanto a settembre da nord a sud ne ho contati almeno una dozzina. Molti forse non ce li raccontano. E non ci raccontano nemmeno gli infortuni sul lavoro perché spesso non vengono nemmeno denunciati per non rischiare il licenziamento. Se vai a cercare i dati, scopri che nei primi sette mesi 2017 le morti sul lavoro sono aumentate dell’1,3% e gli incidenti del 5,2%. Settembre ancora non c’era in questi numeri. Fra qualche tempo scopriremo che il mese della ripresa del lavoro ha fatto riprendere anche morti e infortuni.
Ci saranno gli articoloni nel momento dei dati ufficiali e delle dichiarazioni ministeriali, ma gli altri giorni soltanto qualche “breve”, poche righe, un operaio qua, un bracciante là, un nero forse non avrà nemmeno quello; vengono a rubarci il lavoro, non vorranno rubarci anche la morte?
Ma poi bisogna fare spazio alle notizie che ci fanno fare tanti clic e fanno guadagnare gli editori: le stesse che un secolo fa venivano affidate agli strilloni, le stesse che secondo alcuni “maestri” di giornalismo meritano un posto in prima fila. Già, quelli che si credevano padroni, organici al sistema, e invece erano le colf dei padroni, ci spiegavano che nella gerarchia delle notizie bisognava tenere presente la regola delle tre S: sesso, sangue e soldi. E qui oggettivamente di sesso, dopo una giornata che ti ammazzi di lavoro, non vuoi sentirne parlare, nemmeno di quello “canonico”, che non fa notizia; soldi non se ne vedono, solo paghe che somigliano a elemosine, la grande finanza nemmeno se ne accorge, i ministri economici se ne sbattono; e, quanto al sangue, sì, c’è: ma non è quello che interessa agli sciacalli, ai cultori della curiosità malata, a quelli che cercano tutti i particolari in cronaca e più sono raccapriccianti e più godono.
Un morto sul lavoro non ha appeal, non serve ai governi per raccontarci palle sull’occupazione, non attira gli inserzionisti pubblicitari. Un morto sul lavoro non esiste. Ma forse, al contrario, sarebbe ora che qualche direttore di giornale e qualche giornalista decidessero un atto di insubordinazione, stravolgendo le gerarchie classiche, capovolgendo l’ordine delle notizie. Perché il prodotto cambia se invece che il mostro in prima pagina ci sbatti il morto (sul lavoro).

Così forse si capisce quali sono le priorità, senza dover arrivare in fondo. Senza toccare il fondo.

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