venerdì 24 giugno 2011

Qui ci vuole una legge: una legge contra legem

E' da quando ho cominciato a fare politica nel Movimento Studentesco, cioè quarantaecocci anni fa, che so che se fai politica è possibile che ti intercettino parlando al telefono.
Allora c'erano i telefoni della Sip, quelli neri, poi diventati "bigrigi" (che sia cominciata proprio dalla degenerazione delle parole la degenerazione dell'etica in Italia?), pesanti che ci voleva la gru, quelli che i numeri li facevi col disco e, se arrivava una bolletta appena più alta del preventivato, scattava subito il lucchetto. Che i più accorti mettevano nel 4, in modo da non precludersi almeno la possibilità di chiamare il 113 in caso di necessità.
Telefoni gracchianti, da Paese ancora in via di sviluppo, con tecnologie imperfette che nemmeno se lo sognavano il cordless che ti avrebbe permesso di conversare da ogni angolo della casa o Skype, grazie al quale puoi guardare in tv tuo figlio che se n'è andato a stare inculaddio e parlarci per ore senza andare in fallimento e senza, soprattutto, dover aumentare il numero di decibel della nostra voce in base al chilometraggio, come faceva una mia prozia che più lontano arrivava la telefonata in teleselezione e più urlava.
Telefoni normalmente gracchianti, ma al minimo fruscìo o rumore di sottofondo, subito noi - rivoluzionari, ma educati - ci premuravamo di salutare, un po' sfottenti in verità: "Buongiorno, maresciallo". E, siccome ci credevamo furbi e siccome un po' forse ci piaceva pure giocare agli 007, parlavamo anche in codice. Che so, per dire, se c'era da fare un'assemblea a scuola alle cinque di pomeriggio contro i decreti delegati del Ministro Malfatti e il preside non voleva concederci l'aula magna (perché questo era il massimo dell'illegalità che riuscivamo a concepire: mandare affanculo il preside, che era un fascio di merda, e prenderci l'assemblea), noi al nostro interlocutore telefonico - e al maresciallo - dicevamo che ci saremmo visti alla festa di Franco (che poi era il nome proprio del democristiano alla guida della Pubblica Istruzione) e, per fargli capire l'orario, ci mettevamo a recitare Federico Garcìa Lorca: a las cinco de la tarde. E così avevamo fregato il maresciallo. Forse.
Tant'è. Ora, chiunque faccia politica da un sacco di tempo e direi chiunque legga i giornali o guardi ogni tanto qualche tg (persino il tgzerbino) sa benissimo che può essere intercettato, ma se è una persona perbene sa benissimo che il massimo che potranno ricavare i suoi intercettatori sarà una litigata con la propria madre, un pianto sentimentale, qualche bestemmia, l'ammissione di avere posteggiato a cazzo di cane su un marciapiede per la disperazione dopo avere fatto dieci giri dell'isolato e ti scappava la pipì oppure, facendo politica, i dettagli dell'organizzazione di un'iniziativa pubblica: chi viene e chi non viene, la "location", i comunicati stampa... Niente che non si possa far sapere in giro, insomma. Se uno invece è un delinquente politico e non è neppure non dico intelligente (ché sarebbe pretendere troppo) ma almeno furbo, potrebbe aspettarsi che - magari intercettando zoccole, magnacci, massoni, mafiosi, faccendieri e altre personcine perbene con cui è solito fare affari e intrattenersi al telefono - la sua voce venga registrata. Questi invece no: Santanché, Prestigiacomo, Minetti, Mora, Bertolaso e tutti gli altri, loro parlano a ruota libera, parlano delle peggiori porcherie, che si tratti di appalti o di balletti rosa. A tal punto sono convinti della loro impunità e anche - con qualche ragione, visto che al momento di votare un'autorizzazione a procedere c'è una gara a pararsi il culo reciprocamente che coinvolge pressoché tutto l'emiciclo - della loro immunità parlamentare anche per avere ucciso la propria madre o violentato la propria figlia, che non si curano di ciò che dicono. A volte, anzi, sembra addirittura una sfida, un usare gli inquirenti per mandare messaggi trasversali, "pizzini" tecnologici: vedi la conversazione fra la Santanché e Briatore che, a proposito di Berlusconi, concordano nel dire che è "malato" perché continua con i bunga bunga e prevedono che la gente cominci a lanciare le monetine come fu con Craxi, o quella fra la Prestigiacomo e Bisignani in cui la ministra con gli occhi da pesce bollito - quella che fa le dichiarazioni alla stampa sulle grandi emergenze mondiali come se recitasse "La vispa Teresa" - dubita dell'intelligenza del vecchio porco.
Poi cadono dal pero, scoprono che ogni loro parola è stata intercettata - e non si tratta solo di parolacce, ma di autoaccuse che li inchiodano sino al collo - e s'incazzano. E corrono ai ripari, indignati per la violazione della privacy (ma quale privacy, se persino le battone del grande raccordo anulare fanno le loro cose con maggiore discrezione!) e per lo spreco di denaro pubblico, che secondo loro sarebbe il costo delle intercettazioni e non quello che viene gettato al vento per mantenere in Parlamento zoccole di ogni sesso al servizio del gran puttaniere. "Qui ci vuole una legge!", urlano in coro i passeggiatori del Transatlantico. Ma sì, facciamola un'altra legge ad personam, ad personas, ad maleficos. Un legge contra legem. Una sola che le cancelli tutte. E ci leviamo il pensiero.

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