lunedì 30 maggio 2011

Zia Tata, zia Cosima e i giornalisti

Mia zia si chiama Tata e non mi ha mai torto un capello. Anzi, a dirla tutta, quand’ero molto piccola ero io che li torcevo a lei, intere ciocche, perché non riuscivo ad addormentarmi se non arrotolandomi i suoi capelli fra le dita. Ora confesso che stamattina ho sentito un misto di raccapriccio, fastidio, repulsione e rabbia ascoltando un giornale radio di quella Rai che fa di tutto perché io smetta di pagare il canone (ma l’insana abitudine di cui sto per parlarvi vige a reti unificate) in cui, nell’ennesimo vampiresco servizio sul delitto di Avetrana, si parlava di “zia Cosima”. Così, quasi con affetto, come uno dice zia Tata: “zia Cosima”.
Non riesco a capire perché. E, soprattutto, non riesco a capire se i miei colleghi si prestano a questo gioco perché totalmente funzionali al sistema o perché si sono bevuti totalmente il cervello.
Mi spiego: la prima volta che io ricordi tanta umana partecipazione e il protagonista di una vicenda chiamato per nome fu ai tempi di Vermicino. Tutti parlavano soltanto di Alfredino (Rampi), il bimbo finito in un pozzo artesiano e morto dopo giorni di agonia in diretta. Ma, appunto, era un bambino. Ed era una vittima: chiamarlo soltanto per nome, senza aggiungere il burocratico cognome, era un modo per sentirci tutti partecipi, per sentirci tutti la sua famiglia. Il fatto è che poi quest’uso è diventato dilagante e allora sono arrivati Omar ed Erika. E fino a lì posso capire: erano minorenni all’epoca in cui ammazzarono come animali al macello la mamma e il fratellino di lei. Ma perché, adesso, Annamaria? Perché Olindo e Rosa? Perché zia Cosima? Perché parlarcene come fossero gli amici con cui si va a mangiare la pizza il sabato sera o come la sorella di nostra mamma e, in ogni caso, come persone che rientrano nella sfera degli affetti? Io non vado a cena con gli assassini e mia zia (la zia, anche se si tratta di un’amica di famiglia) è la persona più tenera del mondo. Qual è l’obiettivo, farceli diventare simpatici? O prepararci al peggio, al fatto che le cose più terribili possono venirti dalla famiglia? Cos’è, una versione aggiornata, riveduta e corretta della sindrome di Stoccolma? E’ la stessa strategia in base alla quale chiamando Silvio uno che si è inculato un Paese intero, fa meno male perché – dal momento che lo chiami per nome – vuol dire che eravate intimi e dunque eri consenziente? O non sarà che, in questa foga di celebrità e di religione dell’apparire, chiamare per nome il personaggio celebre (che lo sia perché è un assassino o perché è Berlusconi, che poi è quasi lo stesso) è un modo per illudersi di godere di un po’ della sua celebrità?
Io preferisco il mio anonimato e l’anonimato delle persone a cui voglio bene. Preferisco zia Tata e non so che farmene della celeberrima “zia Cosima”.


Restando in argomento Rai e in argomento “chi cazzo me lo fa fare a pagare il canone se poi mi deve venire la gastrite?”, segnalo che sempre questa mattina il gr regionale della Sicilia ha ritenuto opportuno fottersene di elezioni amministrative, di immigrati che non vengono soccorsi, di un presidente di regione indagato per mafia e di un’altra serie di amenità per privilegiare l’argomento principe: una partita di calcio.
Sì, lo so che era la finale di coppa Italia e so che era decisiva per il Palermo, ma era una partita di calcio. Cioè: una minchiata rispetto ai problemi enormi della Sicilia. Invece loro non solo l’hanno messa in apertura, ma le hanno dedicato tre quarti di giornale radio, con il servizio lacrimoso da funerale, le interviste ai tifosi, i pareri dei tecnici e degli “esperti” (boom!), le recriminazioni di chi immancabilmente si è sentito rubata la partita, di chi addirittura parla di poteri forti (ma andate a cagare!)…dopo, soltanto dopo, dopo avere assolto alla loro funzione di rincretinire le persone facendogli credere che il calcio sia la cosa più importante al mondo e quando l’ascoltatore era esausto e avrebbero persino potuto dirgli che gli era appena scoppiata sotto il culo la bomba atomica senza che avesse la minima reazione, solo allora, en passant e molto in fretta – come a dover sbrigare una fastidiosa pratica burocratica -, hanno riferito delle elezioni amministrative, degli immigrati che non vengono soccorsi, di un presidente di regione indagato per mafia…
Ma a me chi cazzo me lo fa fare a pagare il canone? E, soprattutto, a me chi cazzo me lo fa fare di definirmi giornalista. Sì, lo so, sono iscritta all’ordine: ma ci dev’essere qualcosa che non quadra. O io o loro, ma qualcuno è fuori posto. Ed è probabile che sia io.

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