martedì 14 giugno 2011

Catania città dei primati



Vogliamo fare un po’ di conti? Così, giusto perché non guasta un po’ di sano masochismo, dopo il “legittimo godimento” dovuto al risultato dei referendum del 12 e 13 giugno.
E allora facciamoli questi conti, mettendo in fila un paio di addendi e poi anche qualche fattore, per scoprire che Catania è la città dei primati:
Catania – secondo quanto emerge dal dossier Mal’aria 2011 di Legambiente - è una delle città più irrespirabili d’Italia
PIU’
Catania è l’ultima in classifica (centotreesima su centotre) fra le città d’Italia per qualità della vita, in base allo studio Ecosistema urbano 2010 sempre di Legambiente e di Ambiente Italia
PIU’
Catania è la città in cui oltre l’80% dei commercianti paga il pizzo
PIU’
Catania, in base ai dati del rapporto Istat 2010, è la città dove la disoccupazione giovanile è arrivata al 50%
PIU’
Catania è la città dove cresce il numero delle donne disoccupate e di quelle che non cercano più lavoro
PIU’
Catania è la città con il maggior numero in assoluto di centri commerciali e questo, a quanto si legge nel Rapporto RES 2010, che parla di “dimensioni abnormi della crescita” recente, alimenta “notevoli dubbi circa la possibilità che ‘dietro a ciò che appare si nasconda qualcos’altro’ e cioè che la criminalità organizzata abbia fiutato l’affare, riciclandosi rispetto agli ambiti tradizionali di inserimento”
PIU’
Catania è la città in cui – sempre facendo riferimento a studi delle associazioni ambientaliste, oltre che ai nostri polmoni e alle nostre orecchie – la principale causa di inquinamento atmosferico e acustico è il traffico automobilistico (a proposito, sembra che il sindaco Stancanelli, di passaggio dalla città, abbia scoperto che ci sono i parcheggi scambiatori e che erano rimasti inutilizzati: non vorrei dargli un dispiacere, ma lo informo che i parcheggi scambiatori erano stati realizzati quando al governo della città c’era il centrosinistra e sono rimasti inutilizzati da quando c’è il centrodestra che invece punta a farli sotterranei e in centro per assegnare un bel po’ di appalti a cementificatori e palazzinari)
PER
Catania è la città ultima in classifica fra tutte le città italiane per affluenza alle urne (appena il 40% e ci è andata pure bene) nella consultazione referendaria del 12 e 13 giugno.
UGUALE
Catania è una città di merda.

E però siccome certe affermazioni così perentorie vanno anche spiegate, provo a dire quello che penso. Di fronte a tutto questo, i catanesi continuano ad esercitare la loro indolenza e a non esercitare il diritto di voto. O, forse, a non esercitarlo quando non vedono un riscontro immediato, cioè il pacco di pasta, la lavatrice, il posto di lavoro (anche se in nero e a tempo determinatissimo), rifiutandosi di capire che la differenza che passa fra un suddito e un cittadino sta fra l’altro anche nel diritto di voto, nel diritto a decidere del proprio futuro. Loro no, a votare non ci vanno, e magari fosse per presa di posizione politica per quanto non condivisibile: non ci vanno perché pensano che la cosa non li riguardi. Tranne quando si tratta di altro tipo di elezioni e al voto corrisponde qualcosa: un impiego a tre mesi in un’azienda di pulizie o la promessa di un impiego a tre mesi in un’azienda di pulizie. Qui non c’era niente da promettere e infatti se Raffaele Lombardo, il re del clientelismo siciliano, dovesse misurare la propria popolarità fra i siciliani e soprattutto fra i suoi concittadini catanesi a partire dall’affluenza al voto in occasione dei referendum, comincerebbe a porsi qualche problema: lui infatti ha detto che a votare ci sarebbe andato (chissà per lanciare quale messaggio a chi) e che avrebbe votato quattro sì, ma a quanto pare i suoi seguaci non lo hanno seguito, perché non si sono nemmeno chiesti se votare sì o no e non si sono nemmeno sognati di recarsi alle urne. Ma stia sereno Lombardo – e i suoi correi di governo, che stanno imparando presto come si fa a gestire il potere – che appena ci saranno nuove elezioni, meglio se amministrative, il suo potere di “convincimento” ritornerà integro. Tanto i catanesi non si lamentano, non protestano: al più si limitano a delle pasquinate come quelle che spuntano qua e là da qualche giorno per le strade cittadine. Qualcuno, per esempio, si è preso la briga di andare in tipografia a fare stampare degli annunci funebri – di quelli che di solito si vedono principalmente nei paesi o nei quartieri popolari – e poi affiggerli nelle strade del centro di Catania. Su uno c’era scritto qualcosa tipo: “E’ morto il lavoro. Vivremo nel suo ricordo”. Un altro, più ambiguo – perché a Catania non sai mai se dietro parole apparentemente dirette non ci sia invece un messaggio trasversale -, annunciava la morte della vendita dei fiori. Un negoziante di scarpe, invece, alla vetrina del suo negozio ha attaccato un foglio A4 con su scritto: “Sono al comune a protestare: 1° Caro benzina 2° Per eccesso centri commerciali 3° Per lo stipendio dei deputati Torno subito”, mentre altri contestatori anonimi hanno fatto stampare e affisso delle accorate locandine con foto di Raffaele Stancanelli – pure lui, un tempo, uomo di Raffaele Lombardo, anche se adesso, per il gioco delle parti (o per guerra fra bande, come preferite), formalmente si trovano su fronti opposti – e drammatico appello: “Chi l’ha visto?” Perché…”quod non fecerunt Scapagni, fecerunt Stancanellini”.
Ma i catanesi (non tutti, per fortuna) si limitano alle pasquinate o, al più, farfugliano come i primati.

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