Arrivano quasi contemporaneamente, come due treni che non hanno visto il semaforo, senti solo un gran stridore di freni e poi il botto. Il contrasto è raccapricciante come il rumore del gessetto che si spezza sulla lavagna mentre scrivi e ti fa accapponare la pelle.
Sono due notizie che riguardano l’economia siciliana. La prima arriva dalla Banca d’Italia ed è il rapporto annuale sul mercato del lavoro in Sicilia redatto dalla sede palermitana dell’Istituto di credito. Sensazioni e concretezze che ciascuno di noi vive sulla propria pelle, ma qui trasformati in dati, tanto asettici quanto inequivocabili, non passibili di interpretazioni soggettive e dunque crudeli.
Per il quarto anno di seguito – spiega Bankitalia –, l’occupazione diminuisce ancora. Come un’agonia lenta e inesorabile. Nel 2010 è scesa di un altro 1,7% (nel 2009 era a -1,1%), arrivando al 42,7%, cioè soltanto 43 persone scarse su cento hanno un lavoro e non c’è un settore che si salvi a parte l’agricoltura che è in lievissima crescita – ammesso che una lievissima crescita, rispetto a nulla, sia una salvezza - e che meriterebbe l’analisi di uno specialista. Lo studio della Banca ci spiega che gli uomini perdono il lavoro più delle donne, che calano del 3% i posti di lavoro a tempo indeterminato mentre aumentano del 4,2 quelli a tempo determinato e non c’è “scuola alta” che tenga, perché il virus colpisce indistintamente i laureati come le persone con un livello di istruzione basso. E già è possibile fare un paio di considerazioni “da bar”, senza pretese scientifiche: la prima è che forse le donne perdono il lavoro meno degli uomini perché ne hanno meno in partenza, perché smettono prima di cercarlo, perché fanno figli e se non hai un lavoro non ce la fai a mettere in conto fra le uscite anche i duecento euro al mese che servirebbero in media per mandarne uno al nido e anche se dovessi decidere di affrontarla questa spesa – come investimento per il futuro, perché vorresti accettarlo quel part-time sottopagato che ti era stato prospettato – non è detto che tuo figlio al nido lo prendano, perché – come emerge da un’indagine di Cittadinanzattiva sugli asili nido comunali in Sicilia – le liste d’attesa sono tali che un bimbo su tre resta fuori. E così, ancora una volta, le donne sono costrette a piegarsi a una “tradizione” selvaggia e fuori dal tempo. L’altra considerazione attiene all’allergia dei padroni verso regole e diritti dei lavoratori e al ricatto che – in questa terra più che altrove – è costretto a subire chi cerca lavoro: se lo vuoi, te lo danno a tempo determinato, magari a tre mesi. Ti assumono e ti licenziano subito, senza lasciarti il tempo di maturare ferie o anzianità di servizio. Sarà anche per questo, perché ti passa la fantasia, che – sempre in base ai dati di Bankitalia – si fa “decisamente preoccupante” la percentuale di giovani che non studiano e non lavorano: nel 2010 erano 38,1% i ragazzi siciliani fra i 15 e i 34 anni entrati a far parte della Neet generation. Ragazzi che un lavoro non lo cercano più, come se non cercassero più il futuro, non si illudono più che studiare sia la loro arma di riscatto e gravano sulle famiglie ormai a un passo dal baratro. E’ ancora lo studio della Banca d’Italia a dirci che in Sicilia 24 famiglie su 100 sono in condizioni di “povertà relativa”.
Poi arriva la seconda notizia, praticamente uno schiaffo alla sofferenza di chi non ha lavoro, un ceffone tanto più bruciante perché te la spacciano come una cosa positiva. Ebbene, in territorio di Misterbianco, alle porte di Catania – la provincia con la maggiore densità dei centri commerciali rispetto a tutto il territorio nazionale – è sorto un nuovo centro commerciale. Ma per farne che? Ci dicono che “a regime” – formula magica che vuol dire tutto e niente – questo nuovo centro creerà mille nuovi posti di lavoro in più. Intanto, proprio per questo, continuano a chiudere i negozi del centro e la gente viene licenziata, disoccupati che si aggiungono a disoccupati, e finirà che pure per andare a comprare il pane la gente sarà costretta a prendere la macchina e a intasare le strade. E chi la macchina non ce l’ha perché non può più permettersi di fare benzina e pagare l’assicurazione?
Come se non bastasse, andarsi a rinchiudere in quelle megatrappole per topi dove gli uomini e le donne vengono lobotomizzati, significherà restare poveri anche di sole, di mare, di rapporti umani che si instaurano con il negoziante sotto casa, della vista dei monumenti del centro storico, in definitiva di cultura. E forse è proprio questo che vogliono: renderci poveri e, ancora una volta, ricattabili. Poveri di soldi, poveri di cultura, poveri di democrazia. A tutto beneficio della principale azienda nazionale, la Mafia SpA, e dei governi che la sostengono e ne sono sostenuti.
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